Omesso versamento di ritenute e crisi d'impresa
Il mancato versamento di ritenute certificate non costituisce necessariamente reato, dovendosi valutare in concreto le cause dell'inadempimento
Il reato di omesso versamento di ritenute certificate, previsto dall’art. 10-bis D. Lgs. 74/2000, punisce il soggetto che, in qualità di sostituto d’imposta, non versi entro i termini previsti dalla legge ritenute certificate per un ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta.
Sul punto, se è vero che la fattispecie delittuosa può dirsi integrata in presenza del semplice dolo generico - e dunque che il reato si considera compiuto ogni qualvolta sussista in capo al sostituto d’imposta la semplice consapevolezza di non aver adempiuto al proprio obbligo - appare il caso di segnalare che la più recente giurisprudenza riconosce, di fronte a casi di grave e giustificata crisi di liquidità, la possibilità di escludere - sotto il profilo dell’assenza del dolo - la responsabilità penale dell’imprenditore che non versi le ritenute, come accaduto con la recente sentenza n. 31930 del 22 luglio 2015 della Corte di Cassazione.
Nel caso da poco scrutinato dal Supremo Collegio, l’amministratore di una s.r.l. che non aveva versato ritenute per circa 70.000 euro a causa di una crisi di liquidità dell’impresa, era stato condannato in primo e secondo grado di giudizio, nonostante avesse dato prova dei concreti sforzi compiuti per assolvere il proprio onere d’imposta. In particolare, l’imprenditore aveva allegato in giudizio di aver impegnato il proprio patrimonio personale per far fronte ai debiti contratti con le banche, di aver prima ridotto e poi del tutto annullato il proprio compenso, nonché di aver richiesto la rateizzazione degli importi dovuti all’Agenzia delle Entrate, ancor prima di ricevere qualsivoglia accertamento fiscale.
La Corte di Cassazione, tenendo conto degli sforzi compiuti dall’imprenditore nel caso di specie, ha pertanto ribadito un importante principio, già espresso in altre recenti pronunce, in tema di omesso versamento di ritenute certificate: l’imprenditore che, a causa di una grave crisi di liquidità dell’impresa, non versi nei termini previsti dalla legge le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, può andare esente da responsabilità penale per omesso versamento tutte le volte in cui riesca a provare in giudizio che:
1. La crisi economica che ha investito l’impresa non è dipendente dalla propria volontà;
2. egli ha posto in essere tutte le misure idonee a cercare di assolvere il debito erariale, anche attraverso atti sfavorevoli per il proprio patrimonio personale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a sé non imputabili.
In sostanza, l’imprenditore può andare esente da responsabilità penale per omesso versamento di ritenute non in virtù del semplice fatto che si trovi in una situazione di crisi di liquidità, ma tutte le volte in cui dimostri che quell’effettivo stato di difficoltà economica, in cui è incolpevolmente incappato, non gli ha consentito di assolvere il proprio debito con l’Erario, nonostante abbia fatto tutto il possibile per evitare l’inadempimento.
Trattasi, a parere dei Supremi Giudici, di elementi in presenza dei quali può certamente dirsi mancante l’elemento psicologico del reato, di modo che la condotta posta in essere dall’imputato, sia pur sussistente nella sua materialità, non è idonea a costituire reato.
Sul punto, se è vero che la fattispecie delittuosa può dirsi integrata in presenza del semplice dolo generico - e dunque che il reato si considera compiuto ogni qualvolta sussista in capo al sostituto d’imposta la semplice consapevolezza di non aver adempiuto al proprio obbligo - appare il caso di segnalare che la più recente giurisprudenza riconosce, di fronte a casi di grave e giustificata crisi di liquidità, la possibilità di escludere - sotto il profilo dell’assenza del dolo - la responsabilità penale dell’imprenditore che non versi le ritenute, come accaduto con la recente sentenza n. 31930 del 22 luglio 2015 della Corte di Cassazione.
Nel caso da poco scrutinato dal Supremo Collegio, l’amministratore di una s.r.l. che non aveva versato ritenute per circa 70.000 euro a causa di una crisi di liquidità dell’impresa, era stato condannato in primo e secondo grado di giudizio, nonostante avesse dato prova dei concreti sforzi compiuti per assolvere il proprio onere d’imposta. In particolare, l’imprenditore aveva allegato in giudizio di aver impegnato il proprio patrimonio personale per far fronte ai debiti contratti con le banche, di aver prima ridotto e poi del tutto annullato il proprio compenso, nonché di aver richiesto la rateizzazione degli importi dovuti all’Agenzia delle Entrate, ancor prima di ricevere qualsivoglia accertamento fiscale.
La Corte di Cassazione, tenendo conto degli sforzi compiuti dall’imprenditore nel caso di specie, ha pertanto ribadito un importante principio, già espresso in altre recenti pronunce, in tema di omesso versamento di ritenute certificate: l’imprenditore che, a causa di una grave crisi di liquidità dell’impresa, non versi nei termini previsti dalla legge le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, può andare esente da responsabilità penale per omesso versamento tutte le volte in cui riesca a provare in giudizio che:
1. La crisi economica che ha investito l’impresa non è dipendente dalla propria volontà;
2. egli ha posto in essere tutte le misure idonee a cercare di assolvere il debito erariale, anche attraverso atti sfavorevoli per il proprio patrimonio personale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a sé non imputabili.
In sostanza, l’imprenditore può andare esente da responsabilità penale per omesso versamento di ritenute non in virtù del semplice fatto che si trovi in una situazione di crisi di liquidità, ma tutte le volte in cui dimostri che quell’effettivo stato di difficoltà economica, in cui è incolpevolmente incappato, non gli ha consentito di assolvere il proprio debito con l’Erario, nonostante abbia fatto tutto il possibile per evitare l’inadempimento.
Trattasi, a parere dei Supremi Giudici, di elementi in presenza dei quali può certamente dirsi mancante l’elemento psicologico del reato, di modo che la condotta posta in essere dall’imputato, sia pur sussistente nella sua materialità, non è idonea a costituire reato.
Articolo del: