Medico in colpa se non fornisce la prova contraria

La colpa del medico non deve essere provata dal paziente ma e' viceversa il professionista che deve dimostrare di aver agito con diligenza per andare esente da ogni responsabilità.
Lo ha statuito la Corte di Cassazione con la recente sentenza Cass. Civ. 09.11.2017 n.26517 che ha confermato la decisione della Corte d'Appello che aveva condannato un dermatologo al risarcimento dei danni per la morte di un paziente che aveva lamentato escoriazioni sulla bocca, alle quali il medico non aveva dato la dovuta attenzione mancando di prescrivere indagini approfondite.
Gli eredi del paziente deceduto hanno affermato che il dermatologo aveva tenuto una condotta "imperita e negligente" per non aver tempestivamente diagnosticato la malattia che aveva portato alla morte del loro congiunto, che avrebbe potuto essere curata "piu' prontamente e piu' efficacemente".
La Suprema Corte ha ritenuto confermata e dirimente la circostanza che il sanitario aveva omesso un necessario esame istologico che, se eseguito, avrebbe permesso di accertare una malattia tumorale molto prima di quanto avvenuto, ascrivendo pertanto al medico la responsabilità per la morte prematura del paziente la quale avrebbe potuto essere ragionevolmente scongiurata qualora fossero stati eseguiti gli accertamenti che si rendevano necessari nel caso di specie sulla scorta della storia clinica del paziente medesimo.
In particolare, è stato rammentato il principio per cui in tema di responsabilita' medica, "l'attore non e' tenuto a provare la colpa del medico: e' quest'ultimo, semmai, che deve dimostrare di aver agito con diligenza".
"Stabilire se determinati sintomi, ad una determinata epoca, siano stati correttamente o scorrettamente interpretati significa accertare se il medico abbia tenuto una condotta negligente o diligente. Ma l'accertamento della diligenza della condotta del medico forma oggetto dell'accertamento della colpa, ed in tema di responsabilita' medica non e' onere dell'attore provare la colpa del medico, ma e' onere di quest'ultimo provare di avere tenuto una condotta diligente.
Il medico si è difeso in giudizio asserendo che gli attori avevano depositato un referto istopatologico a lui attribuito, dal quale risultava una diagnosi benigna, ma che lui non aveva mai sottoscritto quel documento, poi sparito dagli atti.
Tuttavia tale argomento è stato ritenuto non rilevante dalla Corte in quanto il medico non poteva certo provare l'assenza di colpa limitandosi semplicemente a disconoscere la sottoscrizione di quel referto istopatologico", senza fornire la prova di avere agito con diligenza e, segnatamente, senza la prova che alla data in cui visito' il paziente, questi non presentava alcun sintomo tale da suscitare nemmeno il piu' piccolo sospetto che fosse affetto da una patologia tumorale.
Il principio stabilito nella sentenza in esame si va ad inserire nel dibattito apertosi (senza una soluzione chiara e definitiva) a seguito dell’entrata in vigore della Legge Balduzzi prima (L. n. 189/2012) e della Legge Gelli poi (L. 8 marzo 2017, n. 24), che hanno operato una rivisitazione della materia della responsabilità medica.
La prima, in particolare, ha statuito la rilevanza delle cd. "linee guida" intese come "buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica", mentre la seconda ne ha fornito una più specifica qualificazione individuandole nelle "raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie".
Su tali basi si potrà pertanto ritenere che il sanitario per esonerarsi da responsabilità deve provare non solo il rispetto delle linee guida, ma anche che "tali linee guida indichino standard diagnostico-terapeutici conformi alle regole dettate dalla migliore scienza medica a garanzia della salute del paziente.
Nonostante le evidenti criticità, invero, le linee guida costituiscono un indice indicativo della perizia o meno del sanitario, essendo innegabile che tali raccomandazioni presentino l’indiscutibile vantaggio di fornire - sia all’operatore medico ex ante sia al giudice ex post - un comune parametro, sebbene astratto e generale, per identificare, almeno parzialmente, la condotta doverosa, sia pure con il temperamento costituito dalla necessità di tenere sempre conto, nel valutare l’applicabilità delle linee guida, delle "specificità del caso concreto".
Avv. Sigmar Frattarelli
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