Maltrattamenti in famiglia
L`offesa si dovrà concretizzare in reali vessazioni non essendo sufficienti i semplici litigi

Non sempre le condotte poste in essere da uno dei coniugi in un ambito familiare di litigiosità sono inquadrabili nel reato di maltrattamento in famiglia.
L’indagine deve infatti essere molto più profonda al fine di valutare l’esistenza o meno degli elementi costitutivi del reato.
Torno su di un tema già ampiamente trattato, ma che risulta essere di rilevante interesse in ambiti familiari particolarmente litigiosi.
Molto spesso mi trovo a fornire pareri in base alle diverse situazioni che mi vengono prospettate, spesso da donne che vorrebbero procedere a querelare i loro mariti/conviventi.
Fondamentale, a mio modesto parere, è procedere ad esaminare a fondo il racconto della presunta vittima del reato in ordine alle condotte che la stessa intenderebbe denunciare.
Come ho già ampiamente scritto sul tema poiché si parli di maltrattamento in famiglia, anche nell’ambito della semplice convivenza senza matrimonio, è necessario che l’agente maltratti una persona della famiglia o comunque convivente (o una persona sottoposta all’autorità o affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte). La pena prevista è la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Non può, tuttavia, ritenersi realizzato il reato di maltrattamenti in famiglia nell’ipotesi in cui le condotte poste in essere dal querelato prima, imputato poi, siano inquadrabili in un contesto di conflittualità di coppia e di incompatibilità reciproca tali da escludere la sussistenza di una volontà unitaria di sopraffazione e prevaricazione idonea a creare uno stato penoso di vita che deve caratterizzare invece il reato di cui all’art. 572 c.p.
Il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è, infatti, costituito dall’integrità fisica e dal patrimonio morale della persona; l’offesa si dovrà, pertanto, concretizzare in reali vessazioni non essendo sufficienti semplici litigi. (Fattispecie nella quale, a seguito di querela presentata dalla ex compagna, veniva assolto l’imputato dal reato di maltrattamenti poiché dal dibattimento emergeva un rapporto caratterizzato da reciproche discussioni e recriminazioni e non da reali prevaricazioni e vessazioni poste in essere dall’imputato nei confronti della persona offesa).
Molto chiara sul punto è la sentenza n. 9531/2009 della Suprema Corte di Cassazione la quale ha statuito che: "Il reato di maltrattamenti in famiglia può sussistere solo in quanto espressione di una condotta che richiede l'attribuibilità al suo autore di una posizione di abituale prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace. Se non c’è supremazia, non vi è il suddetto reato".
Il mio consiglio è quindi quello di confrontarsi sempre con un proprio legale di fiducia prima di procedere con lo sporgere una querela per poter, così, valutare correttamente la reale situazione familiare e la sussistenza o meno dei presupposti necessari ai fini della configurazione del reato di maltrattamento in famiglia per cui si chiede la propria tutela e la punizione del colpevole.
L’indagine deve infatti essere molto più profonda al fine di valutare l’esistenza o meno degli elementi costitutivi del reato.
Torno su di un tema già ampiamente trattato, ma che risulta essere di rilevante interesse in ambiti familiari particolarmente litigiosi.
Molto spesso mi trovo a fornire pareri in base alle diverse situazioni che mi vengono prospettate, spesso da donne che vorrebbero procedere a querelare i loro mariti/conviventi.
Fondamentale, a mio modesto parere, è procedere ad esaminare a fondo il racconto della presunta vittima del reato in ordine alle condotte che la stessa intenderebbe denunciare.
Come ho già ampiamente scritto sul tema poiché si parli di maltrattamento in famiglia, anche nell’ambito della semplice convivenza senza matrimonio, è necessario che l’agente maltratti una persona della famiglia o comunque convivente (o una persona sottoposta all’autorità o affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte). La pena prevista è la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Non può, tuttavia, ritenersi realizzato il reato di maltrattamenti in famiglia nell’ipotesi in cui le condotte poste in essere dal querelato prima, imputato poi, siano inquadrabili in un contesto di conflittualità di coppia e di incompatibilità reciproca tali da escludere la sussistenza di una volontà unitaria di sopraffazione e prevaricazione idonea a creare uno stato penoso di vita che deve caratterizzare invece il reato di cui all’art. 572 c.p.
Il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è, infatti, costituito dall’integrità fisica e dal patrimonio morale della persona; l’offesa si dovrà, pertanto, concretizzare in reali vessazioni non essendo sufficienti semplici litigi. (Fattispecie nella quale, a seguito di querela presentata dalla ex compagna, veniva assolto l’imputato dal reato di maltrattamenti poiché dal dibattimento emergeva un rapporto caratterizzato da reciproche discussioni e recriminazioni e non da reali prevaricazioni e vessazioni poste in essere dall’imputato nei confronti della persona offesa).
Molto chiara sul punto è la sentenza n. 9531/2009 della Suprema Corte di Cassazione la quale ha statuito che: "Il reato di maltrattamenti in famiglia può sussistere solo in quanto espressione di una condotta che richiede l'attribuibilità al suo autore di una posizione di abituale prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace. Se non c’è supremazia, non vi è il suddetto reato".
Il mio consiglio è quindi quello di confrontarsi sempre con un proprio legale di fiducia prima di procedere con lo sporgere una querela per poter, così, valutare correttamente la reale situazione familiare e la sussistenza o meno dei presupposti necessari ai fini della configurazione del reato di maltrattamento in famiglia per cui si chiede la propria tutela e la punizione del colpevole.
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