Non possiamo e non dobbiamo


Il consumo del suolo, dovuto alla cementificazione: conseguenze negative sull'ambiente
Non possiamo e non dobbiamo
Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere un articolo di una rivista ad argomento venatorio sui costi nascosti del consumo del suolo, scritto da un ricercatore dell'ISPRA.
Per "consumo del suolo" s'intende, in questo caso, l'utilizzo del territorio per aree urbane, aree industriali o artigianali, aree destinate alle infrastrutture. Insomma tutti quegli spazi non impiegati ad uso agricolo o forestale.
L'articolo spiegava, con l'ausilio di tabelle e cartine, come l'evoluzione della penisola italiana proceda verso un aumento del consumo di suolo significativo, pur non essendo questo giustificato da un incremento di popolazione.
Un aumento indiscriminato della "cementificazione", senza giustificati motivi (si pensi a questo proposito a certe immense "cattedrali nel deserto" che sono sorte in Italia), processo non nato ora, ma che trae origine da alcuni decenni passati di pessima amministrazione, porta come conseguenza alla sottrazione di terreni idonei per l’agricoltura e la forestazione.
Considerando che le risorse alimentari traggono origine dall’agricoltura, e che una percentuale consistente della popolazione mondiale soffre la fame, non possiamo e non dobbiamo continuare su quella strada.
Inoltre questa tendenza, che stiamo registrando negli ultimi anni, in cui i cambiamenti climatici concentrano le precipitazioni in brevi periodi dell’anno, porta ad un dilavamento violento del suolo, peggiorato dalla diminuita superficie di penetrazione delle acque pluviali. La conseguenza è una maggiore quantità di acqua che scorre a valle in direzione dei corsi d’acqua e di fiumi e una diminuzione dell’assorbimento della stessa da parte del suolo. Ecco spiegato, in termini molto succinti, la frequenza di alluvioni, inondazioni, frane e smottamenti che hanno colpito il suolo italiano in tempi recenti. Una parte di tutto questo è favorito da cambiamenti climatici in cui l’opera dell’uomo non è estranea.
Il consumo del suolo dicevamo. Ridurre il consumo del suolo, ridurre il prelievo di risorse minerarie, ridurre lo spreco di acqua, ridurre l’inquinamento delle falde, dei fiumi e del mare, ridurre gli scarichi, soprattutto se dannosi, in atmosfera, significa rispettare l’ambiente e la natura.
Un adagio delle antiche tribù degli indiani Navajo diceva: "L’ambiente non ci viene lasciato in eredità dai nostri padri, ma lo abbiamo in prestito dai nostri figli".
Allora ci dobbiamo chiedere: cosa sta facendo la nostra generazione per consegnare ai nostri figli e nipoti una natura intatta e sufficientemente integra in modo che anche loro, come noi, ne possano godere i benefici ed utilizzare le risorse?
Bisogna riflettere su questi argomenti. Non possiamo, non dobbiamo farci trascinare dalla comoda ed egoistica filosofia "après moi le déluge".
Bisogna riflettere su questi argomenti tutte le volte che dobbiamo prendere delle decisioni, come smaltire un rifiuto domestico, comprare una nuova caldaia, acquistare una nuova auto, acquistare una nuova casa... Una riflessione che ci deve portare a delle decisioni sagge nelle piccole cose, come lo smaltimento di un rifiuto o nelle grandi, come l’acquisto di una casa.
Per queste decisioni i consulenti tecnici hanno un ruolo importante ed una grande responsabilità. Come il medico deve indicare la cura giusta per risolvere un problema di salute, così il consulente tecnico deve indirizzare i propri clienti a delle scelte oculate, che tengano in debito conto il risparmio delle risorse ambientali e del consumo del suolo. Questo non è solo un imperativo categorico di ordine morale, ma anche un vantaggio economico, in alcuni casi consistente, che si riflette sui costi di gestione dei nostri beni immobili e anche di alcuni beni mobili (i mezzi di trasporto).
Se ogni cittadino facesse la sua parte, in rapporto alle proprie possibilità, si riuscirebbe anche a condizionare quei poteri politici che ancora oggi sono insensibili o scettici di fronte a questi problemi (per es. USA, Cina, Russia, ecc...), ottenendo nel corso degli anni futuri un progressivo miglioramento dell’ambiente, senza rinunciare ai confort di vita a cui siamo fino ad oggi abituati.
