Maltrattamenti in famiglia di fatto – Coabitazione


Coabitazione nella famiglia di fatto e maltrattamenti. Diversità delle interpretazioni e nuove problematiche. Necessità di soluzioni condivise
Maltrattamenti in famiglia di fatto – Coabitazione
Si deve prestare attenzione all’evoluzione giurisprudenziale sulla rilevanza della coabitazione nella famiglia di fatto, ai fini dell’affermazione della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia.
La tutela penale, prima riservata soltanto alle condotte consumate nell’ambito della famiglia tradizionale (il delitto trova collocazione nella parte del codice dedicata per l’appunto ai reati contro la famiglia), a seguito dell’evoluzione del costume sociale e della espansione che è stata assunta dalle famiglie di fatto, si è estesa poi anche a tutte le situazioni familiari non disciplinate dall’istituto del matrimonio. In questo ambito (significativa la sentenza della VI Sezione Penale della Corte Suprema del 18.3.2014, che peraltro richiama la Sentenza n. 24688 del 17.3.2010 della V Sezione della Suprema Corte) si era affermato che, ai fini della tutela penale, non occorre affatto il carattere monogamico del vincolo sentimentale posto a fondamento della relazione "e neppure una continuità di convivenza intesa quale coabitazione".
Ad avviso del Giudice di legittimità era sufficiente che la relazione presentasse intensità e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà per cui "il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche a persona legata all’autore della condotta legata da una relazione sentimentale,che abbia comportato un’assidua frequentazione dell’abitazione".
Quindi, con riferimento a tale orientamento ermeneutico, non era affatto necessario che sussistesse la continuità della coabitazione per ritenere che potessero ritenersi sussistenti gli elementi del reato. Ma sembrano delinearsi nuovi orientamenti, a seguito della sentenza del 22.7.2015 n. 32156 della VI Sezione Penale della Corte Suprema, che ha escluso che possano sussistere gli elementi del delitto di maltrattamenti in famiglia quando "non vi sia una sostanziale stabilità nella scelta di condividere un’abitazione o la costanza nella prestazione nella mutua assistenza", dal momento che solo tali condizioni generano un reale affidamento tra le parti privo del carattere della precarietà o della occasionalità (sul punto richiamando la sentenza n. 22915 del 7.5.2013 della VI Sez. della S.C.).Vi è una duplice considerazione esplicativa di tale percorso argomentativo della norma penale.
Da un lato, nell’ultima sentenza, la Corte Suprema richiama il valore di rilievo costituzionale delle "formazioni sociali", di cui all’art. 2 della Costituzione, che giustifica la tutela penale anche per le famiglie di fatto sorrette dalla stabile coabitazione, e dall’altro, argomentando sul tema dei soggetti vulnerabili (introdotto nel nostro ordinamento dalla normazione europea), individua quali soggetti muniti di una minore capacità difensiva e reattiva proprio quelli collocati all’interno di coabitazioni stabili, ritenuti di più facile assoggettamento a vittimizzazione.
I difformi orientamenti ermeneutici sollecitano attenzione e inducono a qualche ulteriore riflessione, in ordine ai dubbi interpretativi che possono sollevarsi nei casi concreti. Come sarà giudicata una convivenza intermittente, fondata su diversi stabili periodi ma segnata anche da lunghe pause nella coabitazione? E, inoltre, cosa è a dirsi di una convivenza stabile ma per periodi limitati della vita di ciascuno, come può essere un periodo più o meno lungo di vacanze in una casa locata per l’occasione? Saremo in tali casi in presenza di una coabitazione che il giudice riterrà stabile, con la conseguenza di poter ritenere sussistente il reato, o saremo in presenza di una forma di coabitazione che il giudice non riterrà sufficiente per considerare sussistente il reato? Il tema è aperto e vi è da auspicare che, con il contributo degli studiosi e dei pratici del diritto, possa pervenirsi quanto prima ad una definizione chiara e condivisa, per evitare che si presentino denunce e si percorrano procedimenti penali, destinati poi a concludersi con assoluzioni, almeno per il reato di maltrattamenti, solo perché le condotte offensive sono state poste in essere all’interno di una coabitazione non considerata stabile.
Anche perché la contestazione del delitto di maltrattamenti spesso può impedire che le parti possano conseguire una composizione dei loro rapporti attraverso remissioni di querele, eventualmente successive ad idonei risarcimenti del danno. È opportuno, infatti, che le imputazioni siano calibrate sempre in modo idoneo, specie quando, evitando ridondanze non necessarie, si può poi consentire la estinzione dei processi per opportuni accordi delle parti processuali.

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di ALFREDO GUARINO

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