Olismo: il nuovo alfabeto della Salute (parte I)
Il Mondo delle Tecniche Naturali, della Naturopatia con il loro linguaggio seduttivo e alternativo fino a che punto è veramente qualcosa di nuovo?
"Del resto neanche il vincitore sa di aver imparato una convinzione e niente più; il Maestro e il Libro lo rassicurano che ciò che ha imparato non solo non è realtà arbitraria, ma è convenzione che ha forza di legge; addirittura gli mettono nel cervello che il suo modo di parlare sia <> perché <>."
Gualtiero Harrison "Antropologia Psicologica": Cap V <>" CLEUP 1988
Qualche anno fa Piero Parietti (1), dalle pagine di un lettissimo RIZA Scienze si chiedeva:
"Sarà ancora possibile rimanere sempre all’interno del codice concettuale che regola attualmente la pratica professionale, o sarà necessario sapersi muovere anche all’interno di codici differenti? Ma quali potranno essere questi codici?"
Possiamo credere alla necessità di un alfabetizzazione Olistica delle nostre teorie psicologiche, della psicoterapia? E non sarà allora un’altra teoria, semplicemente, che si avvicenderà a ciò che abbiamo reputato ormai superato, vecchio? Leggo un vecchio capitolo di un testo universitario di Antropologia e mi convinco di un rischio. Come l’Antropologo mi chiedo cosa mi faccia vedere ogni volta la parola "vecchio". Harrison commenta analogie e differenze tra i giochi dei ragazzi lampedusani che si allenano a divenire pescatori e gli stessi ragazzi che frequentano la scuola: "Anche sui banchi di scuola apparentemente questi ragazzi ritrovano la stessa situazione: il meno capace viene bocciato, ripete la stessa classe e frequenta l’anno successivo insieme ai ragazzi più giovani di lui. La differenza che c’è tra le due situazioni è che il sistema scolastico, l’insegnante e i compagni di classe, costantemente gli ricorderanno che è il più vecchio. E la bocciatura non sarà mai più un recupero, da punizione per lo scarso rendimento di un anno diventerà colpa per tutta la futura vita scolastica".
Abbiamo abituato il nostro occhio al tempo ed alle sue facce illusorie, un tempo che sembra punirci con la vecchiaia e che dobbiamo esorcizzare in gioventù facendo nostre parole come rendimento, prestazione, capacità. Fin da bambini impariamo a conoscere la vita come un percorso, un percorso di accumulazione; più abilità, più competenze, più opportunità, più reddito, più sicurezza. E dove qualcosa si aggiunge inevitabilmente qualcosa viene meno, DEVE VENIR MENO, altrimenti a che pro accumulare? E allora meno rischi, meno malattie, meno imprevisti. Hillman (2), 75enne, pubblica "La Forza del carattere" (Adelphi) nel tentativo di restituire alla parola "vecchio" ciò che è sempre stato suo; ovvero, a suo avviso, la Forza di rivelare ciò che crescendo abbiamo attivamente, anche se spesso inconsapevolmente, dovuto nascondere, osteggiare. Allora balugina dentro di me il fatto che anche <<naturale>>, parola spesso utilizzata come equivalente di <<olistico>>, è una parola che non rivela ma impone sulle nostre visioni un’ulteriore teoria, un inutile ulteriore velo. Ed anche la parola "tradizionale" mi sembra improvvisamente una parola che vuole qualcosa dalla realtà; una parola che ha interrogato la realtà ed ha emesso una sentenza su di essa.
Se l’Olismo vuole sfuggire le trappole dell’alfabetizzazione di se stesso dovrà essere sempre più vicino, per dirla con Krishnamurti, a <<ciò che è>> (3).
La Terapia va da qualche parte? Evolve? Talvolta sentiamo parlare di pazienti "evoluti" che hanno trasformato la loro visione ottenendone miglioramenti della loro sintomatologia; e scopriamo che possono essere pazienti che "sublimano" o che vivono giornate fatte di tisane e di meditazione; pazienti che ascoltano le "parti sane" o che si "mettono in discussione". Ma ci sono pazienti che raccontano altro; la loro giornata è fatta di "dischi rotti", di favole dove scopriamo che ogni finale è in realtà la premessa a cui il (falso) movimento della fiabazione li riconduce, inesorabilmente; pazienti sempre immersi in "pantani" che non sono l’effetto della loro storia ma la "cifra", la gestalt della loro esistenza.
