Non riesco a pagare. Mi possono pignorare casa?

Non sei riuscito a pagare il mutuo e ora vogliono toglierti casa.
Se è così subirai a breve una procedura esecutiva come debitore da parte della banca o di un altro ente creditore ed è bene che tu sia preparato.
Partiamo dalle basi.
Cos’è precisamente una procedura esecutiva?
La procedura esecutiva è un procedimento con il quale uno o più creditori vedono soddisfatto il proprio credito tramite l’appropriazione diretta o la vendita di un bene del debitore.
Fonte della disciplina di tale istituto nel nostro ordinamento è il libro terzo del Codice di Procedura Civile - da ora “c.p.c.” - che ne distingue, in particolare, due tipologie in base all’oggetto dell’esecuzione:
- “esecuzione mobiliare”: avente ad oggetto beni mobili del debitore purché non rientranti nell’elenco dei beni che la legge ritiene impignorabili perché, ad esempio, necessari per lo svolgimento della sua professione;
- “esecuzione immobiliare”: avente ad oggetto case, terreni, altri immobili.
Le due sono fra loro cumulabili salvo il debitore si opponga [1] chiedendo al giudice dell’esecuzione di far confluire il tutto su uno solo dei suoi beni - a scelta del creditore - in grado di soddisfare il credito di quest’ultimo (438 c.p.c.).
Resta poi da considerare il caso che - ove il bene non sia nell’immediata disponibilità del debitore - la procedura esecutiva rischia di coinvolgere altri soggetti. Si pensi allo stipendio che il datore di lavoro accredita sul conto del nostro debitore detenuto presso la sua banca di fiducia, alla pensione sul suo conto postale o al canone di affitto versatogli dal suo inquilino. In questo caso potrà essere effettuato presso i predetti soggetti un cosiddetto “pignoramento presso terzi” affinché le somme dovute al debitore passino automaticamente al suo creditore.
Fase successiva di entrambe le tipologie di esecuzione inizia quando il creditore si rivolge al giudice dell’esecuzione forzata, competente ex art. 484 c.p.c.. Questo darà poi incarico ad un professionista (generalmente avvocato o notaio) di procedere alla vendita forzata dei beni pignorati. Con il ricavato verrà pagato il/i creditore/i e saranno saldate le spese di procedura. Il resto rimarrà al debitore.
Tornando all’aspetto pratico, dei casi sopra evidenziati quello di maggiore interesse per noi è l’esecuzione immobiliare.
Esecuzione immobiliare: come funziona?
Innanzitutto, il creditore deve procurarsi un “titolo esecutivo” cioè quel documento ufficiale che certifica il suo diritto di credito. Questo può essere una sentenza in suo favore, un decreto ingiuntivo con appostavi sopra una formula esecutiva oppure un assegno.
In tal senso, i titoli esecutivi possono distinguersi in due categorie: titoli giudiziali e titoli stragiudiziali. Dei primi fanno parte, appunto, i provvedimenti giudiziali quali le sentenze di condanna passate in giudicato, le sentenze di primo grado provvisoriamente esecutive e gli altri atti che la legge definisce come “esecutivi”, ad esempio i verbali di conciliazione, le licenze e gli sfratti convalidati; dei secondi fanno parte le scritture private autenticate (per quanto riguarda le obbligazioni di somme in denaro in esse contenute), le cambiali, gli assegni, gli atti ricevuti dal notaio o da altro pubblico ufficiale che sia autorizzato dalla legge a riceverli.
L’elenco totale è stabilito dall’art. 474 c.p.c. cui si aggiungono i titoli esecutivi europei disciplinati dal Regolamento UE n. 805/2004.
Il titolo esecutivo va sempre notificato al debitore affinché a questi sia consentito pagare bonariamente il suo debito entro un certo periodo. Se neanche in questo modo il debitore adempie, il creditore gli notifica un secondo atto - detto “atto di precetto” - tramite l’ufficiale giudiziario. Con questo gli si intima di eseguire il pagamento e liberare l’immobile (entro non meno di 10 giorni) con avvertimento che se esso non verrà eseguito si procederà ad esecuzione forzata tramite pignoramento.
