Norme edilizie per il cappotto termico: fattibilità e modifica del prospetto


Interpretazione delle norme che regolamentano le distanze e le modifiche ai prospetti in caso di applicazione del cappotto termico
Norme edilizie per il cappotto termico: fattibilità e modifica del prospetto

Quando si opera un intervento di miglioramento energetico bisogna richiedere il corretto titolo abilitativo per legittimare l’intervento senza rischiare che, in seguito agli accertamenti da parte di ENEA e dell’AdE, si riscontrino incongruenze tali da portare alle sanzioni ed alla perdita dei benefici fiscali. Si tratterà, infatti, di interventi che possono rientrare in diverse categorie che vanno dalla manutenzione straordinaria alla ristrutturazione, categorie soggette a procedure anche molto diverse (CILA; SCIA; permesso a costruire), procedure da avviare solo dopo aver attestato “legittimità dell’esistente” come previsto dal DPR 380/2001.

Senza entrare nel merito specifico di questioni che stanno rovinando il sonno a molti tecnici, è opportuno trattare due questioni a monte della scelta della procedura abilitativa: quella della fattibilità dell’intervento in funzione delle distanze tra gli edifici nel momento in cui su applica un “cappotto” e la modifica dell’aspetto estetico/esteriore del “Prospetto”.

Iniziamo dalle norme specifiche che considerano come inesistente l’incremento di “spessore” dovuto al cappotto e, di conseguenza, non computabile il suo spessore nella misurazione delle distanze. Tali norme si applicano:
•    alle distanze tra fabbricati imposta a livello nazionale dal temuto articolo 9 del d.m. 1444/68);
•    alle distanze dalle strade (posta dal codice della strada) e dalle ferrovie (norma del dpr 753/1980);
•    alle distanze dei regolamenti urbanistici comunali in materia di distanza dai confini o di altezze degli edifici.

La norma in questione è quella del comma 7 dell’articolo 14 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, come recentemente modificato dal decreto legislativo del 14/07/2020 - n. 73. Questo vale per le opere di intervento sull’esistente-legittimo e, quindi, per interventi dalla manutenzione straordinaria fino alla ristrutturazione edilizia ad esclusione, evidentemente, della nuova costruzione. In questi casi lo spessore del cappotto è come se “non esistesse” ragione per cui non viene computato neppure come volume, superficie lorda, altezza. La condicio sine qua non è aver ottenuto una “riduzione” di almeno il 10% dei “limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192”. In assenza di certificazione della riduzione della trasmittanza però nessuna deroga.

Per come è scritta parrebbe che il Legislatore voglia estendere la “deroga” alla generalità delle distanze minime imposte dalle fasce di rispetto, ma così non è. Il fatto che si sia limitato a citare le distanze dai confini, dalle strade e dalle ferrovie non autorizza a ritenere estesa l’agevolazione anche alle distanze dai corsi d’acqua, dai cimiteri, dai pozzi, dagli aeroporti, dalle zone militari, dai limiti demaniali e via dicendo.

E poi c’è un limite costituito dalle norme del Codice Civile, le cui distanze minime il Legislatore fa espressamente salve dalla deroga. E’ il caso di rilevare che tali norme soggiacciono al principio di prevenzione per cui chi interviene per primo condiziona il vicino che opera per secondo, ma sono “disponibili” per accordo tra privati non essendo soggette a tutela pubblicistica. Per cui, in caso di edifici contigui l’operazione non è impedita, ma sarà MEGLIO tutelarsi sottoscrivendo un assenso reciproco tra i vicini per evitare possibili future ripercussioni. In passato però la formulazione era diversa, il legislatore, infatti:
•    disponeva che lo spessore massimo fosse di 25 cm (mentre dal 2020 la norma non pone limiti di spessori massimi, né assoluti né tantomeno percentuali), il che è indubbiamente voluto e condizionato all’ottenimento del massimo risultato energetico ottenibile;
•    stabiliva che il maggior spessore costituisse “deroga” ai parametri urbanistici, mentre dal 2020 lo spessore è qualificato come “inesistente”;
•    estendeva genericamente la deroga per tutti “gli interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti” mentre dal 2020 inquadra la tipologia di interventi nelle categorie previste dal dpr 380/01.

Parlare di “cappotto” richiama inevitabilmente interventi sul prospetto che potrebbe modificarsi o meno a seconda del tipo di intervento. La questione diventa molto delicata, perché la nozione di “prospetto” è affidata alla letteratura tecnica (o alla giurisprudenza) e non esiste una definizione recepita dalla normativa tecnico-amministrativa condivisa.

Su quali siano le implicazioni recentemente apportate dal D.L. n. 76/2020 ai prospetti, dal punto di vista degli atti autorizzativi, vanno apprezzate le modifiche apportate che hanno eliminato il conflitto tra le disposizioni dell’articolo 3, lett. d) del dpr 380/01 con l’articolo 10. Nello specifico, mentre l’art. 3 faceva rientrare nella S.C.I.A. la ristrutturazione con modifica della sagoma e prospetto (a parità di volume), l’art. 10 imponeva sibillinamente il permesso a costruire anche per la sola modifica dei prospetti, sempre a parità di volume.

Oggi invece, le norme ci dicono che una modifica dei prospetti ed anche della sagoma, è soggetta a ristrutturazione con la procedura della S.C.I.A. purché non ci sia aumento di volume e non si sia soggetti a vincolo ex d.lgs. 42/2004. Esiste l’ulteriore caso della modifica dei prospetti rientrante nella manutenzione straordinaria, ma questo vale limitatamente al caso in cui le modifiche siano “necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso”. In ogni caso, anche la manutenzione straordinaria non è applicabile ai casi in cui si pregiudichi “il decoro architettonico dell’edificio” e agli immobili vincolati dal Codice dei Beni Culturali. Quindi con l’introduzione della nuova norma, è possibile ottenere l’autorizzazione in assenza di vincoli ex d.lgs. 42/2004 attraverso la ristrutturazione soggetta a S.C.I.A. poiché il cappotto non costituisce incremento volumetrico.

In merito ai prospetti non possiamo non citare il caso particolare della zona soggetta a vincolo paesaggistico, in questo caso è utile sapere che gli “interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici” compresi gli “interventi di coibentazione volti a migliorare l’efficienza energetica degli edifici”, non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica, o almeno, non lo sono più dall’entrata in vigore del dpr 13.02.2017, n. 31 articolo 2, comma 1 con rinvio all’Allegato A1. Ovviamente l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica non esenta dalla procedura abilitativa edilizia; che però ha le sue eccezioni, condizioni e limitazioni puntualizzate in una specifica circolare esplicativa “Circolare del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo 21.07.2017, n. 42, prot. 21322 “. In effetti le limitazioni e le condizioni della circolare sono in parte oggettive ed in parte equivoche, prestandosi a personalistiche interpretazioni, sintetizzando però si può affermare che:
•    si deve comunque rispettare l’eventuale “piano del colore” se esistente;
•    non devono comportare la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura.
•    l’intervento deve avvenire nel rispetto “delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti”.

E qui si può dare libera interpretazione su quali siano effettivamente le “caratteristiche architettoniche e morfo-tipologiche da non alterare” e, nel caso si presentassero alterazioni, la circolare richiede che “in occasione dell’intervento, vengano ripristinate quelle originarie”. In questo modo non si è più soggetti ad una valutazione di merito sull’esistente, ma anche alla valutazione della congruità del ripristino/restauro dell’originario stato che presenta indubbi elementi di aleatorietà interpretativa da parte degli uffici tecnici e della Soprintendenza.

Se fino ad ora si è discusso di leggi nazionali, le distanze vengono normate inoltre dalle normative locali. Nulla impedisce alle Regioni o ai Comuni di dettare limitatamente però alle norme di propria competenza norme locali in materia di volumi, distanze, altezze, superfici coperte, etc. Ci si ritrova dunque di fronte ad una sovrapposizione normativa di enti con diversa competenza che occorre ricondurre nel corretto ambito. In questo caso la discriminante è il raggiungimento dell’obiettivo energetico della riduzione del 10% della trasmittanza. Se si ricade è in questa ipotesi valgono le esimenti della legge nazionale che su tutto prevale, per cui lo spessore del “cappotto” è come se non ci fosse (per i parametri urbanistico-edilizi e per le distanze di cui si è detto, eccettuate quelle del Codice Civile). Al di fuori da questi casi:
•    quanto ai parametri urbanistico-edilizi, le norme locali possono legittimamente disporre eventuali deroghe;
•    quanto alle distanze di legge, l’unica possibilità di deroga è consentita dall’articolo 2-bis del DPR 380/01 che, al comma 1, consente di derogare soltanto con legge regionale riferita a “specifiche aree territoriali” e per “un assetto complessivo e unitario delle stesse”.

È necessario, dunque, porre particolare attenzione all’eventuale presenza di suddette norme locali che non siano legittimate da questi presupposti, perché in caso di ricorsi rischiano di essere poi travolte in sede giurisdizionale.

Di nessun rilevo per il “cappotto” è poi il comma 1-ter dello stesso articolo 2-bis, introdotto dalle modifiche del D.L. .76/2020, che consente il mantenimento delle distanze preesistenti legittime, in caso di sopraelevazione o ampliamento fuori sagoma o in caso di demolizione-ricostruzione. Se sussistono norme regionali e comunali che ritengono il maggior spessore del cappotto non incidente sui parametri urbanistici, il risultato che deriva rileva che non essendo in presenza di “incremento volumetrico”, la qualificazione delle opere da eseguire ricade nei procedimenti di manutenzione straordinaria o ristrutturazione edilizia.

Infine due precisazioni per evitare equivoci. La prima consiste nel fatto che in ogni caso non è ipotizzabile inquadrare “il cappotto” nelle opere di manutenzione ordinaria. Ciò per testuale definizione dell’articolo 3, lett. a) del DPR 380/01, che definisce manutenzione ordinaria “riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” e neppure di “integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”. E se ci fossero ancora dubbi, la modifica dell’articolo 14 del DPR 380/01, comma 7, apportate dal d.lgs. 73/2020, conferma quanto detto fino ad ora.

La seconda consiste nel fatto che il “cappotto” non può usufruire della norma sulla tolleranza, aggiornata dall’articolo 34-bis introdotto dal D.L. n. 76/2020. La tolleranza è “lo scostamento dalle misure di progetto che il Legislatore ritiene fisiologico che si possa verificare in sede esecutiva” e quindi la tolleranza non può essere già prevista in un nuovo intervento aggiuntivo all’esistente.

 

 

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di arch. Salvatore Erbì

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