Obblighi genitoriali dalla bi-genitorialità alla co-genitorialità
Un'interpretazione della legge in materia di affido condiviso che la sovrapponga, alla stregua di un banale automatismo, ad eguali tempi di permanenza del figlio minore di genitori separati o divorziati presso ciascuno di essi, si traduce in un'errata applicazione della legge stessa sotto il profilo sostanziale e processuale.
E' il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza in data 17 settembre 2020, n. 19323, al fine di garantire il miglior interesse del minore nel concreto ed effettivo quadro di dinamiche innescate dalla disgregazione del nucleo famigliare.
A questo scopo il Giudice chiamato a dirimere un conflitto tra i genitori opera mediante «un giudizio prognostico circa la capacità del singolo genitore di crescere ed educare il figlio, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno in passato ha svolto il proprio ruolo, con particolare riguardo alla capacità di relazione affettiva, nonché mediante l'apprezzamento della personalità del genitore (Cass., Sez. VI-I, 19/07/2016, n. 14728; Cass., Sez. VI-I, 23/09/2015, n. 18817; Cass., Sez. I, 27/06/2006, n. 14480)» e sempre al fine di «garantire il diritto del minore "di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori", tanto che, avendo in tal modo dimostrato il legislatore di ritenere che l'affidamento condiviso costituisca il regime ordinario della condizione filiale nella crisi della famiglia (Cass., Sez. I, 8/02/2012, n. 1777), la sua derogabilità, non consentita neppure in caso di grave conflittualità tra i genitori (Cass., Sez. I, 29/03/2012, n. 5108), risulta possibile solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore" (Cass., Sez. I, 17/01/2017, n. 977)».
Uno di questi casi, per così dire, sensibili, è costituito da quello deciso dalla Suprema Corte nella sentenza citata ove, stante «la distanza esistente fra i luoghi di vita dei genitori imponga al minore di sopportare tempi e sacrifici di viaggio tali da comprometterne gli studi, il riposo e la vita di relazione» il Giudice «il giudice può individuare un assetto nella frequentazione che si discosti da questo principio tendenziale al fine di assicurare al bambino la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena».
Sul piano processuale, l'intervento del Giudice, strumentalmente necessario alla garanzia del miglior interesse del minore deve essere il risultato di una valutazione ponderata «che, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all'esplicazione del loro ruolo educativo" (Cass., Sez. I, 13/02/2020, n. 3652)».
Discostarsi da questo assetto non significa tuttavia necessariamente limitare gli spostamenti del bambino. E' vero, infatti, che la libertà di movimento del genitore non può in alcun modo essere limitata dal Giudice, salvo il caso in cui essa non risulti apertamente incompatibile con il miglior interesse del minore, nel qual caso, tuttavia, non si assisterebbe ad alcun intervento sul genitore che intenda spostarsi ma, semmai, sul regime di affidamento del minore convivente con il medesimo.
Nel quadro della «regola dell'affidamento condiviso si rivela perciò la scelta tendenzialmente preferenziale (Cass., Sez. I, 6/03/2019, n. 6535)» è il Giudice a dover individuare la soluzione più confacente all'esigenza del minore figlio di genitori separati, specie quando gli stessi siano anche dislocati ad una considerevole distanza tra loro.
E, secondo il principio per il quale la legge sull'affido condiviso deve essere attuata al di fuori di miopi automatismi, il Giudice, laddove nella possibilità dei genitori, i quali non ne siano impediti da insormontabili ostacoli, individuerà una soluzione entro la quale gli stessi collaborino, in esercizio dei doveri genitoriali, l'uno con l'altro, anche, se del caso, nel trasporto del minore dall'uno all'altro. In tal modo non solo si eviterà che questa operazione gravi soltanto sul genitore non convivente, ciò traducendosi in un'ingiustificata discriminazione del ruolo di uno dei due genitori, ma soprattutto nell'ingiustificato privilegio (a danno del minore) del genitore convivente, immotivatamente esonerato dall'obbligo di cooperare con l'altro al fine di garantire al figlio la frequentazione che i limiti, ad es. di assenza dal lavoro del genitore non convivente, potrebbero gravemente compromettere, laddove, appunto, mancasse la collaborazione dell'altro.
In ciò si attua il transito dalla bi-genitorialità alla co-genitorialità in un quadro di adempimento degli obblighi parentali, gravante su entrambi i genitori in egual misura ed a tutela dell'interesse del figlio a beneficiare dell'apporto di entrambi, incluso quello con il quale convive.
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