L’atto di pignoramento è quindi l’atto con cui si avvisa il debitore del fatto che, se il debito non verrà pagato, si procederà alla vendita forzata o all’assegnazione dei beni pignorati e con cui si intima al debitore di non disfarsi dei beni oggetto di esecuzione.
Questi sono elencati e descritti in un verbale redatto dal professionista delegato dal quale risultano, oltre che l’ingiunzione e la descrizione di tutte le cose pignorate, il loro stato (tramite rappresentazione fotografica o audiovisiva) e la determinazione approssimativa del loro presumibile valore così come stimato da un esperto tramite una perizia (es. un architetto per gli immobili) [2].
In caso di esecuzione immobiliare, l’atto di pignoramento imporrà al debitore di non disporre della propria abitazione e, quindi, di venderla o donarla.
In tal senso, il pignoramento produce l’effetto di rendere inopponibili al creditore procedente gli atti di disposizione del debitore compiuti sui beni pignorati. Cioè vuol dire che gli stessi, nei confronti del creditore, sono inefficaci, non produttivi di effetti [3].
Nel frattempo, il bene pignorato viene affidato ad un custode giudiziario cui spetta il compito di amministrare e gestire l’immobile.
Così facendo si entra nella seconda fase, quella della liquidazione del credito a seguito dell’assegnazione o della vendita.
Per quanto riguarda quest’ultima, la stessa può eseguirsi secondo due modalità: con o senza incanto.
La prima prevede che il giudice, con proprio provvedimento, stabilisca il giorno, l’ora e il luogo della vendita nonché il prezzo di apertura dell’incanto e la misura minima dell’aumento da apportarsi alle offerte (art. 576 c.p.c.) così da consentire, nell’udienza fissata, a tutti gli interessati all’asta di essere ammessi a dichiarare i rialzi. In tal caso le offerte non sono efficaci se non superano l’offerta precedente nella misura indicata nell’avviso di vendita.
Nel caso della vendita senza incanto, invece, ex art. 570 c.p.c., gli interessati sono ammessi a depositare presso lo studio del professionista delegato un’offerta con indicazione del prezzo, del tempo e del modo del pagamento oltre ad ogni altro elemento utile alla valutazione dell’offerta stessa (art. 571 c.p.c.).
Sull’offerta il giudice sente il debitore e i creditori intervenuti, o comunque aventi diritti di prelazione e, qualora non superi di almeno un quarto il valore stimato dell’immobile, è sufficiente il dissenso di uno solo dei creditori per impedire l’aggiudicazione (art. 572 c.p.c.).
Nel caso si abbiano più offerte il giudice può inoltre indire una gara prendendo a base l’offerta più alta e se la gara non può avere luogo per mancata adesione degli offerenti si aprono due alternative: il G.E. può aggiudicare il bene a colui che ha presentato l’offerta più alta oppure aprire l’incanto (art. 573 c.p.c.). Se aggiudica all’offerta più alta emette un decreto con il quale fissa le modalità e i tempi di versamento del prezzo e, una volta rispettate queste condizioni, il decreto di trasferimento della proprietà dell’immobile (art. 574 c.p.c.).
Detto decreto è il provvedimento con cui materialmente viene traslato il diritto di proprietà ricadente sull’immobile dal debitore, originario proprietario, a colui che se lo è aggiudicato a seguito della procedura.
L’immobile passa a quest’ultimo privo di pegni o ipoteche (trattasi del cosiddetto “effetto purgativo” della vendita da esecuzione forzata).
Il tutto si conclude con la terza fase, quella della distribuzione del ricavato tra i creditori.
Questa si esegue tenendo conto dell’ordine secondo il quale i creditori vanno soddisfatti (periti e professionisti coinvolti nell’esecuzione, creditori muniti di pegni/ipoteche/privilegi, creditori chirografari) e di un preciso progetto di distribuzione chiamato “piano di riparto”.
