L'assegno divorzile in caso di nuova relazione dell’ex coniuge
L’assegno divorzile: cos’è e quando viene concesso
L’art. 5, comma 6 della legge 1/12/1970, n. 898, (legge che disciplina il divorzio, o per meglio dire i casi di scioglimento del matrimonio), prevede la possibilità che con la sentenza di pronuncia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, possa disporre l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
Com’è cambiata negli anni la funzione dell’assegno?
Vediamo innanzitutto che funzione veniva attribuita all’assegno divorzile. Le prime letture di tale strumento, gli attribuivano una funzione esclusivamente assistenziale, ma si potevano individuare due diverse interpretazioni circa il parametro a cui commisurare questo obbligo. Una prima corrente riteneva che il coniuge economicamente più debole avesse diritto all’assegno se non dotato dei mezzi adeguati per mantenere il tenore di vista tenuto durante il matrimonio. Altra corrente, invece, focalizzandosi sul fatto che trattasi di una solidarietà post coniugale, riteneva che il Giudice non potesse spingersi fino a riconoscere lo stesso stile e tenore di vita precedente, bensì dovesse disporre il contributo solo laddove il coniuge debole non avesse i mezzi adeguati per vivere dignitosamente, a prescindere dalla vita a cui era abituato in costanza di matrimonio.
Su questi dubbi ed ombre interpretative, si staglia così un primo importantissimo intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, nel 1990 (Cass. civ., sez. un., 29.11.1990, nn. 11489, 11490, 11491, 11492) dettano importanti principi sul tema, destinati a durare per quasi trenta anni.
Gli Ermellini, innanzitutto, in queste note pronunce evidenziano a gran voce la sola funzione assistenziale dell’assegno, precisando, poi, che è necessario distinguere due fasi, quella dell’an debeatur, ovvero se deve essere concesso, e quella del quantum, ovvero in che misura, i cui rispettivi giudizi dovevano fondarsi su criteri totalmente diversi e distinti.
Più precisamente, infatti, secondo la Corte, i Giudici, nel valutare se concedere o meno l’assegno, dovevano soltanto verificare se il coniuge debole avesse o meno i mezzi adeguati ed il parametro per verificare ciò era il tenore di vita familiare. Mentre nel quantificarne l’ammontare, dovevano considerare i criteri espressamente enunciati nella parte centrale della norma e quindi, le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi.
Lo scorrere del tempo ed il cambiamento della società, tuttavia, iniziavano ad erodere questo granitico orientamento, posto che l’assegno divorzile così interpretato diveniva un prolungamento, irragionevole, oltre la fine del matrimonio, dell’obbligo di assistenza tra coniugi, ed apriva la strada a numerosissimi casi di coniugi “parassiti”.
Nel 2017 la Prima Sezione della Corte di Legittimità (con pronuncia Cass. civ., Sez. I, Sent. 10/05/2017, n. 11504) coraggiosamente si rende responsabile di un vero e proprio revirement sul punto, ribadendo la funzione assistenziale, ma sostenendo fermamente che dovesse essere disposto l’assegno al solo fine di consentire l’indipendenza economica del coniuge economicamente debole.
Nel 2018 (Cass. civ., sez. un., 11/7/2018, n. 18287) le Sezioni Unite intervengono, pertanto, per ricomporre il contrasto creatosi, con una soluzione del tutto innovativa rispetto al passato.
Gli Ermellini precisano, innanzitutto che l’adeguatezza dei mezzi del coniuge debole dovesse essere valutata con riferimento agli elementi elencati dall’art.5, comma 6, senza alcun riferimento ad elementi esterni quali ad esempio il tenore di vita coniugale. Ma la novità più rilevante è che accanto alla funzione assistenziale, viene attribuita all’assegno divorzile una nuova funzione, quella compensativa perequativa. Più precisamente, infatti, i Giudici, nel disporre il contributo, avrebbero dovuto raffrontare le condizioni economiche dei coniugi, per poi valutare un contributo che non soltanto consentisse al coniuge debole il raggiungimento dell’autosufficienza economica, bensì altresì in concreto il livello reddituale adeguato al contributo che il medesimo ha fornito alla vita familiare.
L’assegno può essere revocato o modificato?
Occorre premettere che tutto ciò che riguarda gli status personali e gli assetti familiare può essere sempre soggetto a modifica laddove siano intervenuti dei cambiamenti.
L’art. 13 della Legge 06/03/1987, n. 74, che ha modificato l’art. 9 della legge 1/12/1970, n. 898 così disciplina il punto “Qualora sopravvengono giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6.”
Pertanto, rispondendo, al quesito che ci siamo appena posto, la risposta è sì, l’assegno divorzile ben può essere successivamente revocato o modificato, se ad esempio cambiano le condizioni economiche dei coniugi o se colui che lo percepisce passa a nuove nozze.
Ma cosa succede nel caso in cui, invece, quest’ultimo instauri una nuova relazione senza contrarre nuove nozze?
La nuova relazione è un elemento idoneo per ottenere la revoca dell’assegno?
Sul tema si è pronunciata qualche giorno fa la Corte di Cassazione, Sez. I, Ord. 18/10/24, n. 27043, richiamando il suo più recente orientamento.
La Suprema Corte già negli anni passati si era espressa nel senso che “l'instaurazione da parte dell'ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all'assegno, in relazione alla sua componente compensativa (Cass. S.U. 32198/2021; Cass. 14256/2022).”
Ciò inevitabilmente come conseguenza necessaria della doppia natura dell’assegno, assistenziale e compensativa perequativa che non può che comportare altresì un temperamento del principio della perdita "automatica ed integrale" del diritto all'intero assegno di divorzio all'instaurarsi di una nuova convivenza.
Ciò che deve essere dimostrato per ottenere la revoca dell’assegno non è tanto la stabile convivenza, quanto che l’ex coniuge percipiente di assegno abbia un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, (…) (Cass. 3645/2023).
Insomma, secondo gli Ermellini, la coabitazione, al più potrà essere valutata come un elemento indiziario, da valutare non individualmente, bensì nel complesso con i fatti secondari noti, e con gli eventuali argomenti di prova. Parimenti, dunque, l’assenza di coabitazione non è di per sé elemento dirimente per mantenere l’obbligo di assegno divorzile, se sussiste comunque un nuovo progetto di vita. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno a mero titolo esemplificativo richiamato alcuni elementi indiziari di un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, quali l'esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare.
La Corte, pertanto, con la sua recentissima pronuncia ha stabilito che l'instaurazione di una stabile convivenza di fatto da parte dell'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile può incidere sul diritto a tale assegno, sia quanto alla sua sussistenza che alla sua quantificazione. Tuttavia, essa non determina necessariamente la perdita automatica e integrale del diritto all'assegno, in particolare in relazione alla sua componente compensativa.
Nel caso di specie, pertanto, dichiarando inammissibile il ricorso, ha confermato la pronuncia della Corte d’Appello di Roma che aveva solo parzialmente modificato l’importo dell’assegno, non revocandolo, in quanto il ricorrente non aveva dimostrato a sufficienza la formazione di una nuova famiglia di fatto, non essendo prova sufficiente di una sostanziale comunione e condivisione di vita e impegni economici i viaggi e le vacanze estive della coppia o la frequentazione domestica.
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