Non si può uscire dall'euro con un referendum


Dopo la Brexit si sono fatte sempre più insistenti, nel nostro paese, le richieste di un referendum per sancire l'uscita dell'Italia dall'euro
Non si può uscire dall'euro con un referendum
Con il referendum del 23 giugno 2016 il Regno Unito ha dato il via alla cosiddetta "Brexit", e cioè all'uscita dello stesso Regno Unito dall'Unione europea (e non dalla zona euro, che comprende un numero più limitato di paesi).
Da allora, si sono fatte sempre più insistenti, nel nostro paese, le richieste di un referendum allo scopo di sancire l'uscita dell'Italia dall'euro.
Prima la crisi greca e poi la Brexit hanno imposto prepotentemente all'attenzione la richiesta di un referendum riguardante la presenza italiana in Europa, contestata ormai apertamente da alcune forze politiche e da vari settori dell'opinione pubblica.
Ciò non ha certo chiarito le idee dei potenziali elettori, dato che, senza distinguere con chiarezza le varie ipotesi, si sono mescolate fra di loro cose diverse come l’Unione europea, l’euro ed i vari trattati europei.
L’Unione europea, quale oggi la conosciamo, e da cui il Regno Unito ha deciso di uscire, è frutto di vari trattati internazionali, liberamente sottoscritti dall’Italia.
L’adesione ai Trattati europei comporta una limitazione della sovranità nazionale, più o meno forte a seconda dei settori; tale limitazione, tuttavia, è prevista dall’articolo 11 della Costituzione.
Le leggi con le quali il Parlamento italiano ha ratificato i Trattati europei non possono essere sottoposte a referendum abrogativo, in quanto l’articolo 75 della Costituzione afferma espressamente che "non è ammesso referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali".
Innanzitutto l’Italia ha già ratificato il Trattato con la Legge 2 agosto 2008 n. 130. Secondariamente, tale legge non può, in ogni caso, essere sottoposta a referendum abrogativo, per il divieto contenuto nell’articolo 75 della Costituzione e di cui già si è detto.
Per quanto, infine, si riferisce all’euro, la moneta unica è stata introdotta con il Regolamento 17 giugno 1997 n. 1103, che trova applicazione in tutti gli Stati dell’Unione europea.
Il successivo Regolamento 3 maggio 1998 n. 974 trova applicazione solo negli Stati che sinora hanno adottato l’euro come moneta unica.
Il regolamento è un atto normativo comunitario che vale per l’intero ambito della Comunità e per tutti i soggetti dell’ordinamento comunitario; è, infine, direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
Il regolamento resta, quindi, anche se direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale, un atto dell’Unione europea, non sottoponibile, di conseguenza, a referendum.
In materia non tanto di regolamenti, quanto di direttive (che, al contrario dei regolamenti, se non immediatamente applicabili, devono trovare attuazione nell’ordinamento nazionale) la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi con la sentenza 12 gennaio 1995 n. 8, affermando che è ammissibile la richiesta di abrogazione di una legge ordinaria che attui una direttiva, quando le norme interne impugnate rappresentino una scelta che la direttiva stessa ha rimesso allo Stato nazionale.
Ma ciò conferma che la fonte comunitaria (regolamento o direttiva) non è sottoponibile a referendum.
In Italia, l’euro ha trovato attuazione attraverso il Decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213 (emanato in forza dell’articolo 1, comma 1, della Legge 17 dicembre 1997 n. 433).
Secondo la Corte Costituzionale, eventuali referendum aventi ad oggetto tali norme non sarebbero certamente ammissibili.
Infatti, il divieto di abrogazione referendaria colpisce, oltre che le leggi strettamente collegate all’esecuzione dei Trattati, anche le leggi "produttive di effetti strettamente collegati all’ambito di operatività dei Trattati" (sentenza 13 febbraio 1981, n. 31).
La Corte Costituzionale è giunta così ad escludere la sottoponibilità a referendum di qualsiasi disposizione normativa di qualsiasi legge in qualunque modo collegata con qualsiasi impegno internazionale, fatta eccezione, come si è visto, per le leggi con le quali lo Stato interviene, nel suo ambito di discrezionalità, per l’attuazione di una direttiva comunitaria. In conclusione, il parlare di referendum sull’Unione europea, sul Trattato di Lisbona o sull’euro è pura propaganda, priva di qualsiasi fondamento giuridico.
Ed è bene che lo si sappia.

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di Antonino Rizzo

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