Minacce, aggressioni, e querele temerarie. L'agonia del giornalismo


Minacce, aggressioni, delitti, sequestri, scomparse misteriose, querele e querele temerarie. Identikit di un giornalismo, il giornalismo italiano, sempre più in agonia
Minacce, aggressioni, e querele temerarie. L'agonia del giornalismo

“Più di duemilatrecento”. Questo il numero effettivo dei giornalisti, uomini e donne, che hanno subito atti intimidatori, minacce di ogni genere, aggressioni psico-fisiche o verbali. Diversi gli operatori dell’informazione, vittime anche di sequestri o di attentati con tragico epilogo. Questi numeri che risalgono al periodo che va dal 2006 al 2015. Cifre, già all’epoca, abbastanza inquietanti. Ora, i numeri fanno sempre più paura. Quest’anno, un 2020 decisamente da dimenticare causa la pandemia Covid-19, dopo soli sei mesi si sono registrati ben 83 casi di giornalisti brutalmente aggrediti e minacciati. E’ quanto riporta uno degli ultimi report dell’Osservatorio sui giornalisti minacciati, preparato e voluto dal Ministero dell'Inteno. La provincia di Caserta, risulta essere la zona dove gli operatori dell'informazione sono, particolarmente, a rischio. Calabria, Campania, Lombardia, e Sicilia sono le altre regioni di Italia dove i giornalisti non sono, affatto, amati. Negli ultimi anni, diversi sono stati i casi che hanno visto coinvolti alcuni colleghi e colleghe che, solo per aver svolto fino in fondo il loro lavoro, quello di informare, sono stati vittime di atti gravemente lesivi della loro libertà ed incolumità psico-fisica. Antonella Napoli, Carlo Verdelli, Sigfrido Ranucci, Federica Angeli, Paolo Berizzi, Sandro Ruotolo, Paolo Borrometi, Massimo Giletti, Fabio Fioravanzi, Guido Scarpino. Sono alcuni dei tanti nomi inseriti nella “black-list”, nella cerchia degli “sgraditi”; personalità di spicco della nostra informazione malviste da criminalità organizzata, gruppi estremisti, e una parte di quella classe politica nostrana che non ama, affatto, chi scrive sui giornali o racconta in radio o TV la verità dei fatti.

Il caso di Federica Angeli è uno dei tanti che possiamo citare. Sette anni fa, nel 2013, la giornalista del quotidiano La Repubblica stava facendo un’inchiesta a Ostia, cittadina del litorale romano dove lei vive. L’inchiesta fatta, insieme a due suoi colleghi operatori, parlava di presunte infiltrazioni mafiose nella gestione degli stabilimenti balneari. Durante lo svolgimento di questo servizio, all’interno dello stabilimento Orsa Maggiore, la Angeli e i suoi due operatori che erano con lei hanno subito delle forti, gravi minacce da Armando Spada. Quest’ultimo un esponente di spicco del clan degli Spada. Spada intimava alla Angeli di cancellare e non pubblicare il video che lei aveva registrato, con le sue dichiarazioni. L’ira funesta del boss è stata tale che è arrivato a minacciare la cronista, pronunciando la frase: “ti sparo in testa”. Dieci giorni fa, il 30 novembre, Armando Spada è stato condannato a un anno di reclusione proprio per quelle minacce inflitte alla collega di Repubblica.

Paolo Borrometi. Siciliano, classe 1983, direttore responsabile del quotidiano La Spia, vicedirettore dell’AGI. Da diversi anni, svolge diverse inchieste sui loschi affari di Cosa Nostra e sugli intrecci tra Mafia e politica. Vicende nelle quali, stando anche alle indagini di forze dell’ordine e magistratura, erano coinvolte diverse amministrazioni comunali del ragusano, a cominciare dalla città di Modica Nell’aprile 2014, Paolo ha subito una violenta aggressione fisica per mano di due uomini incappucciati; subito dopo è stato minacciato ripetutamente e nell’agosto 2014 si è ritrovato con la porta di casa incendiata. Per le inchieste condotte, Borrometi ha ricevuto diverse altre minacce, tutt’ora al vaglio degli inquirenti.

Mariagrazia Mazzola. Giornalista ed inviata speciale per la Rai e il TG1. Nel corso della sua lunga carriera si è occupata di diverse inchieste: da Tangentopoli, fino ai processi che hanno visto come protagonisti, personaggi di rilievo della nostra politica come Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi. Ha svolto diversi reportage su fatti, attività losche e intrecci tra mafia e politica. Ha collaborato con diverse trasmissioni Rai del calibro di Samarcanda, Annozero, Ballarò, Report. Il 09 febbraio 2018, la Mazzola stava preparando un reportage dal titolo “Ragazzi Dentro”, per lo Speciale TG1. Inchiesta che ha puntato i riflettori sul quartiere Libertà di Bari.

