MODIFICHE ALLE PARTI COMUNI: I LIMITI INVALICABILI DELLA MAGGIORANZA
Una recente pronuncia del Tribunale di Livorno torna ad occuparsi di un tema centrale nel diritto condominiale: i limiti al potere decisionale dell'assemblea quando si tratta di modificare la destinazione d'uso delle parti comuni. La sentenza offre l'occasione per chiarire principi spesso trascurati nella prassi condominiale, con conseguenze importanti per amministratori e proprietari.
Regolamento contrattuale e regolamento assembleare: una distinzione decisiva
Il nostro ordinamento distingue tra due tipologie di regolamento condominiale, con conseguenze giuridiche profondamente diverse. Il regolamento assembleare è approvato dalla maggioranza dei condomini e può essere modificato con le stesse modalità previste dall'art. 1136 c.c. per le delibere assembleari.
Ben diversa è la natura del regolamento contrattuale, quello cioè predisposto dall'originario costruttore-venditore e richiamato o allegato ai singoli atti di acquisto. Questo regolamento, in quanto accettato da ciascun acquirente al momento del rogito, assume natura di clausola negoziale che vincola tutti i proprietari. La sua modifica, pertanto, richiede l'unanimità dei consensi, secondo quanto previsto dall'art. 1138, comma 4, c.c.
La giurisprudenza ha più volte ribadito che questa distinzione non è meramente formale. Come sottolineato dalla Corte di Cassazione (sent. n. 9839/2021), il regolamento contrattuale può contenere clausole che limitano i diritti dei singoli condomini o ne ampliano gli obblighi rispetto alla disciplina legale, purché accettate espressamente all'atto dell'acquisto.
La destinazione d'uso come diritto acquisito
Quando il regolamento contrattuale stabilisce una specifica destinazione per una parte comune – che sia area verde, spazio ludico-sportivo, cortile o altro – tale destinazione diventa parte integrante del contenuto dei diritti reali acquisiti da ciascun proprietario. Non si tratta di una mera indicazione organizzativa, ma di un elemento che ha concorso a determinare le scelte di acquisto e, presumibilmente, anche il valore degli immobili.
La pronuncia del Tribunale di Livorno conferma che qualsiasi modifica a questa destinazione impressa dal regolamento contrattuale costituisce un'alterazione del contenuto dei diritti reali dei condomini. Anche quando la maggioranza, magari molto ampia, ritenga opportuna o conveniente tale modifica, il singolo proprietario dissenziente può legittimamente opporsi invocando il rispetto del regolamento.
Innovazioni e modifiche: distinzioni necessarie
L'art. 1120 c.c. disciplina le innovazioni, cioè quelle opere che, pur incidendo sulle parti comuni, ne migliorano l'utilizzo, ne rendono più comodo il godimento o ne riducono le spese di gestione. Queste innovazioni possono essere deliberate a maggioranza qualificata.
Tuttavia, il comma 4 dello stesso articolo pone un limite invalicabile: sono vietate le innovazioni che rendano talune parti dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino. La giurisprudenza ha esteso questo divieto anche alle modifiche che, pur non rendendo materialmente impossibile l'uso di un bene, ne snaturino completamente la destinazione impressa dal regolamento contrattuale, privando così alcuni condomini di un diritto per cui hanno contrattato al momento dell'acquisto.
Non si tratta quindi di semplici "innovazioni" migliorative, ma di vere e proprie modifiche della destinazione d'uso che incidono sul contenuto dei diritti reali. Per queste ultime, la maggioranza assembleare non è sufficiente.
Il ruolo dell'amministratore
La sentenza richiama con fermezza anche i limiti dell'azione amministrativa. L'amministratore di condominio non ha poteri dispositivi sulle parti comuni. Ogni intervento che ecceda l'ordinaria amministrazione e, a maggior ragione, ogni modifica alla destinazione d'uso delle parti comuni richiede una preventiva delibera assembleare.
Né è sufficiente che l'assemblea ratifichi a posteriori opere già realizzate dall'amministratore, quando queste abbiano modificato aspetti regolati dal regolamento contrattuale. La ratifica di un atto compiuto in violazione del regolamento, se approvata con la sola maggioranza, rimane comunque nulla per violazione delle norme imperative che tutelano i diritti dei singoli condomini.
Tutela giurisdizionale
Il condomino dissenziente che si veda leso da una delibera assembleare che modifica la destinazione d'uso prevista dal regolamento contrattuale ha pieno diritto di impugnare la delibera ai sensi dell'art. 1137 c.c. Il termine per l'impugnazione è di trenta giorni dalla data della deliberazione per i presenti dissenzienti, e di trenta giorni dalla comunicazione per gli assenti.
L'impugnazione può essere proposta per nullità (quando la delibera viola norme imperative o il regolamento contrattuale) o per annullabilità (in caso di vizi del procedimento o di formazione della volontà assembleare). Nel caso di modifiche alla destinazione d'uso imposte dal regolamento contrattuale senza il consenso unanime, siamo di fronte a un'ipotesi di nullità della delibera.
Conclusioni operative
Per amministratori e condomini la lezione è chiara: prima di deliberare qualsiasi modifica alla destinazione d'uso delle parti comuni, è indispensabile verificare attentamente la natura del regolamento condominiale e il suo contenuto. Se il regolamento è contrattuale e prevede una specifica destinazione, ogni modifica richiede l'unanimità dei consensi. Operare diversamente significa esporsi al rischio di vedere annullate delibere e opere, con aggravio di spese legali e possibili azioni risarcitorie.
La tutela delle minoranze, in questa materia, non è un limite alla democrazia condominiale, ma l'espressione di un principio più profondo: il rispetto dei diritti acquisiti e della buona fede contrattuale che deve governare i rapporti tra proprietari.
Articolo del: