Non luogo a procedere per irrilevanza del fatto
Durante le indagini preliminari devono risultare la tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento
Questo istituto ha la funzione di eliminare tempestivamente dal circuito penale i c.d.reati bagatellari impropri, cioè a dire quei comportamenti che, pur costituendo reato, non suscitano alcun allarme sociale e rivestono dal punto di vista oggettivo, un modestissimo rilievo concreto. Tuttavia, ad una esigenza generale, si affiancano le peculiarità del rito minorile ove l’attenzione al minore, alle sue esigenze educative e alle sue caratteristiche individuali diventa un canone orientativo del rito penale minorile. «Deflazione ed educazione» diventano, in questo modo, le due finalità proprie dell’istituto, senza una necessaria prevalenza dell’una sull’altra.
I due presupposti per l’applicazione, indicati dalla norma in esame, per dottrina e giurisprudenza concorde devono necessariamente ricorrere congiuntamente
Il primo dei presupposti enunciati dall’art. 27, comma 1, d.p.R. 448/1988 è la "tenuità del fatto". Va fin da principio precisato che deve trattarsi di un fatto di reato: infatti la condotta sottoposta al giudizio del giudice minorile deve raggiungere la soglia della tipicità integrando così un’offesa all’interesse tutelato dalla norma incriminatrice.
I parametri che guidano il giudice nella qualificazione del fatto come tenue sono quelli indicati dall’art. 133 c.p. - rubricato "Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena" - norma che individua i parametri da cui il giudice può desumere la gravità del reato. Il giudice non dovrà necessariamente valutare tutti gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., infatti, la soluzione contraria comporterebbe un eccessivo appesantimento del percorso valutativo del giudice. È essenziale che alla base della valutazione globale del fatto si tenga conto del rilievo costituzionale dei valori aggrediti dal fatto di reato.
L’art. 27 d.p.R. 448/1988 prosegue nell’indicazione dei presupposti necessari ai fini dell’emissione della sentenza di non luogo a procedere indicando "l’occasionalità del comportamento".
Pare che il Legislatore abbia voluto introdurre un criterio di prevenzione speciale, non riferendosi esclusivamente al fatto, inducendo così il giudice a considerare anche, e specificamente, l’autore del reato.
Sull’interpretazione di tale parametro si sono contrapposte due diverse linee dottrinali: da un lato, infatti, si è sostenuta la necessità di una interpretazione che riducesse l’occasionalità ad un significato puramente temporale; dall’altro lato, si è affermata l’opportunità di ancorare l’occasionalità ad una valutazione di natura psicologica. L’interpretazione che adotta un criterio cronologico appare sì ancorata ad un riferimento temporale ma in maniera elastica. Infatti, bisogna considerare che, secondo una tale soluzione esegetica, il termine occasionalità non corrisponde ad un sinonimo di unicità o di episodicità. Dunque ciò che rileva non risulta essere tanto il fatto che la condotta sia stata posta in essere dal minore per la prima ed unica volta, quanto il fatto che la condotta posta in essere sia tale da escludere la tendenza deviante del minore. Tuttavia non può ammettersi uno «sganciamento da ogni criterio di seriazione temporale».
La giurisprudenza che adotta il criterio cronologico valuta positivamente, al fine di ritenere sussistente il requisito dell’occasionalità, l’incensuratezza dell’imputato, l’assenza di denunce anche successive al momento della commissione del fatto e i carichi pendenti del minore.
L’interpretazione psicologica, invece, si fonda sulla necessità di ancorare l’occasionalità, non tanto al fatto, quanto al comportamento. Può quindi dirsi occasionale il comportamento del minore che non risulti voluto, cercato o premeditato; che, in altri termini, risulti essere frutto di una condotta originata da circostanze particolari o contingenti, oppure da pulsioni momentanee, circostanze relazionali, ambientali e culturali «a cui il minore non ha saputo resistere a causa della sua immaturità».
Deve trattarsi, dunque, di un comportamento né premeditato né emersione di un sostrato criminale e ricollegabile alla mutevolezza tipica della minore età, ed in particolar modo, dell’adolescenza. La giurisprudenza di merito si è mostrata decisamente più propensa ad allinearsi ad una interpretazione di natura psicologica.
I due presupposti per l’applicazione, indicati dalla norma in esame, per dottrina e giurisprudenza concorde devono necessariamente ricorrere congiuntamente
Il primo dei presupposti enunciati dall’art. 27, comma 1, d.p.R. 448/1988 è la "tenuità del fatto". Va fin da principio precisato che deve trattarsi di un fatto di reato: infatti la condotta sottoposta al giudizio del giudice minorile deve raggiungere la soglia della tipicità integrando così un’offesa all’interesse tutelato dalla norma incriminatrice.
I parametri che guidano il giudice nella qualificazione del fatto come tenue sono quelli indicati dall’art. 133 c.p. - rubricato "Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena" - norma che individua i parametri da cui il giudice può desumere la gravità del reato. Il giudice non dovrà necessariamente valutare tutti gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., infatti, la soluzione contraria comporterebbe un eccessivo appesantimento del percorso valutativo del giudice. È essenziale che alla base della valutazione globale del fatto si tenga conto del rilievo costituzionale dei valori aggrediti dal fatto di reato.
L’art. 27 d.p.R. 448/1988 prosegue nell’indicazione dei presupposti necessari ai fini dell’emissione della sentenza di non luogo a procedere indicando "l’occasionalità del comportamento".
Pare che il Legislatore abbia voluto introdurre un criterio di prevenzione speciale, non riferendosi esclusivamente al fatto, inducendo così il giudice a considerare anche, e specificamente, l’autore del reato.
Sull’interpretazione di tale parametro si sono contrapposte due diverse linee dottrinali: da un lato, infatti, si è sostenuta la necessità di una interpretazione che riducesse l’occasionalità ad un significato puramente temporale; dall’altro lato, si è affermata l’opportunità di ancorare l’occasionalità ad una valutazione di natura psicologica. L’interpretazione che adotta un criterio cronologico appare sì ancorata ad un riferimento temporale ma in maniera elastica. Infatti, bisogna considerare che, secondo una tale soluzione esegetica, il termine occasionalità non corrisponde ad un sinonimo di unicità o di episodicità. Dunque ciò che rileva non risulta essere tanto il fatto che la condotta sia stata posta in essere dal minore per la prima ed unica volta, quanto il fatto che la condotta posta in essere sia tale da escludere la tendenza deviante del minore. Tuttavia non può ammettersi uno «sganciamento da ogni criterio di seriazione temporale».
La giurisprudenza che adotta il criterio cronologico valuta positivamente, al fine di ritenere sussistente il requisito dell’occasionalità, l’incensuratezza dell’imputato, l’assenza di denunce anche successive al momento della commissione del fatto e i carichi pendenti del minore.
L’interpretazione psicologica, invece, si fonda sulla necessità di ancorare l’occasionalità, non tanto al fatto, quanto al comportamento. Può quindi dirsi occasionale il comportamento del minore che non risulti voluto, cercato o premeditato; che, in altri termini, risulti essere frutto di una condotta originata da circostanze particolari o contingenti, oppure da pulsioni momentanee, circostanze relazionali, ambientali e culturali «a cui il minore non ha saputo resistere a causa della sua immaturità».
Deve trattarsi, dunque, di un comportamento né premeditato né emersione di un sostrato criminale e ricollegabile alla mutevolezza tipica della minore età, ed in particolar modo, dell’adolescenza. La giurisprudenza di merito si è mostrata decisamente più propensa ad allinearsi ad una interpretazione di natura psicologica.
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