Omesso versamento dei tributi
La Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi nuovamente sul reato di omesso versamento dei tributi a fronte del caso di un amministratore di una società a responsabilità limitata condannato in primo e in secondo grado alla pena di 12 mesi di reclusione per omesso versamento di ritenute dovute o certificate e di omesso versamento di Iva.
L’amministratore che ha proposto il ricorso in Cassazione, deciso con sentenza n. 29544 del 19 gennaio 2017, era stato condannato per non aver versato per l'anno 2009 una somma pari a complessivi euro 137.764 di Iva e per gli anni 2008 e 2010 somme pari rispettivamente a euro 158.216,91 e euro 110.528,40 a titolo di ritenute dovute o certificate.
I motivi di cui al ricorso in Cassazione sono stati i seguenti:
a) la sopravvenuta irrilevanza penale delle condotte di omesso versamento poiché gli importi non versati erano inferiori alle nuove soglie di rilevanza penale stabilite dal D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74 (successivamente novellato con il D.Lgs 158/2015);
b) la mancata considerazione da parte della Corte d'appello della insussistenza dell'elemento psicologico dei reati ascrittigli, non essendo state valutate in maniera adeguata – secondo la difesa – le difficoltà finanziarie della società amministrata, in conseguenza delle quali non erano stati corrisposti gli importi dovuti.
c) la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 13 D.lgs. 74/2000, introdotta dall'art. 11 del d.lgs. 158 del 2015, avendo richiesto ad Equitalia (oggi Agenzia delle Entrate – Riscossione) la rateizzazione in 72 mensilità del debito tributario portato dalla cartella emessa nei suoi confronti, con decorrenza dal 15 ottobre 2012 al 15 settembre 2018, provvedendo regolarmente a corrispondere quanto dovuto per ogni rata.
Per quanto riguarda il punto a), le soglie di punibilità dei reati di omesso versamento Iva, di ritenute e di indebita compensazione sono state modificate (e innalzate) dal D.Lgs 158/2015. In particolare, il precedente D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74 prevedeva una soglia di 50 mila euro per l’omesso versamento dell’Iva innalzata a 250.000 euro per ciascun anno fiscale, mentre le nuove soglie previste per l’omissione di versamenti delle ritenute e per l’indebita compensazione, così come sono state modificate, sono rispettivamente di 150.000 euro e 50 mila euro.
L’elemento soggettivo previsto per i reati tributari è il dolo di evasione, ovvero la volontà precisa di non versare quanto dovuto e l’oggetto di tutela è l’interesse erariale all’integrale riscossione delle imposte. Le nuove soglie di punibilità rendono penalmente lecita l’omissione di versamenti di somme al di sotto delle soglie nuove, introducendo una abolitio criminis parziale. La giurisprudenza più recente ha osservato che «la soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico […], con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del Legislatore circa l'assenza nella condotta incriminata di una "sensibilità" penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività» (cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2016, n. 6105).
Date le nuove soglie di punibilità, la Cassazione ha rilevato che per l’omesso versamento i.v.a. del 2009 e delle ritenute per l’anno 2010, tali limiti non sono stati superati, dunque, ha accolto il ricorso assolvendo l’imputato, senza rinvio con la formula il fatto non sussiste, mentre per il mancato versamento delle ritenute del 2008 (superiore alla soglia di 150.000 euro), gli ermellini hanno ritenuto infondate le doglianze formulate dalla difesa poste in relazione allo stato di grave crisi finanziaria.
Per quanto riguarda il secondo motivo di doglianza (cfr. punto b)) sulle difficoltà finanziarie della società lamentate dalla difesa dell’amministratore, la Corte ha sottolineato come sia necessario, al fine di escludere la volontarietà della condotta, «la dimostrazione della riconducibilità dell'inadempimento alla obbligazione verso l'Erario a fatti non imputabili all'imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico» (cfr. Cass. pen., Sez. III, 26 giugno 2014, n. 8352).
Nel caso di specie, i Giudici hanno escluso l’impossibilità di intervenire dell’amministratore poiché a fronte della crisi, che era sorta già nel 2007, quest’ultimo non aveva assunto misure adeguate. Il tema è stato di recente affrontato in senso conforme dalla Suprema Corte nella sentenza n. 21274, depositata il 14 maggio 2018.
Infine, il punto c) sui presupposti di applicabilità della causa di non punibilità prevista oggi dall'art. 13 d.lgs. 74/2000. La norma prevede la non punibilità del contribuente qualora versi quanto dovuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (attraverso le procedure conciliative e di adesione all'accertamento, nonché del ravvedimento operoso), oppure, entro il medesimo termine, il debito tributario sia estinto mediante rateizzazione (è possibile ottenere un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo: in questa ipotesi la prescrizione è sospesa). Nel caso in questione, Inoltre, la Cassazione ha rammentato come la richiesta di applicabilità dell'art. 13 d.lgs. 74/2000 richieda accertamenti in fatto che sono preclusi in sede di legittimità e che, pertanto, devono essere demandati ai giudici del merito. Per tale motivo, la Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della competente Corte d'appello, affinché accerti se i pagamenti eseguiti dall'imputato siano sufficienti al saldo di quanto dovuto per le ritenute del 2008. In tal caso troverebbe applicazione la predetta causa di non punibilità.
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