Nullità della sentenza di matrimonio e convivenza
La sentenza della Prima sezione civile della Corte di Cassazione, con pronuncia del 20.04.2020, ha confermato l’ormai consolidato orientamento secondo il quale la durata della convivenza osta alla dichiarazione di efficacia di una sentenza del Tribunale ecclesiastico solo se viene espressamente sollevata dalla parte, non potendo la stessa essere rilevata d’ufficio dal giudice.
IL CASO – La Corte d’Appello aveva dichiarato efficace in Italia la sentenza del Tribunale ecclesiastico Regionale che aveva disposto la nullità del matrimonio concordatario tra le parti per incapacità del marito di prestare il consenso al momento delle nozze (cd. capacità consensiva), divenuta definitiva a seguito di decreto di esecutività emesso dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Infatti la Corte d’Appello aveva rilevato il passaggio in giudicato della sentenza ecclesiastica, la corretta instaurazione del contraddittorio (anche se la resistente era rimasta contumace), la non contrarietà della sentenza a norme di ordine pubblico e soprattutto che la non consensività del marito era agevolmente conoscibile dalla moglie, considerata la grave patologia da cui era affetto.
Avverso tale decisione il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione presentava ricorso fondato su tre motivi.
LA DECISIONE – La Suprema corte, rigettando tutti i motivi di ricorso esaminati congiuntamente, da un lato ha ritenuto di dover confermare il proprio orientamento in ordine all’interpretazione in senso restrittivo delle eccezioni in senso stretto; dall’altro ha specificato come la convivenza ultratriennale dei coniugi deve essere necessariamente eccepita dalla parte interessata, senza che la mancata rilevabilità d’ufficio costituisca una compressione dei diritti della parte (anche contumace).
Il Procuratore Generale, infatti, aveva denunciato che la Corte d’Appello, non avendo rilevato d’ufficio la convivenza ventennale delle parti, aveva mancato nella protezione privilegiata del diritto alla vita privata e familiare, “senza minimamente articolare un qualunque ragionamento giuridico sulla posizione soggettiva della moglie che, dopo vent’anni di vita coniugale, ha visto porre nel nulla il suo matrimonio e la sua vita familiare”.
Lo stesso, nel ricorso, invita i Giudici supremi a interrogarsi “sulla giustizia dell’indirizzo che vuole che uno stato laico si conformi alla decisione del giudice canonico, ancorchè esso sacrifichi status, diritti e aspettative della parte spesso svantaggiata nel rapporto e cozzi, tra l’altro, con il sentire comune che stigmatizzi questo genere di scorciatoie per annullare obblighi di solidarietà coniugale”.
La Corte di Cassazione, richiamando il suo orientamento già espresso a Sezioni Unite, ha invece affermato che la Corte di merito ha correttamente fatto applicazione dell'orientamento restrittivo in tema di eccezioni in senso stretto aventi ad oggetto la durata ultratriennale del matrimonio; ha ritenuto di poter rimettere siffatta eccezione alla esclusiva disponibilità della parte in quanto forma di esercizio della responsabilità personalissimi dei coniugi.
Un’ulteriore ragione addotta dalla Suprema Corte a fondamento della propria conclusione si riferisce all'identico regime di eccezione previsto nel procedimento di divorzio ove la parte interessata voglia far rilevare l'interruzione dello stato di separazione, ai sensi della L. 898/1970, art. 3.
In conclusione, quindi, la Corte di Cassazione ritiene di dover subordinare alla scelta delle parti (sollevare o meno un’eccezione) e al loro contegno processuale (costituirsi o meno in giudizio) la dimensione della tutela dei diritti di cui le stesse sono titolari.
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