Obbligo di iscrizione all'Albo gestori ambientali


Sussiste l’obbligo di iscrizione all’ANGA per chi trasporta anche occasionalmente rifiuti propri
Obbligo di iscrizione all'Albo gestori ambientali

Obbligo di iscrizione all’Albo gestori ambientali per chi trasporta anche occasionalmente rifiuti propri: lo conferma con due recenti pronunce la Corte di Cassazione Penale, Sezione III, sentenze n.44438 del 27 settembre 2017 e n. 2290 del 19 gennaio 2018.

La pronuncia n.44438 del 27/09/2017 prende avvio dal ricorso per cassazione presentato avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Treviso con la quale veniva dichiarata in primo grado la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui all’articolo 256, comma 1, lettera a), del D.lgs. n.152/06, per aver trasportato con un autocarro rifiuti non pericolosi (parti di veicoli fuori uso) derivanti dalla propria attività di titolare di carrozzeria e demolizioni di veicoli, in assenza della necessaria autorizzazione ovvero l’iscrizione all’Albo gestori rifiuti.

Il tribunale di prima face dopo aver ribadito, sulla scia di consolidati principi giurisprudenziali, che il reato contestato all’imputato è da annoverare tra i reati comuni e ad effetto istantaneo per il cui perfezionamento è sufficiente la sussistenza anche di un solo episodio di trasporto in assenza della prescritta autorizzazione, conclude per la condanna dell’imputato per il reato ascrittogli.

Il ricorrente presentava ricorso in Cassazione sostenendo l’occasionalità della condotta che, in quanto tale, mancante il carattere della sistematicità e ripetitività della stessa, ne escluderebbe la rilevanza penale.

Di diverso avviso è stata la suprema Corte che con la sentenza in commento conferma la condanna dell’imputato per il trasporto non autorizzato di rifiuti propri di cui all’art.256, comma 1, lett.a), del D.lgs.n.152/06, in quanto, richiamandosi a precedenti proprie pronunce (cfr. sentenza n.8979 del 2 marzo 2015 e sentenza n.8193 del 24 giugno 2016 entrambe della III Sez. Penale), conclude che è sufficiente anche una sola condotta seppur occasionale a configurare la fattispecie delittuosa contestata.

Il supremo consesso giunge a tale conclusione dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa succedutasi nel tempo relativamente al trasporto di rifiuti propri non pericolosi ed in particolare evidenziando come l’attuale disciplina si discosti da quella precedente.

Infatti, vigente il decreto Ronchi (D.lgs.n.22/97), il trasporto di rifiuti prodotti nell’ambito della propria attività di impresa non rientrava tra quelle attività soggette ad obbligo di iscrizione all’Albo dei gestori ambientali (cfr. articolo 30 del D.lgs.22/97) e pertanto le imprese che raccoglievano e trasportavano rifiuti non pericolosi autoprodotti, anche in caso di trasporto abituale e a titolo professionale, erano esentati dall’obbligo di iscrizione suindicato e, pertanto, tale attività era esclusa dalle fattispecie delittuose previste dall’art.51 del decreto Ronchi.

Tale scenario normativo muta radicalmente a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea del 9 giugno 2005, causa C-270/03,con la quale l’Italia veniva condannata per violazione dell’articolo 12 della allora vigente Direttiva sui rifiuti n.91/156/CEE, in quanto veniva rilevata la incompatibilità con gli obblighi imposti dalla normativa europea e più precisamente, secondo la Corte, l’Italia aveva dato una interpretazione troppo restrittiva dell’art.12 suindicato, avendo escluso dall’obbligo di iscrizione/autorizzazione le imprese che trasportavano ordinariamente i rifiuti dalle stesse prodotti.

Più precisamente l’articolo 12 della Direttiva 91/156/CE stabiliva che le imprese che provvedono alla raccolta e al trasporto di rifiuti a titolo professionale dovevano essere iscritti presso le competenti autorità; invece, l’articolo 30 del D. lgs. n.22/97 nel disciplinare il trasporto dei rifiuti, prevedeva l’obbligo di iscrizione all’Albo solo delle imprese che svolgevano la raccolta ed il trasporto di rifiuti prodotti da terzi; in altre parole il legislatore italiano nel recepire la normativa europea sui rifiuti aveva fatto coincidere il trasporto di rifiuti a “titolo professionale”,a cui faceva riferimento la citata Direttiva 91/156/CEE, con il trasporto in “conto terzi” cioè non prevedendo analogo obbligo di iscrizione per tutti coloro che producendo rifiuti provvedevano in proprio a trasportarli.

