Minorenne e pillola abortiva

Superati i 90 giorni-limite per l’interruzione di gravidanza e al di fuori dei casi previsti dalla legge, una ragazza minorenne, per paura della reazione della madre, si rivolgeva a degli estranei (due coniugi) che, illegalmente, le fornivano la pillola abortiva.
Per tali fatti, i due coniugi venivano dichiarati colpevoli in relazione al delitto di cui all’Art. 110 Cod. Pen. e all’Art.19, co. 1, 3, 5, 6, 7, Legge 194/1978, e condannati alla pena di giustizia dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Civitavecchia, pena confermata dalla Corte d’Appello di Roma, per aver cagionato l'interruzione della gravidanza della minore dopo i 90 giorni ed al di fuori dei casi previsti dalla legge, con conseguenti lesioni gravi per la minore stessa, consistite in endiometria settica con rischio di diffusione del fattore infettivo in grado di compromettere le funzioni vitali, e con pericolo di vita.
Entrambi i coniugi ricorrevano in Cassazione lamentando, il marito, un vizio di motivazione in quanto, a suo dire, il Giudice dell’Appello lo aveva erroneamente ritenuto concorrente nel reato che, in pratica, era stato commesso e perfezionato solo dalla moglie, coimputata, la quale aveva consegnato alla minore le pasticche, fornendole indicazioni su come utilizzarle e, successivamente, su cosa fare a seguito dell'emorragia verificatasi.
Precisa, altresì, che era solo stato presente al momento in cui la minore ed il di lei ragazzo avevano illustrato la loro situazione.
In merito alla ricezione di euro 50,00, l’uomo asserisce l'irrilevanza della circostanza in quanto la somma di denaro fu lasciata sul tavolo dell'abitazione.
Con separato ricorso, anche la donna ricorreva in Cassazione ritenendo insufficiente la prova della consapevolezza della minore età della ragazza.
Con Sentenza n. 50059 del 24 novembre 2016, la Va Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione dichiarava inammissibili entrambi i ricorsi, basando il convincimento del concorso dell’uomo e del suo contributo causale, come correttamente motivato dai giudici di merito, sulla circostanza che il suo numero di cellulare era memorizzato nella rubrica del cellulare della minore che, a sua volta, aveva dichiarato di essere stata ricevuta da entrambi i coniugi e che la donna le aveva consegnato le pillole, indicandole come assumerle, e che l'uomo aveva ricevuto nelle sue mani la somma di euro 50,00.
Veniva messo in risalto, inoltre, l'intenso traffico telefonico tra il cellulare della minore e le utenze mobili di entrambi gli imputati.
Rilevava la Suprema Corte, infine, il valore confessorio delle dichiarazioni rese dalla donna in sede di interrogatorio di garanzia, dichiarazioni comprovanti la consapevolezza di entrambi i coniugi della minore età della ragazza.
La Suprema Corte conclude sottolineando come: "...la minore età della ragazza fosse desumibile da tutto il discorso che ella aveva fatto ad entrambi gli imputati per convincerli a darle il farmaco funzionale all'interruzione di gravidanza, richiamando espressamente la sua paura che la madre potesse scoprire la gravidanza e reagire violentemente, fino a cacciarla da casa, preoccupazioni tipiche di una minorenne, secondo la valutazione della Corte di merito...".
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi, faceva seguito la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, determinando la somma da versare in favore della Cassa delle Ammende.
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