Occupazione: il grande inganno
Quanto sono affidabili i dati sull’occupazione? Quanto sono utili i provvedimenti adottati dal Governo per favorire la crescita?
A giudicare da quanto si legge, ultimamente, l’occupazione pare avere innescato un trend positivo: nei primi tre mesi dell'anno, ci sono state oltre 2 milioni 578 mila assunzioni, superando di più di 95 mila unità il dato dello stesso periodo del 2014 (+3,8%); sempre su base annua, diminuiscono i licenziamenti (-12,3%), seppure, complessivamente, i lavoratori interessati dalle cessazioni di attività siano stati un milione 314 mila 593 (ossia: +1,6%), al confronto con le cifre dei 12 mesi precedenti.
Questi i dati resi noti dal Ministero del Welfare, diffondendo i numeri delle comunicazioni obbligatorie riguardanti il primo trimestre del 2015 e specificando come i nuovi rapporti lavorativi riguardino, al 70%, il settore dei servizi (1 milione e 800 mila unità), comparto che, sottolineano dal Dicastero di via Veneto, rispetto allo stesso trimestre del 2014, aumenta del 4% il numero di contratti avviati; nell'agricoltura e nell'industria, il volume di attivazioni è rispettivamente pari a 389 mila 859, e 386 mila 756 unità (nel complesso, le due aree produttive costituiscono una quota di circa il 15% del totale dei contratti partiti): sebbene il settore agricolo rimanga sostanzialmente invariato rispetto allo stesso trimestre del 2014, quello industriale registra un incremento di nuove contrattualizzazioni del 6,4% (+7,3% nell'industria in senso stretto; +5% nel comparto delle costruzioni).
Tali dati, pur non invitando all’euforia generale, parrebbero quanto meno lasciar intendere che la deriva negativa si sia arrestata e si possa legittimamente sperare in un’inversione di tendenza. Il condizionale è d’obbligo, non tanto per rituali scaramantici o normale prudenza, quanto a seguito di una più attenta analisi delle cause che possono aver prodotto i citati risultati.
È indubbio, infatti, che il nuovo esonero contributivo ha motivato non poco i datori di lavoro a dar corso, massivamente, a nuove assunzioni. Le ragioni paiono evidenti:
- un dipendente, a conti fatti, costa meno di un lavoratore a progetto e non comporta il rischio di problemi ispettivi concernenti la qualificazione del rapporto;
- a differenza della previgente Legge 407/1990, la nuova misura vale solo per il corrente 2015 (e, a dire il vero, senza ulteriore copertura finanziaria, potrebbe anche non essere in grado di far fronte a tutte le richieste dell’anno), pertanto è evidente che si verifichi una specie di corsa all’assunzione, prima di restare completamente tagliati fuori;
- la normativa 2014 che ha contingentato i contratti a tempo determinato, parametrandoli al numero complessivo dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, ha conferito ulteriore appeal per le assunzioni 2015;
- da un punto di vista psicologico, poi, anche le note diramate dalle organizzazioni internazionali, le quali hanno recentemente incominciato a segnalare almeno l’uscita dell’Italia dalla fase acuta di recessione, potrebbero aver giocato un ruolo importante.
Insomma, a parere di chi scrive, i dati positivi concernenti quest’inizio d’anno erano più che presumibili e, semmai, ci si sarebbe dovuti stupire (oltre che, fortemente preoccupare) del contrario.
Altra brevissima riflessione: Equitalia e l’Agenzia delle Entrate sbandierano, orgogliose, le entrate in crescita. Attenzione, però, che anche questi dati dipendono dall’obbligo di "risanare" il DURC da parte di quegli imprenditori che intendono beneficiare dell’esonero contributivo; oltre che, naturalmente, dalla nuova e premiale normativa afferente la rateizzazione (quasi una sorta di condono) dei debiti pregressi.