Dalla sentenza di condanna della Corte di Giustizia europea si ricavano alcuni punti salienti:

  1. la nozione di impresa che provvede a”titolo professionale” non va limitata, come aveva fatto l’Italia, alle imprese di trasporto conto terzi ma, al contrario, va estesa anche alle imprese che svolgono tali attività in proprio qualora il trasporto costituisca una delle attività ordinarie da cui esse traggono reddito o vantaggio economico;
  2. tale attività di trasporto dei propri rifiuti deve rappresentare un attività ordinaria e regolare se pur non esclusiva.

In sintesi la Corte ribadisce che la nozione di trasporto di rifiuti a titolo professionale contenuta nell’articolo 12 suindicato si riferisce non solo a coloro che trasportano, nell’esercizio della loro attività professionale di trasportatori, rifiuti prodotti da terzi, ma anche a coloro che, pur non esercitando la professione di trasportatori, nondimeno trasportino nell’ambito della loro attività professionale rifiuti da essi prodotti.

A seguito di tale pronuncia il nostro paese si è adeguato alle conclusioni della sentenza comunitaria prevedendo l’attuale formulazione dell’articolo 212, comma 8, del D.lgs 152/06, che prevede, rispetto al passato, l’obbligo di iscrizione all’Albo gestori ambientali anche per le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare, nonché le imprese che trasportano i rifiuti pericolosi autoprodotti nei limiti di 30 kg o litri al giorno.

Più precisamente l’attuale formulazione dell’articolo 212 sopra richiamato prevede un regime ordinario di iscrizione per tutte le imprese che esercitano professionalmente l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti pericolosi e non pericolosi prodotti da terzi (cfr comma 5), ed un regime semplificato (cfr comma 8) per le imprese che effettuano la raccolta ed il trasporto esclusivamente prodotti da se stesse, a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti.

In merito a queste ultime connotazioni dell’attività dell’impresa va precisato che l’attività del trasporto per essere sottoposta al regime semplificato di cui sopra, deve avere i caratteri dell’ordinarietà e continuità, cioè deve trattarsi di attività inserita nell’organizzazione dell’impresa, sia pur in via accessoria.

Il regime semplificato disciplinato dall’art.212, comma 8, più volte citato, prevede che l’iscrizione di tali soggetti viene fatta sulla base della sola presentazione della comunicazione alla Sezione regionale competente dell’Albo, che rilascia il relativo provvedimento entro i successivi 30 giorni con la differenza, rispetto al regime ordinario, che tali imprese non sono tenute a dimostrare il possesso di idonee garanzie finanziarie mediante la sottoscrizione di polizze fidejussorie così come non sono tenute alla nomina

di un responsabile tecnico né a possedere i requisiti tecnici prescritti per le procedure di iscrizione ordinarie.

Tornando al merito della sentenza in commento la Suprema Corte rileva che i trasporti occasionali, episodici, di rifiuti non pericolosi, che mancano dei caratteri descritti nella sentenza di condanna emessa dalla Corte di Giustizia europea e fatti propri dall’attuale formulazione dell’articolo 212 del D.lgs.n.152/2006, se pur non obbligano le imprese che li producono ad iscriversi all’Albo nazionale gestori ambientali, nondimeno li autorizza a provvedere al loro trasporto con propri veicoli; quindi, in tali casi, le imprese che producono rifiuti non pericolosi nell’esercizio della propria attività imprenditoriale devono rivolgersi alle imprese iscritte e regolarmente autorizzate dall’Albo gestori ambientali; di conseguenza il trasporto di tali rifiuti con mezzi propri e senza autorizzazione integra una condotta sanzionabile ai sensi dell’articolo 256, comma 1, del D.lgs.152/06.

Tale orientamento giurisprudenziale si consolida con la più recente pronuncia in materia emessa della Suprema Corte la quale con la sentenza n.2290 del 19 gennaio 2018 ha ribadito che chi trasporta, anche occasionalmente, i propri rifiuti non pericolosi è obbligato ad iscriversi all’Albo Nazionale gestori Ambientali in categoria 2 bis, anche per un solo trasporto.

Di conseguenza la mancata iscrizione, o comunicazione , rende il trasporto abusivo e sanzionato come attività di gestione illecita di rifiuti così come aveva già sancito la medesima Sezione III della Cassazione con la pronuncia n.26435 del 23 marzo 2016 rilevando che anche in ipotesi di trasporti occasionali e episodici di rifiuti propri non pericolosi con mezzi propri e non autorizzati, anziché attraverso imprese esercenti servizi di smaltimento iscritte all’Albo gestori, il soggetto risponde del reato contravvenzionale di cui al primo comma dell’art.256 del D.lgs 152/06,

Lo stesso collegio precisa, inoltre, che se invece il trasporto non è occasionale ma continuato e organizzato, allora integra la fattispecie di reato più grave (delitto) quale l’attività organizzata per traffico illecito di rifiuti di cui all’art.260, comma 1, del medesimo decreto legislativo.

 

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Leonardo Di Cunzolo

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