Nullo il Licenziamento ritorsivo
Nullo il licenziamento intimato a seguito del rifiuto di aderire alla sospensione dal lavoro quale unica ragione del provvedimento espulsivo
Il caso è quello di un lavoratore che è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo in quanto si era rifiutato di aderire a un programma di riduzione del personale.
Il Tribunale di Verona - Sezione Lavoro - con Ordinanza n. 6526/2015 del 26.10.2015 resa allo Studio, ha dichiarato nullo in quanto ritorsivo, il licenziamento formalmente giustificato sulla base di una esigenza di riorganizzazione e di riduzione dei costi.
Nella motivazione si legge che "viene considerato di natura ritorsiva il licenziamento che costituisca l’ingiusta ed arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente quindi di natura vendicativa. Conformemente all’insegnamento della Cassazione, per affermare il carattere ritorsivo e quindi la nullità del provvedimento espulsivo occorre specificamente dimostrare che l’intento discriminatorio o di rappresaglia ha avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso e quindi ai fini della configurazione di un provvedimento legittimo".
Ripercorrendo brevemente in fatti di causa, B.A., era stato destinatario di un provvedimento del datore di lavoro che disponeva il suo licenziamento per riorganizzazione dell’assetto societario, dovuto alla crisi economica in atto, con conseguente soppressione del posto di lavoro.
Il lavoratore ha impugnato il provvedimento chiedendone l’accertamento dell’illegittimità e della conseguente nullità/inefficacia per vizio insanabile di forma, motivo illecito determinante, ritorsivo e discriminatorio.
Il Giudice del Tribunale di Verona, a motivazione della propria decisione, ha rilevato che la stretta contiguità temporale tra azione del lavoratore (il quale si era rifiutato di "sottoscrivere" l’accordo preteso dall’azienda che prevedeva la sospensione del lavoro finalizzata alla riduzione del personale) e la reazione del datore di lavoro (avvio della procedura di licenziamento del lavoratore) assieme all’insussistenza della ragione oggettiva di natura economica per cui il licenziamento era stato irrogato, rendono tale licenziamento nullo in quanto di natura ritorsiva "essendo troppo vicini temporalmente i due accadimenti per non ritenere che il primo, ossia il diniego da parte di B.A. alla sottoscrizione dell’accordo, sia stata la causa del secondo, ovvero il licenziamento del lavoratore".
Quindi, nessun giustificato motivo oggettivo era da riscontrare nelle reali motivazioni del licenziamento intimato dal datore di lavoro, fondato soltanto su un motivo illecito, ossia la ritorsione datoriale a fronte del rifiuto del dipendente di sottoscrizione di un accordo "che avrebbe comunque posto fine al rapporto di lavoro".
Il caso dimostra la possibilità di estensione interpretativa dei confini del concetto di licenziamento discriminatorio. La Corte di Cassazione ha più volte affermato (cfr. Cass. 6286/2011; Cass. 3837/1997) che l’insieme di norme in materia di licenziamento e atti discriminatori (art. 4 L. 604/1966, art. 15 L. 300/1970 e art. 3 della L.108/1990) può essere esteso fino a ricomprendervi anche condotte arbitrarie meramente ritorsive, stabilendo come "l’area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, che costituisce cioè l’ingiusta o arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente di natura vendicativa".
L’ordinanza in commento si configura come un’importante concretizzazione di questo principio, volta ad estendere l’area della tutela dei diritti e degli interessi del lavoratore subordinato, in particolare l’interesse alla conservazione e alla stabilità del posto di lavoro, che non vanno sacrificati in ossequio al principio della libertà di iniziativa dell’imprenditore ex art. 41 Cost..
È onere del datore di lavoro dimostrare l’effettività delle ragioni poste a fondamento del licenziamento, restando insindacabile la scelta imprenditoriale solo laddove ne siano provate l’effettività e la non pretestuosità, in modo tale che il Giudice possa, nel decidere, attuare un congruo bilanciamento degli interessi in conflitto.
Il Tribunale di Verona - Sezione Lavoro - con Ordinanza n. 6526/2015 del 26.10.2015 resa allo Studio, ha dichiarato nullo in quanto ritorsivo, il licenziamento formalmente giustificato sulla base di una esigenza di riorganizzazione e di riduzione dei costi.
Nella motivazione si legge che "viene considerato di natura ritorsiva il licenziamento che costituisca l’ingiusta ed arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente quindi di natura vendicativa. Conformemente all’insegnamento della Cassazione, per affermare il carattere ritorsivo e quindi la nullità del provvedimento espulsivo occorre specificamente dimostrare che l’intento discriminatorio o di rappresaglia ha avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso e quindi ai fini della configurazione di un provvedimento legittimo".
Ripercorrendo brevemente in fatti di causa, B.A., era stato destinatario di un provvedimento del datore di lavoro che disponeva il suo licenziamento per riorganizzazione dell’assetto societario, dovuto alla crisi economica in atto, con conseguente soppressione del posto di lavoro.
Il lavoratore ha impugnato il provvedimento chiedendone l’accertamento dell’illegittimità e della conseguente nullità/inefficacia per vizio insanabile di forma, motivo illecito determinante, ritorsivo e discriminatorio.
Il Giudice del Tribunale di Verona, a motivazione della propria decisione, ha rilevato che la stretta contiguità temporale tra azione del lavoratore (il quale si era rifiutato di "sottoscrivere" l’accordo preteso dall’azienda che prevedeva la sospensione del lavoro finalizzata alla riduzione del personale) e la reazione del datore di lavoro (avvio della procedura di licenziamento del lavoratore) assieme all’insussistenza della ragione oggettiva di natura economica per cui il licenziamento era stato irrogato, rendono tale licenziamento nullo in quanto di natura ritorsiva "essendo troppo vicini temporalmente i due accadimenti per non ritenere che il primo, ossia il diniego da parte di B.A. alla sottoscrizione dell’accordo, sia stata la causa del secondo, ovvero il licenziamento del lavoratore".
Quindi, nessun giustificato motivo oggettivo era da riscontrare nelle reali motivazioni del licenziamento intimato dal datore di lavoro, fondato soltanto su un motivo illecito, ossia la ritorsione datoriale a fronte del rifiuto del dipendente di sottoscrizione di un accordo "che avrebbe comunque posto fine al rapporto di lavoro".
Il caso dimostra la possibilità di estensione interpretativa dei confini del concetto di licenziamento discriminatorio. La Corte di Cassazione ha più volte affermato (cfr. Cass. 6286/2011; Cass. 3837/1997) che l’insieme di norme in materia di licenziamento e atti discriminatori (art. 4 L. 604/1966, art. 15 L. 300/1970 e art. 3 della L.108/1990) può essere esteso fino a ricomprendervi anche condotte arbitrarie meramente ritorsive, stabilendo come "l’area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, che costituisce cioè l’ingiusta o arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente di natura vendicativa".
L’ordinanza in commento si configura come un’importante concretizzazione di questo principio, volta ad estendere l’area della tutela dei diritti e degli interessi del lavoratore subordinato, in particolare l’interesse alla conservazione e alla stabilità del posto di lavoro, che non vanno sacrificati in ossequio al principio della libertà di iniziativa dell’imprenditore ex art. 41 Cost..
È onere del datore di lavoro dimostrare l’effettività delle ragioni poste a fondamento del licenziamento, restando insindacabile la scelta imprenditoriale solo laddove ne siano provate l’effettività e la non pretestuosità, in modo tale che il Giudice possa, nel decidere, attuare un congruo bilanciamento degli interessi in conflitto.
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