L’obiettivo di questo reportage è raccontare l’abilità della criminalità organizzata nel reclutare i giovani ragazzi, strappandoli così ad una vita normale, decisamente diversa, più felice e dignitosa. In questo quartiere, ci vive una delle famiglie mafiose più conosciute. L’inviata Rai ha incrociato Monica Laera, moglie del boss Lorenzo Caldarola, e madre del giovane Ivan, accusato di aver commesso atti di violenza su una bambina di 12 anni. Le troppe ed insistenti domande della collega Rai, sulla vicenda che ha coinvolto il figlio della boss, hanno dato fastidio alla donna che ha sferrato un violento pugno contro l’inviata, provocandole alcune lesioni. Per questo episodio, Monica Laera è stata accusata di aggressioni e minacce con l’aggravante mafiosa. La Procura barese ha giudicato le minacce, intimidazioni, e il pugno rifilato alla Mazzola dei veri atti commessi con lo scopo di esercitare il controllo del territorio ricorrendo al metodo mafioso.

Non solo minacce, intimidazioni, o brutali aggressioni all’incolumità psico-fisica. Anche lo spinoso problema delle querele temerarie è molto dibattuto, da dieci anni a questa parte. Tre anni fa, nel 2017, Greenpeace ha presentato i risultati di un’indagine dedicata alla libertà di stampa e ai diversi casi in cui quest’ultima è in serio pericolo. Solo nel 2017, sono state presentate alle autorità competenti più di 9.479 denunce. Molte di queste, erano querele temerarie. Solitamente, una querela temeraria si distingue dalla querela, in formato classico, in quanto fatta con l’obiettivo di scoraggiare il cronista o la cronista di turno, alle prese con un’inchiesta troppo scomoda al politico di turno, sia esso nazionale o locale. Molte querele temerarie presentate, hanno portato al classico nulla di fatto. Quel nulla che, causa la lentezza della giustizia italiana, si rivela tale dopo un anno o due anni di attesa. Nulla che si traduce, anche, in ridimensionamento del lavoro e delle energie del giornalista, con ripercussioni anche sulla sfera economica. Le querele temerarie sono l’arma preziosa usata per mettere il bavaglio a giornalisti e stampa, ostacolando l’ardua e costante ricerca della verità. Scoraggiare il collega o la collega di turno, mettendolo o mettendola nelle condizioni di smettere di occuparsi di una determinata vicenda, è quanto vogliono sia le organizzazioni criminali che gli uomini di potere, politici o alta finanza.

Giuseppe Impastato, detto Peppino, Walter Tobagi, la misteriosa scomparsa di Italo Toni e Graziella De Palo, Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Marco Lucchetta, Alessandro Ota, Dario D’Angelo, Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Marcello Palmisano, Maria Grazia Cutuli, Enzo Baldoni, Andrea Rocchelli, Simone Camilli. Sono solo alcuni dei tanti nomi di colleghi, giornalisti e giornaliste, rimasti uccisi nei teatri operativi di guerra, caduti per mano delle mafie o ai tempi dell’atroce lotta armata nel nostro Paese. L’infinito elenco di chi ha pagato un caro prezzo, in nome della tanto ricercata e amata verità.

Italo Toni e Graziella De Palo meritano una breve parentesi a parte. Due giornalisti freelance, andati a Beirut per raccontare la situazione politico-militare che si stava vivendo in Libano e, in particolare, la situazione dei campi profughi palestinesi. Libano che, all’inizio degli anni ’80, fu il protagonista numero uno di una drammatica crisi, sfociata in una sanguinosa guerra. I due giornalisti sono scomparsi, nel nulla, il 02 settembre 1980. Dopo essere usciti dal loro hotel, dovevano salire a bordo di una jeep del Fronte Democratico Popolare per la Liberazione della Palestina per dirigersi verso il Castello di Beaufort. Da quel momento, si sono perse definitivamente le loro tracce. Sono trascorsi 40 anni esatti, di loro non si è saputo più nulla. Alla pari di tanti misteriosi casi di gente scomparsa, possiamo parlare solo di morte presunta. Ufficialmente, non si è mai saputo se fossero stati, effettivamente, uccisi e dove possano essere i loro corpi. Dal 1984, sul caso Toni-De Palo, è stato messo il segreto di Stato. Da quattro decenni, i rispettivi familiari cercano verità e giustizia; tramite i loro rispettivi legali, cercano di accedere ai documenti conservati nell’archivio AISE e che tratta dell’indagine sulla scomparsa dei due giornalisti, commissionata all’allora capocentro Sismi in Libano, Colonnello Stefano Giovannone. Dopo quattro decadi, ancora nessuna risposta sul perché sono scomparsi e che fine hanno fatto.

Il dado è tratto; la lunga agonia del giornalismo italiano.

Articolo del:


di Marco Chinicò

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