Omicidio e concorso anomalo nel reato
Non sempre l’aiuto dato all’autore di un omicidio configura un’ipotesi di concorso in quel reato
Il caso
Tizio e Caio venivano tratti in arresto perché gravemente indiziati di aver partecipato, in concorso con Sempronio, all’omicidio di Mevio.
Avverso l’ordinanza del Gip, proponeva ricorso la Difesa, lamentando l’insussistenza dell’aggravante della premeditazione nonché della gravità indiziaria in ordine al contributo causalmente rilevante alla consumazione dell’omicidio.
Era accaduto, infatti, che a sparare fosse stato Sempronio e che i due familiari, Tizio e Caio, pur presenti sul luogo del delitto, avessero solo partecipato alla lite.
In particolare, quanto alla premeditazione, la Difesa aveva contestato come non fosse in alcun modo ricollegabile al delitto la riunione svoltasi qualche ora prima dell’omicidio, atteso che nessun elemento indiziario consentiva di ritenere che in quella sede fosse stato deliberato il delitto.
Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, accoglieva parzialmente le censure difensive, escludendo l’aggravante della premeditazione e riqualificando la condotta in quella di concorso anomalo nel reato, ritenendo che gli indagati, in realtà, avrebbero voluto commettere il reato di violenza aggravata dall'uso delle armi, e che erano però rimproverabili anche dell'omicidio che rappresentava uno sviluppo prevedibile del reato voluto.
L’istituto del concorso anomalo e l’interpretazione giurisprudenziale
Il concorso anomalo nel reato è disciplinato dall’art. 116 c.p. (Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti) il quale così dispone: "Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione o omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave".
La Corte Costituzionale, con sentenza 42/1965, ha affermato che il reato diverso e più grave commesso dal concorrente debba poter rappresentarsi alla psiche dell’agente, quale sviluppo prevedibile della realizzazione del reato voluto. La pronuncia è importante perché si è affermata la necessità che sussista il coefficiente della colpevolezza che deve accompagnare l’evento non voluto e, per tale via, rende rimproverabile l’agente anche per il fatto diverso.
La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima, 28 febbraio 2014, n. 9770, ha fatto buon governo del predetto principio, laddove ha affermato che il reato diverso deve appunto essere prevedibile in concreto, in ossequio al principio di colpevolezza.
Rilievi critici alla decisione del Tribunale
Ad avviso della Difesa il Tribunale ha errato nel percorso motivazionale. Da nessun elemento certo, infatti, se ne poteva inferire che gli indagati avessero voluto la commissione del reato di violenza privata aggravata dall’uso delle armi. Tale delitto, infatti, era stato commesso la mattina, non già la sera. Ciò, a ben vedere, rappresenta un errore di diritto, posto che l’art. 116 c.p. presuppone la contiguità temporale tra la volizione del reato non commesso e la realizzazione di quello non voluto da parte del correo.
Tizio e Caio venivano tratti in arresto perché gravemente indiziati di aver partecipato, in concorso con Sempronio, all’omicidio di Mevio.
Avverso l’ordinanza del Gip, proponeva ricorso la Difesa, lamentando l’insussistenza dell’aggravante della premeditazione nonché della gravità indiziaria in ordine al contributo causalmente rilevante alla consumazione dell’omicidio.
Era accaduto, infatti, che a sparare fosse stato Sempronio e che i due familiari, Tizio e Caio, pur presenti sul luogo del delitto, avessero solo partecipato alla lite.
In particolare, quanto alla premeditazione, la Difesa aveva contestato come non fosse in alcun modo ricollegabile al delitto la riunione svoltasi qualche ora prima dell’omicidio, atteso che nessun elemento indiziario consentiva di ritenere che in quella sede fosse stato deliberato il delitto.
Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, accoglieva parzialmente le censure difensive, escludendo l’aggravante della premeditazione e riqualificando la condotta in quella di concorso anomalo nel reato, ritenendo che gli indagati, in realtà, avrebbero voluto commettere il reato di violenza aggravata dall'uso delle armi, e che erano però rimproverabili anche dell'omicidio che rappresentava uno sviluppo prevedibile del reato voluto.
L’istituto del concorso anomalo e l’interpretazione giurisprudenziale
Il concorso anomalo nel reato è disciplinato dall’art. 116 c.p. (Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti) il quale così dispone: "Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione o omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave".
La Corte Costituzionale, con sentenza 42/1965, ha affermato che il reato diverso e più grave commesso dal concorrente debba poter rappresentarsi alla psiche dell’agente, quale sviluppo prevedibile della realizzazione del reato voluto. La pronuncia è importante perché si è affermata la necessità che sussista il coefficiente della colpevolezza che deve accompagnare l’evento non voluto e, per tale via, rende rimproverabile l’agente anche per il fatto diverso.
La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima, 28 febbraio 2014, n. 9770, ha fatto buon governo del predetto principio, laddove ha affermato che il reato diverso deve appunto essere prevedibile in concreto, in ossequio al principio di colpevolezza.
Rilievi critici alla decisione del Tribunale
Ad avviso della Difesa il Tribunale ha errato nel percorso motivazionale. Da nessun elemento certo, infatti, se ne poteva inferire che gli indagati avessero voluto la commissione del reato di violenza privata aggravata dall’uso delle armi. Tale delitto, infatti, era stato commesso la mattina, non già la sera. Ciò, a ben vedere, rappresenta un errore di diritto, posto che l’art. 116 c.p. presuppone la contiguità temporale tra la volizione del reato non commesso e la realizzazione di quello non voluto da parte del correo.
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