Fino a qui mi sono limitato a parlare dei risparmi di risorse naturali, in primo luogo l’energia e l’acqua, del contenimento dell’inquinamento. Ho appena accennato del ruolo che, sugli stessi risparmi, hanno le pubbliche autorità. Da loro dipende il governo del suolo, da loro dipendono le leggi che regolamentano la gestione dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi. Da loro dipendono i doveri di ciascun cittadino di fronte a questi temi.
Non abbiamo parlato dei processi industriali.
Sappiamo tutti che una rilevanza consistente (almeno il 30%) di questi parametri sono imputabili ai processi produttivi. Anche in questo caso è necessario che gli imprenditori di tutto il mondo impegnino una parte dei loro introiti allo smaltimento dei rifiuti, al controllo degli scarichi nei corsi d’acqua e delle emissioni in atmosfera. Questo già avviene in alcuni paesi occidentali più industrializzati, come la UE, dove esistono leggi e regolamenti sufficientemente efficaci, ma la cui applicazione non sempre è puntualmente controllata. Nel resto del mondo queste leggi o sono inesistenti o sono allo stato embrionale. In questi paesi, anche se hanno un’industrializzazione spinta, la situazione ambientale risulta molto compromessa. Inoltre proprio in essi si registra, almeno in alcune aree, una concentrazione abitativa elevata, che peggiora ulteriormente l’inquinamento del suolo e dell’aria, perché si va a sommare a quello industriale, a tutto danno della salute di quei cittadini.
In questa situazione di disparità, è compito dei paesi più virtuosi cercare di diffondere la cultura del risparmio delle risorse naturali e del contenimento dell’inquinamento. Non possiamo e non dobbiamo delocalizzare le nostre attività produttive più inquinanti in questi paesi, dove i costi ambientali non sono contemplati e le materie prime sono meno care, in modo da essere più competitivi sui mercati. Questa è una strada che molte aziende italiane e europee hanno imboccato con scarsa lungimiranza. E’ una strada che non possiamo e non dobbiamo percorrere.
Ma torniamo al consumo del suolo. Da una ricerca dell’ISPRA emerge che ormai il territorio nazionale italiano risulta occupato dal suolo artificiale per valori compresi tra il 7% ed il 10%. Tali valori sono previsti in aumento. Se consideriamo che gli effetti del consumo del suolo si ripercuotono a distanze di decine di metri, ne deriva che più della metà del suolo italiano ne è compromesso.
L’effetto della "cementificazione" si ripercuote sulla produzione alimentare, le biomasse, i cicli naturali, la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, soprattutto in termini di erosione delle aree rurali.
La Regione Toscana con la recente Legge Regionale n°3 del 07/02/2017 propone saggiamente dei limiti al consumo del suolo, come indicato nel preambolo della stessa, proponendo un recupero del patrimonio edilizio esistente.
A conclusione di tutte queste considerazioni, e riportando in sintesi i concetti espressi sopra, dobbiamo affermare quanto segue:
Erigere una nuova costruzione, che sia edificio, fabbrica o infrastruttura, comporta un consumo di suolo, di materie prime e di energia.Quando possiamo scegliere, è meglio recuperare un vecchio edificio, un vecchio capannone o rimodernare una vecchia strada, che non costruirne di nuovi.Gli edifici nuovi o recuperati devono essere concepiti in modo da minimizzare i costi energetici, ridurre i consumi di acqua, abbattere le emissioni, gli scarichi e i rifiuti.La produzione di tutti i beni di consumo non durevoli, semidurevoli e durevoli dovrebbero essere prodotti col minor impiego di energia possibile, minor consumo di materie prime (privilegiando i materiali di riciclo), riducendo al minimo gli scarti e gli inquinanti.I beni durevoli, come i veicoli, i grandi mezzi di trasporto plurimo, le navi, i treni e gli aerei, devono essere economici nel loro esercizio, parchi nelle emissioni, sicuri nel loro uso.Non dimentichiamo che l’Uomo vive nella natura, con altri esseri viventi che fanno parte del Regno Animale e del Regno Vegetale: con essi deve continuare a conviverci, preservandone la biodiversità, non turbandone l’equilibrio, perché la loro salute è la sua salute e la sua salvezza.

Noi della nostra generazione, non possiamo e non dobbiamo ignorare questi problemi.

Articolo del:


di Giovan Gualberto Grilli di Cortona

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