Tutti palliativi temporanei. Come osserverebbe il grande Keynes, in economia non si inventa niente: tutto è collegato e vale solo fino a quando non mutano le concause che generano il trend positivo.
Ma cosa ci riserverà il futuro?
Personalmente, riteniamo che, così come un fabbricato per essere sicuro e duraturo deve erigersi su solide fondamenta, parimenti, senza provvedimenti strutturali che costituiscano le basi economiche indispensabili, l’effetto boost occupazionale si esaurirà in maniera direttamente proporzionale allo scadere delle temporanee misure di legge sopra menzionate.
Ebbene, quasi a voler scongiurare un ritorno ai vecchi metodi di occupazione contestualmente allo spirare delle agevolazioni contributive appena adottate, il Governo ha assestato un definitivo colpo di accetta ai vari CO.CO.CO, CO.CO.PRO e associati in partecipazione, licenziando i decreti attuativi del Jobs Act: a partire dall’entrata in vigore del decreto, non potranno più esserne attivati (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza), ma comunque, a partire dal 1° gennaio 2016, ai rapporti di collaborazione personali che si concretizzino in prestazioni di lavoro continuative ed etero-organizzate dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve solo le collaborazioni continuative regolamentate da accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali. Vengono, viceversa, confermati gli attuali limiti per i contratti a tempo determinato, e il sistema dei voucher, pur aumentando la soglia massima per lavoratore fino a 7.000 euro, viene blindato dalla tracciabilità per evitarne un "uso improprio".
Ora, pare lecito domandarsi:
Cosa succederà quando i datori di lavoro non avranno più la possibilità di godere dell’esonero contributivo, non potranno ricorrere al tempo determinato e non si ritroveranno neppure il "salvagente" delle collaborazioni a progetto?
Annegheranno nell’oceano del "lavoro nero"?
In conclusione, dunque, per evitare che certi comunicati non costituiscano soltanto l’ennesimo grande inganno perpetrato ai danni del profanum vulgus, occorreranno menti competenti che consiglino seri e concreti provvedimenti strutturali in grado di far ripartire in maniera definitiva e duratura l’intero sistema economico.
In caso contrario, il barcone italiano è destinato a emulare quelli che, quotidianamente, cercano di approdare nel Belpaese col loro carico greve di anime in cerca di speranza, che mai diverrà realtà.
Questi i dati resi noti dal Ministero del Welfare, diffondendo i numeri delle comunicazioni obbligatorie riguardanti il primo trimestre del 2015 e specificando come i nuovi rapporti lavorativi riguardino, al 70%, il settore dei servizi (1 milione e 800 mila unità), comparto che, sottolineano dal Dicastero di via Veneto, rispetto allo stesso trimestre del 2014, aumenta del 4% il numero di contratti avviati; nell'agricoltura e nell'industria, il volume di attivazioni è rispettivamente pari a 389 mila 859, e 386 mila 756 unità (nel complesso, le due aree produttive costituiscono una quota di circa il 15% del totale dei contratti partiti): sebbene il settore agricolo rimanga sostanzialmente invariato rispetto allo stesso trimestre del 2014, quello industriale registra un incremento di nuove contrattualizzazioni del 6,4% (+7,3% nell'industria in senso stretto; +5% nel comparto delle costruzioni).
Tali dati, pur non invitando all’euforia generale, parrebbero quanto meno lasciar intendere che la deriva negativa si sia arrestata e si possa legittimamente sperare in un’inversione di tendenza. Il condizionale è d’obbligo, non tanto per rituali scaramantici o normale prudenza, quanto a seguito di una più attenta analisi delle cause che possono aver prodotto i citati risultati.
