Mediazione e conseguenze della mancata partecipazione della parte

Interessante sentenza emessa nel mese di febbraio 2020 dal Tribunale di Napoli che ha dichiarato l’improcedibilità della domanda per non aver l’attore partecipato personalmente alla procedura obbligatoria di mediazione.
Il Giudice partenopeo ha aderito al recentissimo orientamento della Corte di Cassazione che ha affermato che gli artt. 5 ed 8 del D.lgs. 28/2010, i quali prevedono che la parte sia tenuta a comparire personalmente dinnanzi al mediatore nel corso del primo incontro di mediazione assistita da un difensore, abbiano carattere obbligatorio giacché “il legislatore ha previsto e voluto la comparizione personale delle parti innanzi al mediatore, perché solo nel dialogo informale e diretto tra parti e mediatore conta che si possa trovare quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti” (cfr Cass. civ., sent. n. 8473 del 27.03.2019).
La parte che intenda agire in giudizio ha pertanto l’obbligo di comparire personalmente dinnanzi al mediatore anche se, come chiarito dalla citata sentenza, potrà delegare ad altri tale attività, la quale non ha natura di attività strettamente personale.
La delega a comparire dinnanzi al mediatore potrà essere conferita anche al difensore al quale la parte ha conferito mandato alle liti ma “allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione ed il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto” (cfr Cass. civ., sent. n. 8473 del 27.03.2019).
Ne consegue che tale procura, la quale ha valore di procura speciale sostanziale, differisce dalla procura alle liti conferita al difensore, la quale comporta attribuzione di poteri di carattere esclusivamente processuale al difensore.
Va, infatti, osservato che la procedura di mediazione obbligatoria, seppur delegata dal giudice, è procedura informale ed in larga misura orale, così come si evince dalla previsione dell’art. 3, III comma, del D.lgs. 28/2010 - il quale stabilisce che gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità - dall’art. 8, II comma, il quale stabilisce che il procedimento si svolge senza formalità e dall’art. 8, III comma, secondo cui il mediatore “si adopera” affinché le parti raggiungano un accordo amichevole, senza alcuna specificazione in ordine all’attività del mediatore, la quale si conferma essenzialmente come attività di dialogo con le parti ed i difensori (cfr Trib. Pavia, sent. 14.10.2015).
Tale informalità della trattazione ed ampiezza dell’oggetto della mediazione fa sì che le parti possano, nel corso della procedura di mediazione, formulare, con finalità conciliative, richieste e domande diverse rispetto a quelle formulate con l’istanza di mediazione.
Non può, infatti, essere fatta applicazione analogica della giurisprudenza formatasi in materia di tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell’art. 46 della legge203/1982, la quale richiede la perfetta sovrapponibilità di petitum e causa petendi formulati in sede di conciliazione e nel giudizio di merito, poiché il tentativo di conciliazione di cui alla citata legge mira a tutelare il soggetto debole/contraente del contratto agrario e prevede una procedura nella quale detto soggetto non è assistito da un proprio legale ove, nel caso della procedura di mediazione obbligatoria di cui al d. lgs. 28/10, la parte è necessariamente assistita da un difensore, al quale è demandato l’esame delle domande mosse nei confronti della parte alla quale è stata notificata istanza di mediazione.
La partecipazione alla procedura di mediazione, quindi, può comportare disposizione di diritti ulteriori rispetto a quello controverso, sicché la procura rilasciata per la partecipazione alla procedura di mediazione, la quale potrà essere conferita anche al difensore costituito in giudizio, esula dai poteri anche conciliativi attribuiti con la procura alle liti.
La stessa, infatti, attribuisce poteri processuali al difensore in relazione al solo oggetto della domanda giudiziale evidenziandosi, altresì, che con esclusivo riferimento agli stessi il difensore ha poteri certificativi dell’autenticità e provenienza della sottoscrizione.
“Una semplice, benché ampia, procura alle liti, comprensiva di ogni potere giudiziale e stragiudiziale ed anche del potere di conciliare la controversia”, dal valore meramente processuale, pertanto, non attribuisce al difensore la rappresentanza sostanziale della parte (cfr Cass. civ., sent. n. 8473 del 27.03.2019).
