Oggi la gente conosce il prezzo di tutto e il valore di niente


L’importanza delle scelte di pianificazione previdenziale in un Paese in cui nei prossimi decenni i pensionati saranno di più dei lavoratori
Oggi la gente conosce il prezzo di tutto e il valore di niente

Il titolo del presente articolo, ripresa da Oscar Wilde si adatta benissimo ai nostri tempi.

Il commercio elettronico, con il quale in pochi click dal nostro smartphone possiamo confrontare prezzi e prodotti, da un lato semplifica la scelta e preme sul nostro desiderio latente di appagamento tramite l’acquisto di un bene o servizio, che può sfociare in casi estremi nell’acquisto compulsivo.

L’altro lato nascosto di questa facilità di acquisto è che tendiamo a focalizzarci sempre di più sul prezzo, perdendo di riferimento il valore. Per valore intendo tutti quei benefici che si traggono dall’acquisto e dal godimento di un bene o servizio, e che essendo legati alla sfera di fruizione personale, non sono espressi dal prezzo. Richiedono uno sforzo di valutazione più approfondito. Ovviamente non mi riferisco all’acquisto di beni standardizzati, ma di tutto ciò che ha delle declinazioni diverse in funzione del fruitore/utilizzatore.

Solo così possiamo spiegarci come in un Paese dove tra trent’anni in Italia i pensionati saranno più dei lavoratori, e dove le prospettive per le future pensioni (con la rivalutazione dei contributi indicizzata alla crescita del P.I.L. italiano) sono magre, a fronte di un interesse in crescita per la previdenza integrativa, non si assiste a un incremento importante di aderenti a questa forma di risparmio previdenziale.

E’ vero che i salari in Italia sono bassi, che assistiamo a una forte precarizzazione del lavoro e tutto ciò spinge a non prendere impegni di lungo periodo, ma occorre fare focus sul valore che tali scelte, fatte soprattutto dai giovani lavoratori, possono dare.

In prima battuta va ricordato che al momento della pensione ci sarà una riduzione del reddito disponibile. Essersi creato nel tempo un cuscinetto capace di assorbire (almeno parzialmente) tale riduzione ci aiuterà ad affrontare meglio l’età pensionistica, considerando tra l’altro che l’età media di vita si allunga e in questa fase di allungamento può essere necessario sostenere maggiori spese per la salute.

Non vanno trascurati i vantaggi fiscali che lo stato garantisce a chi sottoscrive forme di previdenza complementare: innanzitutto, la deducibilità completa di quanto viene versato annualmente (questo fa sì che mi possa ritrovare un risparmio fiscale dal 23 al 43% di quanto versato); gli accantonamenti al fondo pensione sono poi esenti da imposta di bollo sugli investimenti (pari allo 0,2% annuo – che su orizzonti ultradecennali costituisce un altro vantaggio  importante). La tassazione della rivalutazione di quanto accantonato sulla forma previdenziale ha un trattamento di favore (rispetto agli investimenti finanziari) con una aliquota del 20% anziché del 26%.

Anche nella fase finale di erogazione della rendita ci sono dei vantaggi non indifferenti: la parte di capitale frutto dei versamenti (la parte derivante da rivalutazione è tassata annualmente) andrà in tassazione separata (quindi non fa cumulo con la pensione Inps ed eventuali altri redditi), con una aliquota del 15%, ridotta dello 0,3% per ogni anno di partecipazione a forme pensionistiche successivo al 15°, con uno sconto massimo del 6% (il che equivale ad una tassazione del 9%).

Sarebbe opportuno rivolgersi anche in questo tipo di scelta ad un consulente che possa dare un consiglio personalizzato su come impostare i versamenti sullo strumento previdenziale e che nel tempo lo adatti in una logica adatta al ciclo di vita lavorativo (riducendo le oscillazioni di valore dello strumento man mano che mi avvicino all’orizzonte della pensione). Oppure valutare se e fino a che punto sfruttare i vantaggi dei fondi negoziali, piuttosto che fare una semplice destinazione del TFR. Lasciare quest’ultimo in azienda assicura una rivalutazione dello stesso in base a un coefficiente legato all’inflazione (rivalutazione che negli ultimi 10 anni è stata tendenzialmente più basso di quanto poi maturato sulle varie forme di previdenza integrativa). Inoltre, lasciare il TFR in azienda potrebbe espormi al rischio di vedere sfumare il capitale a cui ho diritto nel caso di fallimento della stessa.

 

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di Antonio Pugliese

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