Oltre la subordinazione, le nuove tutele per i rider
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La recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto nuove tutele normative per i “rider”, sebbene mediaticamente abbia fatto assai scalpore, risulta essere solo e soltanto la degna successione giurisprudenziale al decreto 81/2015 ed alla legge 128/2019.
A ben guardare, tuttavia, le questioni sollevate sono ben più antiche e riguardano financo il dettato normativo dell’articolo 2094 del Codice Civile. Lo stesso articolo, in rapporto a quanto affermato dagli ermellini, ha manifestato, purtroppo, tutta la sua attuale inadeguatezza ad estendere il proprio raggio di tutela alle cosiddette “nuove professioni”.
Parallelamente a ciò ed in via indiretta, ma assai chiara, la sentenza ha manifestato la circostanza che vada, ormai, necessariamente anche rivisto il ruolo delle organizzazioni sindacali soprattutto con riferimento a quello svolto da quelle identificate come “maggiormente rappresentative”.
La circostanza che la materia di oggetto risulti complessa lo dimostra, poi, anche la circostanza che il Ministero del Lavoro e l’Ispettorato del Lavoro per ben tre volte siano stati, nel corso del 2020, costretti ad intervenire sull’argomento con circolari esplicative.
La verità è che il diritto del lavoro da sempre segue eventi non scritti, ma che anticipano il legislatore anche se poi sarà la giurisprudenza a fare il resto ed a delimitare il quadro di riferimento del settore.
Una riflessione di sociologia del lavoro risulta necessaria, a questo punto, in aggiunta ed a complemento di quella connessa ai dettati normativi ed agli assunti giurisprudenziali.
Questa risulta correttamente sviluppabile a partire da una semplice considerazione.
Oggi Asso Delivery applica un determinato ccnl assimilando i propri rider ai lavoratori autonomi mentre Just Eat esce dal ccnl individuato e considera i propri operatori come possibili lavoratori subordinati.
Sebbene forte sia stata nella vicenda l’impatto del disposto stabilito dal Jobs Act risulta forse opportuno, per comprendere, partire da una considerazione sociologica ancora più esegetica.
L’economia 4.0 ha portato alla creazione di un vero e proprio “sistema di lavoro 4.0” e la pandemia, con lo smart working e la conseguente necessità di ripensare l’istituto della cassa integrazione e l’ambito di esplicazione della normativa inerente la sicurezza sui luoghi di lavoro, ha imposto la necessità di una totale trasformazione del mercato del lavoro.
Il problema in tutto ciò è che il rider prima di essere qualificato come un “fattore di produzione del sistema” è un essere umano che sebbene in linea generale, e per disposto normativo, dovrebbe essere esente dalle dinamiche del lavoro a cottimo nella realtà, spesso, vi risulta, oltre al caso di specie, totalmente soggiogato secondo una dinamica che lo vede, ormai, obbligato a sacrificare la propria sicurezza su un altare fatto di mero bisogno monetario.
Produrre più in fretta per vendere di più? Non proprio, produrre più in fretta per riuscire a sopravvivere. Il vero problema attuale è che bisognerebbe creare una base autonoma, fra tutte le varie tipologie lavorative, inerente principalmente agli aspetti fondamentali della retribuzione affinché le logiche del lavoro a cottimo possano venire estromesse non solo a livello formale ma anche sostanziale.
Non urge, quindi, forzare il concetto di “subordinazione lavorativa”, ma semplicemente regolamentare in via omnicomprensiva l’istituto al fine di evitare la creazione di zone grigie fra il lavoro autonomo e quello subordinato.
Il rider alla fine è risultato essere questo, non un essere umano, con dei bisogni e delle speranze, ma semplicemente un “ingranaggio indefinito e non codificato” del sistema produttivo pandemico.
La sentenza 1633/2020 lascia, quindi, tante questioni giuridiche irrisolte e risulta essere, pertanto, solo un’apparente soluzione al problema. Se è vero che cambiando il mondo cambia anche il fenomeno lavoro, che ne risulta essere la dimensione declinatoria fondamentale, è parimente vero che oggi l’accesso più facile alle nuove professioni non corrisponde ad un paritario accesso alle tutele previste per le stesse.
La sociologia del lavoro si propone di fornire concetti e conoscenze di base per l’analisi del lavoro, dell’economia e delle organizzazioni nella società contemporanea, utili all’elaborazione di un giudizio critico sulle principali dinamiche economiche, del lavoro e organizzative analizzate apprendo un metodo generale che per permetta di approcciare in modo autonomo e critico i fenomeni legati al funzionamento del lavoro, dell’economia e delle organizzazioni nella società, attraverso la lettura di dati, fonti e un’analisi di processo.
Bene, in tal senso le richieste di gel e mascherine, fatte in via cautelare dai rider ai propri datori di lavoro, e concesse agli stessi con decreto inaudita altera parte, sono servite proprio a questo; ad aprire la strada al riconoscimento dei rider non come lavoratori ma in primis come “esseri umani” e poi come lavoratori. Ieri de jure condendo, oggi de jure condito.
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