Né può trovare applicazione analogica il disposto dell’art. 185 c.p.c. che, in caso di conciliazione giudiziale, attribuisce al difensore la possibilità di autenticare la procura speciale conferita dalla parte con la finalità di conciliare o transigere la controversia.
Trattasi, infatti, di deroga alla disciplina generale in tema di autenticazione di scritture private di cui all’art. 2703 c.c., il quale attribuisce solo al notaio o ad un pubblico ufficiale a ciò autorizzato il potere di autentica delle sottoscrizioni.
Altre disposizioni codicistiche, del resto, quale l’art. 420, II comma, c.p.c. in tema di rito del lavoro, specificano che il potere di conciliare o transigere una controversia attribuito ad un procuratore speciale debba aversi con atto pubblico o scrittura privata autenticata (cfr Cass. civ., sent. n. 12997 del 20.12.1995), a riprova del carattere generale di tale modalità di certificazione della provenienza della procura a transigere, rispetto alla quale la norma di cui all’art. 185 c.p.c. costituisce deroga di carattere eccezionale.
Dal disposto dell’art. 185 c.p.c., peraltro, si trae prova del fatto che la procura conferita al fine di conciliare o transigere una controversia, sia essa generale o speciale, sia procura di carattere sostanziale, diversa ed ulteriore rispetto al mandato alle liti, sicché ove l’avvocato munito di mero ius postulandi partecipi alla procedura di mediazione, costui non potrà essere ritenuto un rappresentante sostanziale della parte.
In assenza di disciplina specifica circa il potere certificativo della procura sostanziale da eventualmente attribuire al difensore, occorre fare applicazione delle regole generali in tema di rappresentanza di cui agli artt. 1387 e ss. c.c., le quali consentono di attribuire al rappresentante una procura di carattere sostanziale a transigere. La procura da conferirsi a tal fine dovrà avere, in forza del disposto dell’art. 1392 c.c., la stessa forma prescritta per il contratto da stipulare e, quindi, essendo relativa ad un negozio transattivo, dovrà rivestire forma scritta ai fini probatori ex art. 1967 c.c., salvo il disposto dell’art. 1350 n. 12) c.c.
Occorre, inoltre, che sia provata con certezza la provenienza della procura da parte del soggetto il quale abbia potere di disposizione del diritto - come richiesto dall’art. 1966 c.c. -. Tale finalità è conseguibile solo con una procura notarile o autenticata ai sensi dell’art. 2703 c.c., dovendosi distinguere la posizione del rappresentante sostanziale della parte da quella del difensore il quale dovrà assistere la parte sostanziale nel corso della procedura di mediazione, pur potendo le due figure essere concentrate in un unico soggetto, seppur in forza di due rapporti di mandato differenti: l’uno sostanziale, l’altro processuale.
Va, infine, rimarcato che alcuna disparità di trattamento si ha fra la parte istante e la controparte, la cui mancata partecipazione alla procedura di mediazione è sanzionata in maniera meno afflittiva, stabilendo l’art. 8, comma 4 bis, del D.lgs. 28/2010 che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
Differente, infatti, è l’interesse all’azione e, quindi, alla sua procedibilità che ha colui il quale agisca in giudizio, il quale gli impone la partecipazione personale alla procedura di mediazione obbligatoria per poter proseguire e coltivare la propria domanda, da quello che ha la controparte la quale si trova solo a resistere rispetto all’altrui iniziativa giudiziaria sicché, ove rifiuti senza giustificato motivo di partecipare alla procedura di mediazione pur risultando, all’esito del giudizio, soccombente, potrà essere solo sanzionata per la sua condotta, non avendo consentito la possibilità di un fruttuoso esperimento della procedura di mediazione obbligatoria.
In conclusione, il Tribunale di Napoli ha ritenuto che, nel caso di specie, la procura alle liti conferita all’avvocato dell’attore, la quale era comprensiva del potere di transigere e conciliare la controversia, non fosse idonea a conferirgli il potere sostanziale di rappresentare la parte anche nella procedura di mediazione. La sua partecipazione al primo incontro di mediazione, quindi, in alcun modo poteva sopperire all’assenza della parte, sicché l’eccezione di improcedibilità tempestivamente mossa da parte convenuta, con eccezione successivamente reiterata in corso di causa, era meritevole di accoglimento e, per l’effetto, la domanda attorea doveva essere dichiarata improcedibile.
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