Molestia a mezzo mail o squilli del telefono
Il reato di molestie richiede che l’interesse tutelato, cioè l’ordine pubblico, sia violato e che tale violazione rechi un danno

E’ oggi diventato un reato "di moda". Tutti ritengono di poter fare telefonate, squilli muti e inviare sms senza perciò disturbare chi si trova dall’altra parte del telefono. Il reato di molestie continuate a mezzo del telefono, però, disciplinato dall’art. 660 cod. pen., e commesso in danno di qualcuno, perché si configuri, richiede che l’interesse tutelato, cioè l’ordine pubblico, sia violato e che tale violazione rechi un danno, o meglio disturbo o molestia.
Infatti, il legislatore ha previsto che la remissione di querela non produce effetti per il reato di molestia o di disturbo delle persone. Pertanto, ai fini della sussistenza di tale reato, il comportamento del soggetto agente deve essere valutato con riferimento alla psicologia normale media, in relazione al modo di sentire e vivere comune. Secondo la giurisprudenza la norma in commento deve essere interpretata restrittivamente. Infatti, nel caso della posta elettronica non si intravede la fattispecie della norma incriminatrice, giacché con il semplice invio della e-mail non avviene l’intrusione nella sfera privata del destinatario, essendo necessarie altre circostanze (luogo pubblico e uso del telefono). Il semplice fastidio arrecato con la e-mail non può essere equiparato all’uso del telefono ed il destinatario della mail molesta non può essere tutelato. A supporto di un’eventuale estensione del reato, non potrebbe nemmeno ritenersi che la e-mail, poiché utilizza proprio il telefono, e benché sgradita, possa configurare una molestia o disturbo. D’altronde, la comunicazione della mail si perfeziona solo e quando il destinatario accende il computer ed accedendo al servizio attiva una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e procede alla lettura del messaggio. In sostanza, così come per la posta cartacea, che viene spedita e recapitata nella buca delle lettere, l’invio di una mail non comporta un’immediata interazione tra il mittente e il destinatario, né alcuna intrusione diretta e volontaria del primo nella sfera di attività del secondo, se prima non viene letta.
Inoltre, perché si configuri il reato di molestia telefonica occorre che il molestatore sappia perfettamente quello che sta facendo, cioè occorre il "dolo specifico". Il soggetto agente deve procedere con petulanza o altro biasimevole motivo. Parte della giurisprudenza ritiene che ai fini della configurazione del reato previsto e punito dall’art. 660 c.p., non essendo un reato abituale, questo può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia.
Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima penale, n. 9962 del 9 marzo 2015, in un caso giudicato di recente dal Tribunale di Taranto, ha ritenuto che, in riferimento al dolo specifico previsto dalla norma, l’agente avesse effettuato solo un ridotto numero di telefonate non integranti i requisiti della molestia, ossessività e petulanza, oltre al fatto che tali telefonate provenivano da un cellulare non nella completa disposizione dell’autrice del reato. Il semplice possesso è stato scriminante. Il semplice squillo ripetuto dell’apparecchio telefonico, come nel caso esaminato dalla Suprema Corte, integra gli estremi del reato, solo qualora la condotta sia tenuta nella consapevolezza d’arrecare fastidio, tanto che anche le telefonate mute posso arrecare molestia.
Infatti, il legislatore ha previsto che la remissione di querela non produce effetti per il reato di molestia o di disturbo delle persone. Pertanto, ai fini della sussistenza di tale reato, il comportamento del soggetto agente deve essere valutato con riferimento alla psicologia normale media, in relazione al modo di sentire e vivere comune. Secondo la giurisprudenza la norma in commento deve essere interpretata restrittivamente. Infatti, nel caso della posta elettronica non si intravede la fattispecie della norma incriminatrice, giacché con il semplice invio della e-mail non avviene l’intrusione nella sfera privata del destinatario, essendo necessarie altre circostanze (luogo pubblico e uso del telefono). Il semplice fastidio arrecato con la e-mail non può essere equiparato all’uso del telefono ed il destinatario della mail molesta non può essere tutelato. A supporto di un’eventuale estensione del reato, non potrebbe nemmeno ritenersi che la e-mail, poiché utilizza proprio il telefono, e benché sgradita, possa configurare una molestia o disturbo. D’altronde, la comunicazione della mail si perfeziona solo e quando il destinatario accende il computer ed accedendo al servizio attiva una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e procede alla lettura del messaggio. In sostanza, così come per la posta cartacea, che viene spedita e recapitata nella buca delle lettere, l’invio di una mail non comporta un’immediata interazione tra il mittente e il destinatario, né alcuna intrusione diretta e volontaria del primo nella sfera di attività del secondo, se prima non viene letta.
Inoltre, perché si configuri il reato di molestia telefonica occorre che il molestatore sappia perfettamente quello che sta facendo, cioè occorre il "dolo specifico". Il soggetto agente deve procedere con petulanza o altro biasimevole motivo. Parte della giurisprudenza ritiene che ai fini della configurazione del reato previsto e punito dall’art. 660 c.p., non essendo un reato abituale, questo può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia.
Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima penale, n. 9962 del 9 marzo 2015, in un caso giudicato di recente dal Tribunale di Taranto, ha ritenuto che, in riferimento al dolo specifico previsto dalla norma, l’agente avesse effettuato solo un ridotto numero di telefonate non integranti i requisiti della molestia, ossessività e petulanza, oltre al fatto che tali telefonate provenivano da un cellulare non nella completa disposizione dell’autrice del reato. Il semplice possesso è stato scriminante. Il semplice squillo ripetuto dell’apparecchio telefonico, come nel caso esaminato dalla Suprema Corte, integra gli estremi del reato, solo qualora la condotta sia tenuta nella consapevolezza d’arrecare fastidio, tanto che anche le telefonate mute posso arrecare molestia.
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