(CONTINUA)
Gualtiero Harrison "Antropologia Psicologica": Cap V <>" CLEUP 1988
Qualche anno fa Piero Parietti (1), dalle pagine di un lettissimo RIZA Scienze si chiedeva:
"Sarà ancora possibile rimanere sempre all’interno del codice concettuale che regola attualmente la pratica professionale, o sarà necessario sapersi muovere anche all’interno di codici differenti? Ma quali potranno essere questi codici?"
Possiamo credere alla necessità di un alfabetizzazione Olistica delle nostre teorie psicologiche, della psicoterapia? E non sarà allora un’altra teoria, semplicemente, che si avvicenderà a ciò che abbiamo reputato ormai superato, vecchio? Leggo un vecchio capitolo di un testo universitario di Antropologia e mi convinco di un rischio. Come l’Antropologo mi chiedo cosa mi faccia vedere ogni volta la parola "vecchio". Harrison commenta analogie e differenze tra i giochi dei ragazzi lampedusani che si allenano a divenire pescatori e gli stessi ragazzi che frequentano la scuola: "Anche sui banchi di scuola apparentemente questi ragazzi ritrovano la stessa situazione: il meno capace viene bocciato, ripete la stessa classe e frequenta l’anno successivo insieme ai ragazzi più giovani di lui. La differenza che c’è tra le due situazioni è che il sistema scolastico, l’insegnante e i compagni di classe, costantemente gli ricorderanno che è il più vecchio. E la bocciatura non sarà mai più un recupero, da punizione per lo scarso rendimento di un anno diventerà colpa per tutta la futura vita scolastica".
Abbiamo abituato il nostro occhio al tempo ed alle sue facce illusorie, un tempo che sembra punirci con la vecchiaia e che dobbiamo esorcizzare in gioventù facendo nostre parole come rendimento, prestazione, capacità. Fin da bambini impariamo a conoscere la vita come un percorso, un percorso di accumulazione; più abilità, più competenze, più opportunità, più reddito, più sicurezza. E dove qualcosa si aggiunge inevitabilmente qualcosa viene meno, DEVE VENIR MENO, altrimenti a che pro accumulare? E allora meno rischi, meno malattie, meno imprevisti. Hillman (2), 75enne, pubblica "La Forza del carattere" (Adelphi) nel tentativo di restituire alla parola "vecchio" ciò che è sempre stato suo; ovvero, a suo avviso, la Forza di rivelare ciò che crescendo abbiamo attivamente, anche se spesso inconsapevolmente, dovuto nascondere, osteggiare. Allora balugina dentro di me il fatto che anche <<naturale>>, parola spesso utilizzata come equivalente di <<olistico>>, è una parola che non rivela ma impone sulle nostre visioni un’ulteriore teoria, un inutile ulteriore velo. Ed anche la parola "tradizionale" mi sembra improvvisamente una parola che vuole qualcosa dalla realtà; una parola che ha interrogato la realtà ed ha emesso una sentenza su di essa.
Se l’Olismo vuole sfuggire le trappole dell’alfabetizzazione di se stesso dovrà essere sempre più vicino, per dirla con Krishnamurti, a <<ciò che è>> (3).
La Terapia va da qualche parte? Evolve? Talvolta sentiamo parlare di pazienti "evoluti" che hanno trasformato la loro visione ottenendone miglioramenti della loro sintomatologia; e scopriamo che possono essere pazienti che "sublimano" o che vivono giornate fatte di tisane e di meditazione; pazienti che ascoltano le "parti sane" o che si "mettono in discussione". Ma ci sono pazienti che raccontano altro; la loro giornata è fatta di "dischi rotti", di favole dove scopriamo che ogni finale è in realtà la premessa a cui il (falso) movimento della fiabazione li riconduce, inesorabilmente; pazienti sempre immersi in "pantani" che non sono l’effetto della loro storia ma la "cifra", la gestalt della loro esistenza.
(CONTINUA)
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