Offesa a pubblico ufficiale, quale punizione?
Poiché l'art. 18 L. 25.06.1999 n. 205 ha abrogato il delitto di cui all'art. 341 bis c.p., il comportamento di chi offenda l'onore e il prestigio di un pubblico ufficiale in sua presenza e a causa delle sue funzioni, va riqualificato come ingiuria con la conseguenza che va dichiarata l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela.
L'art. 18 L. 25.06.1999 n. 205 ha abrogato la norma che prevedeva il delitto di oltraggio, ma non ha fatto venir meno la rilevanza penale del fatto-reato sussunti nella fattispecie di oltraggio: non può, quindi, trovare applicazione il comma 1, art. 2 c.p. qualora l'azione sia stata commessa con minaccia in danno del pubblico ufficiale, conservando il comportamento di rilevanza penale, ai sensi degli artt. 612 e 61 n.10 c.p.
Ai sensi dell'art. 18 L. 25.06.1999 n. 205, se non siano riscontrabili gli estremi di alcun reato perseguibile d'ufficio, la Corte di Cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, con eliminazione della pena inflitta.
Poiché il delitto di oltraggio è stato abrogato e, poiché, esso tutelava il prestigio o il decoro del pubblico ufficiale, la sua abrogazione ne rende inapplicabile l'ipotesi criminosa ex art. 594 c.p. solo a querela. Le due fattispecie criminose non sono legate dal mero principio di specialità, dovendosi, piuttosto, parlare d'assorbimento del reato di ingiuria in quello di oltraggio; nel caso di specie la abrogatio criminis non dà luogo ad ipotesi di successione di leggi nel tempo.
L' art. 18 L. 25.06.1999 n. 205, abrogando l'art. 341 bis c.p. ha dato luogo a una vera e propria abolitio criminis, nel senso che il fatto costituente reato di oltraggio non è più previsto dalla legge come reato, dovendosi escludere che il bene giuridico già protetto dalla norma abrogata sia lo stesso di quello in vigenza che continua ad avere protezione nella perdurante delle norme penali che puniscono l'ingiuria e la minaccia, ancorché aggravate dalla circostanza di cui all'art.61 n.10 c.p., ipotesi di reato rispetto alle quali l'oltraggio a pubblico ufficiale andava considerato come fattispecie assorbente e speciale.
Non ricorre l'ipotesi di cui all'art.2, secondo comma, c.p. quando lo stesso fatto sia punito in base a due leggi coeve, allorché una di esse identifichi una condotta integrante gli estremi di un diverso reato previsto dall'altra, se la prima legge rimanga in vigore e la seconda venga abrogata. In tal caso, non si verifica l'automatica "vigente”, sia perché ancora il comma terzo dell'art.2 c.p., riferendosi a leggi posteriori, preveda l'ipotesi di una legge successiva rispetto ad altra anteriore, sia perché una diversa interpretazione susciterebbe dubbi di applicazione costituzionale, in quanto comporterebbe l'applicazione della norma rimasta in vigore a un fatto anteriore (art.25 Cost.) così violandosi il principio di irretroattività della legge penale e urterebbe con l'art.112 Cost.
In ogni caso, l'applicazione della norma contrasterebbe la natura del fenomeno dell'abrogazione, che opera ex nunc. A seguito dell'entrata in vigore dell'art.18 L. 25.06.1999 n. 205 il fatto costituente oltraggio deve ritenersi conseguente e penalmente irrilevante, con applicazione dell'art. 2 comma primo, c.p., non potendosi configurare quel fenomeno che lo faccia sussumere in ipotesi di ingiuria e/o minaccia aggravate ai sensi dell'art. 61 n.10 c.p., essendo figure criminose dirette alla protezione di differenti beni giuridici. E' sollevata, con riferimento agli artt.3 e 27, comma 2, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 341 bis c.p. Introdotto dall'art.1, comma sette, L. 15.07.2009 n. 94 nella parte in cui punisce con la reclusione fino a tre anni la condotta di chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico e, in presenza di più persone, offende l'onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio e a causa o nell'esercizio delle sue funzioni.
La pena massima edittale di tre anni di reclusione prevista dal'art. 341 bis c.p. si porrebbe in contrasto con il principio di proporzionalità della pena, sancito dall'art.27, comma 2, Cost., da leggersi anche attraverso il prisma dell'art.49, paragrafo Il, della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea.
L’art.341 bis, comma 1, c.p., prevede che, inverso alla previgente normativa, debbano ricorrere alcuni requisiti e cioè della commissione del fatto in luogo pubblico o aperto al pubblico, in presenza di più persone e mentre il pubblico ufficiale compie un atto del suo ufficio, escludendosi la rilevanza del fatto a titolo di oltraggio allorché l'offesa sia proferita in ragione di un precedente atto d'ufficio del pubblico ufficiale, in diverso contesto spaziale e temporale.
Nella nuova fisionomia risultante dalla riforma del 2009, I'oltraggio si configura come delitto offensivo anche del buon andamento della pubblica amministrazione, sub specie di concreto svolgimento dell'attività del pubblico ufficiale, non diversamente da quanto accade per il delitto di cui all'art,337 c.p.: delitto che viene così a collocarsi in rapporto di possibile progressione criminosa rispetto all'oltraggio, in relazione al non remoto pericolo che la reazione verbale contro il pubblico ufficiale possa trasmodare in un'aggressione minacciosa o, addirittura, violenta nei suoi confronti, ad opera dello stesso autore del reato o dei terzi che, debbano, necessariamente, essere presenti al momento del fatto.
Può ritenersi fondata la censura formulata con riferimento al principio di proporzionalità della pena: principio la cui base giuridica sia individuata nel solo art. 27 comma due, Cost., ma che la giurisprudenza riterrebbe fondato sul combinato disposto di tale norma e dell'art. 3 Cost., il Giudice a quo nel sottolineare che la giurisprudenza costituzionale più recente ha gradatamente affrancato il sindacato di conformità al principio di proporzione della pena edittale segnata dal tertium comparationis, da cui mutuare il modello di sindacato sulla proporzionalità della pena.
Il Giudice avrebbe dovuto dolersi del fatto di applicare il massimo della pena edittale di tre anni e convertirla in pena pecuniaria ai sensi dell'art. 53 L. 24.11.1981 n. 689.
Potrebbe, comunque, trovare accoglimento la pena di quindici giorni di reclusione perché, oltretutto, risulterebbe conforme ai dettami degli artt. 3 e 27, comma due, Cost., che risulterebbe, oltretutto, precedente giurisprudenziale.
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