Morte di un congiunto, danno da perdita del rapporto parentale

Ai congiunti di una persona deceduta in conseguenza dell’altrui atto illecito spetta, iure proprio, il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in seguito alla scomparsa del proprio caro (Cass. 25.2.1997 n. 1704, in Riv. Giur., 1997, 316; Corte di Appello Roma, sez. III, 15.01.2013).
Come acclarato dalla Suprema Corte di Cassazione tale danno "va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti familiari, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti" (Cassazione Civile, Sentenza n. 10107/2011).
Giova rammentare che, a partire dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, 1 luglio 2002, Sent. n. 9556, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni ai prossimi congiunti nei casi in cui l'illecito alla persona, commesso ai danni di un familiare, abbia, per la sua natura e per le sue modalità, propagato le sue conseguenze lesive all'interno del consorzio dei familiari, determinando pregiudizi, che si vanno ad aggiungere a quelli patiti dal soggetto direttamente leso.
Non è seriamente dubitabile che la scomparsa del proprio caro, spesso con lenta e dolorosa agonia, vada a costituire, sia per il paziente che per i familiari che costantemente gli prestavano assistenza, fonte di apprezzabile senso di privazione e peggioramento, oggettivo ed eclatante, della qualità della vita degli interessati, nell’economia di un nucleo familiare fortemente unito.
Pare, peraltro, ragionevolmente superfluo soffermare l'attenzione sul coacervo di occasioni di condivisione e correlazionalità, che avrebbero avuto luogo e non lo avranno; anche tenendo in debita considerazione l'intenso legame affettivo che univa i congiunti al compianto e che li aveva indotti a creare una comunanza di vita particolarmente profonda.
Oltre e al di fuori di una incidenza dell'evento morte sulla sfera strettamente legata al diritto assoluto di cui all'art. 32 Cost. rileva, senza dubbio, l'incidenza altrettanto apprezzabile del nefasto evento sul nucleo familiare (art. 29 Cost.) e sullo stesso citato art. 32 Cost., come riferito non già alla mera apprezzabilità in termini psico-patologici dell'evento lesivo, ma come riferito e riferibile alla stessa qualità della vita degli aventi causa e dei superstiti, non trascurando il dato della convivenza e/o del forte legame esistente.
Il danno subito per la perdita del congiunto determina, quindi, nei familiari la lesione di due beni della vita, inscindibilmente collegati e protetti a livello costituzionale, l'interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia e l’interesse alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nel contesto familiare, tutelati entrambi dagli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione.
Ebbene, all'esito vittorioso di un procedimento seguito recentemente dal mio studio legale, il Giudice Adito ha riconosciuto la risarcibilità di tale danno in favore del genero e dei nipoti, nelle ipotesi, come quella che ho patrocinato, di condivisione della gestione familiare, anche in ambito economico, pur se in assenza di convivenza.
Nello specifico, per ciò che concerne i nipoti, detto danno è indubbiamente configurabile qualora la nonna sia stata un punto di riferimento affettivo e un sostegno economico per i minori, quasi come una seconda madre.
La migliore giurisprudenza, dunque, ammette che il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale possa essere domandato dai parenti e dagli affini che, a prescindere dalla convivenza, dimostrino di essere legati allo scomparso da un intenso vincolo affettivo (Cass. 10321/2018; Trib. Roma (ord.) 25.11.1997, in Riv. Giur. circolaz. trasp., 1998, 90; Trib. Viterbo 24.1.1997, in Giurispr. Romana, 1997, 421).
Concludendo, quindi, si può affermare che la convivenza va assunta esclusivamente quale elemento probatorio utile, unitamente ad altri, a corroborare l'esistenza di un profondo legame affettivo; al contrario, l’assenza di coabitazione non rappresenta, di per sé, condizione preclusiva ai fini della tutela risarcitoria del congiunto.
Il mio studio si rende disponibile a fornire ulteriori informazioni al riguardo e ad offrire consulenza legale in caso di necessità.
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