La formazione del piano può però dare luogo a controversie tra i creditori circa la collocazione dei rispettivi crediti. In questo caso il Giudice dell’Esecuzione sospende il procedimento e, qualora non sia competente a conoscere queste vertenze, rimette le parti davanti al giudice competente. In ipotesi contraria, una volta emesso il provvedimento di sospensione del pagamento delle quote spettanti ai vari creditori, passa ad esaminare la controversia dando luogo a un procedimento di cognizione che si inserisce all’interno del processo esecutivo.
Distribuite le somme l’esecuzione può dirsi conclusa e ciò che resta del ricavato della vendita rimane al debitore.
Quando sarò costretto a lasciare casa?
Una volta spiegate le varie fasi della procedura esecutiva sorge il dubbio sul momento nel quale il debitore dovrà abbandonare l’immobile.
Questo momento si ha già nella seconda fase della procedura non essendo necessario attendere anche la distribuzione del ricavato. Di fatti, è già con il decreto di trasferimento che il G.E. ingiunge al debitore l’abbandono dell’immobile ove ancora occupato.
Salvo intercorra diverso accordo fra aggiudicatario e debitore quest’ultimo deve dunque rilasciarlo autonomamente entro il termine stabilito dal decreto col rischio che, in caso contrario, l’ufficiale giudiziario, potrà avvalersi delle forze dell’ordine per liberarlo coattivamente.
Parimenti accade per un inquilino non esecutato: questo può occupare l’immobile fino all’emissione del decreto di trasferimento ma sarà tenuto a versare, nel frattempo, un canone di locazione sul conto corrente della procedura. Queste somme vengono conteggiate e sommate a quelle derivanti dalla vendita del bene e concorrono al soddisfacimento della pretesa creditoria.[4]
Vi sono situazioni in cui mi può essere garantito più tempo?
La risposta a questa domanda è sì.
Un primo caso si ha grazie alla norma “Bramini” di cui al “Decreto Semplificazioni 2018” (D. L. 14/12/2018 n° 135 convertito con L. 11 febbraio 2019 n. 12), sorta appositamente per tutelare tutti quei cittadini con debiti nei confronti di istituti bancari che però, a loro volta, vantano dei crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione non ancora saldati.
Il momento dello sgombero viene infatti differito a 60 giorni (fino a 90 giorni) dopo l’emissione del decreto di trasferimento dell’immobile ad un altro acquirente.
Una seconda proroga è stata concessa in vista dell’attuale emergenza sanitaria del Covid-19.
A causa del virus e dell’arresto prolungato di molte attività economiche l’art. 54 Ter del Decreto Cura Italia - D.L. n. 18/2020 - ha imposto la sospensione, in tutto il territorio nazionale, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (30 aprile), ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare di cui all’art. 555 del c.p.c. che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore.
La sospensione terminerà il 30 ottobre 2020. Fino ad allora non sarà possibile mettere all’asta le prime case.
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[1] Quella dell’opposizione all’esecuzione è una forma di tutela garantita non soltanto al debitore esecutato ma anche al suo eventuale inquilino in forza di un diritto personale di godimento sul bene oggetto di esecuzione. È per tali ragioni che la giurisprudenza non ritiene ammissibile un’azione di cognizione per l'accertamento di tale diritto dell’inquilino proposta fuori dal procedimento esecutivo (Cassazione civile sez. III, 19/01/2018, n.1259).
[2] La perizia può essere consultata alla cancelleria del tribunale, nello studio del professionista incaricato o su internet, nel caso in cui l’asta venga pubblicizzata sul sito “astetelematiche.it”.
[3] Il pignoramento diviene inefficace, ex art. 497 c.p.c., se dal giorno dell’avvenuta notifica dell’atto di pignoramento trascorrono 90 giorni senza che si proceda ad un tentativo di assegnazione o di vendita dell’immobile. Tuttavia, il creditore non può proporre l’istanza di vendita o di assegnazione se prima non sono trascorsi 10 giorni dal pignoramento.
[4] In caso di mancato rilascio dell’immobile da parte dell’inquilino potrà poi eseguirsi la medesima procedura che si segue per il rilascio coattivo del bene a danni del debitore.
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