È indubbio, infatti, che il nuovo esonero contributivo ha motivato non poco i datori di lavoro a dar corso, massivamente, a nuove assunzioni. Le ragioni paiono evidenti:
- un dipendente, a conti fatti, costa meno di un lavoratore a progetto e non comporta il rischio di problemi ispettivi concernenti la qualificazione del rapporto;
- a differenza della previgente Legge 407/1990, la nuova misura vale solo per il corrente 2015 (e, a dire il vero, senza ulteriore copertura finanziaria, potrebbe anche non essere in grado di far fronte a tutte le richieste dell’anno), pertanto è evidente che si verifichi una specie di corsa all’assunzione, prima di restare completamente tagliati fuori;
- la normativa 2014 che ha contingentato i contratti a tempo determinato, parametrandoli al numero complessivo dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, ha conferito ulteriore appeal per le assunzioni 2015;
- da un punto di vista psicologico, poi, anche le note diramate dalle organizzazioni internazionali, le quali hanno recentemente incominciato a segnalare almeno l’uscita dell’Italia dalla fase acuta di recessione, potrebbero aver giocato un ruolo importante.
Insomma, a parere di chi scrive, i dati positivi concernenti quest’inizio d’anno erano più che presumibili e, semmai, ci si sarebbe dovuti stupire (oltre che, fortemente preoccupare) del contrario.
Altra brevissima riflessione: Equitalia e l’Agenzia delle Entrate sbandierano, orgogliose, le entrate in crescita. Attenzione, però, che anche questi dati dipendono dall’obbligo di "risanare" il DURC da parte di quegli imprenditori che intendono beneficiare dell’esonero contributivo; oltre che, naturalmente, dalla nuova e premiale normativa afferente la rateizzazione (quasi una sorta di condono) dei debiti pregressi.
Tutti palliativi temporanei. Come osserverebbe il grande Keynes, in economia non si inventa niente: tutto è collegato e vale solo fino a quando non mutano le concause che generano il trend positivo.
Ma cosa ci riserverà il futuro?
Personalmente, riteniamo che, così come un fabbricato per essere sicuro e duraturo deve erigersi su solide fondamenta, parimenti, senza provvedimenti strutturali che costituiscano le basi economiche indispensabili, l’effetto boost occupazionale si esaurirà in maniera direttamente proporzionale allo scadere delle temporanee misure di legge sopra menzionate.
Ebbene, quasi a voler scongiurare un ritorno ai vecchi metodi di occupazione contestualmente allo spirare delle agevolazioni contributive appena adottate, il Governo ha assestato un definitivo colpo di accetta ai vari CO.CO.CO, CO.CO.PRO e associati in partecipazione, licenziando i decreti attuativi del Jobs Act: a partire dall’entrata in vigore del decreto, non potranno più esserne attivati (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza), ma comunque, a partire dal 1° gennaio 2016, ai rapporti di collaborazione personali che si concretizzino in prestazioni di lavoro continuative ed etero-organizzate dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve solo le collaborazioni continuative regolamentate da accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali. Vengono, viceversa, confermati gli attuali limiti per i contratti a tempo determinato, e il sistema dei voucher, pur aumentando la soglia massima per lavoratore fino a 7.000 euro, viene blindato dalla tracciabilità per evitarne un "uso improprio".
Ora, pare lecito domandarsi:
Cosa succederà quando i datori di lavoro non avranno più la possibilità di godere dell’esonero contributivo, non potranno ricorrere al tempo determinato e non si ritroveranno neppure il "salvagente" delle collaborazioni a progetto?
Annegheranno nell’oceano del "lavoro nero"?
In conclusione, dunque, per evitare che certi comunicati non costituiscano soltanto l’ennesimo grande inganno perpetrato ai danni del profanum vulgus, occorreranno menti competenti che consiglino seri e concreti provvedimenti strutturali in grado di far ripartire in maniera definitiva e duratura l’intero sistema economico.
In caso contrario, il barcone italiano è destinato a emulare quelli che, quotidianamente, cercano di approdare nel Belpaese col loro carico greve di anime in cerca di speranza, che mai diverrà realtà.
Articolo del: