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Onere della prova in tema di operazioni esenti da IVA


Onere della prova in tema di operazioni esenti da imposta sul valore aggiunto: l’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. 546/1992 e l'onere della prova
Onere della prova in tema di operazioni esenti da IVA

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise, con la sentenza n. 137/01/2025 afferma che, ai sensi dell’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. 546/1992, nelle azioni di annullamento, l’onere della prova grava sempre sull’Amministrazione Finanziaria. Difatti, ferma la distinzione tra fatti costitutivi, impeditivi ed estintivi della pretesa, la qualificazione dei fatti storici sottesi alla regola di giudizio fondata sul riparto dell’onere della prova è soggetta ad una predeterminazione “soggettiva” che, escludendo alcun rilievo alla normativa sostanziale applicabile, qualifica come fatti “costitutivi” tutti i fatti posti a fondamento della pretesa e ne predetermina l’afferenza alla regola di giudizio fondata sul riparto dell’onere della prova, nella sua declinazione soggettiva, all’attore in senso sostanziale individuato – in forza della natura impugnatoria del processo tributario - sempre nell’Amministrazione Finanziaria. Da tanto consegue il superamento dell’orientamento giurisprudenziale che attribuiva l’onere della prova al contribuente per le contestazioni afferenti i costi, l’inerenza, le esenzioni e le detrazioni, assumendole come “fatti costitutivi”.

IL CASO

La questione di merito attiene l’aliquota applicabile alle locazioni brevi.

La rettifica assume la non applicabilità del regime di esenzione IVA relativo alla locazione di immobili e fabbricati (art. 10, n. 8, D.p.r. n.633/1972) in conseguenza dell’asserito esercizio, da parte della società ricorrente, di attività ricettivo/alberghiera, in luogo di attività di locazioni brevi. In particolare, l’Ufficio, dopo aver riferito che nel marzo 2023 la società era stata attinta da due controlli amministrativi dei Carabiniericontestava che agli occupanti delle unità abitative locate sarebbero stati erogati servizi aggiuntivi, quali fornitura di lenzuola e coperte e kit da bagno comprensivi di asciugamani e carta igienica; inoltre, sarebbe stato effettuato il cambio degli asciugamani e delle lenzuola nelle giornate dispari su richiesta del locatario. Pertanto l’Ufficio, richiamando i principi, enunciati della giurisprudenza di legittimità, in ordine all’esclusione dell’esenzione IVA in caso di prestazione, da parte del locatore, di servizi aggiuntivi alla persona del conduttore, recuperava a tassazione l’imposta sul valore aggiunto sulle fatture emesse in esenzione.

La società impugna l’avviso di accertamento, assumendo che l’Amministrazione Finanziaria non abbia adempiuto all’onere della prova, su di essa gravante, rispetto alla prova del fatto storico della erogazione di prestazioni di servizi ai locatari.

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise, con la sentenza n. 137/01/2025, enuncia il seguente principio di diritto: si ritiene di confermare la statuizione del primo giudice laddove afferma che non vi sia prova idonea per sostenere che presso lo stabile le Piramidi vi fosse attività ricettivo-alberghiera anzichè la locazione breve

Difatti, già i giudici di prime cure avevano statuito: “La Corte, quindi ritiene meritevole di accoglimento il ricorso del contribuente, poiché nel caso di specie l’Agenzia delle entrate non ha adempiuto all’onere della prova ad essa spettante poichè non ha dedotto elementi tali da circostanziare in modo puntuale le violazioni contestate.

LA QUESTIONE

La rettifica assume la non applicabilità del regime di esenzione IVA relativo alla locazione di immobili e fabbricati (art. 10, n. 8, D.p.r. n.633/1972) in conseguenza dell’asserito esercizio, da parte della società ricorrente, di attività ricettivo/alberghiera, in luogo di attività di locazioni brevi. In particolare, l’Ufficio, dopo aver riferito che nel marzo 2023 la società era stata attinta da due controlli amministrativi dei Carabiniericontestava che agli occupanti delle unità abitative locate sarebbero stati erogati servizi aggiuntivi, quali fornitura di lenzuola e coperte e kit da bagno comprensivi di asciugamani e carta igienica; inoltre, sarebbe stato effettuato il cambio degli asciugamani e delle lenzuola nelle giornate dispari su richiesta del locatario. L’Amministrazione Finanziaria ha fondato la prova della natura ricettiva dell’attività esclusivamente sulle valutazioni dei Carabinieri rese in esito ad un controllo amministrativo. 

In tal senso, l’Amministrazione Finanziaria intende desumere la natura ricettiva sulla base dell’elenco alloggiati nell’anno 2019 e del verbale dei Carabinieri, elevato nel 2023, che si limita ad identificare le persone in quel momento occupanti lo stabile! 

La società contribuente contesta la assenza di valore probatorio del verbale dei Carabinieri in quanto la giurisprudenza di legittimità da sempre afferma che “I verbali redatti dai pubblici ufficiali fanno piena prova fino a querela di falso, oltre che della provenienza dei medesimi da chi li ha redatti, anche dei fatti attestati come avvenuti in presenza dell’autore del verbale, senza peraltro che tale efficacia probatoria possa estendersi alla veridicità delle suddette dichiarazioni o del contenuto dei documenti esaminati” (Cass. Ord. n.31107/2022), che “l’efficacia probatoria dell’atto pubblico, nella parte in cui fa fede fino a querela di falso, è limitata agli elementi estrinseci dell’atto, indicati dall’art. 2700 c.c., e non si estende al contenuto intrinseco del medesimo” (Cass. Ord. n.20214/2019) e che “l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti o degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, ma non prova la veridicità e l’esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti” (Cass. Sent. n.22903/2017)[1].

È chiaro pertanto che l’atto pubblico riveste qualità fidefacente in riferimento ai suoi elementi estrinseci, non già al contenuto, e, quindi alla veridicità e fondatezza delle osservazioni, dei commenti e delle valutazioni informative del pubblico ufficiale

Pertanto, la società eccepisce che l’informativa dei Carabinieri mai possa, da sola, provare la natura ricettiva dell’attività svolta. Al contrario, l’informativa poteva valere quale fonte di innesco per l’apertura di un procedimento impositivo (e, quindi di una autonoma istruttoria) da parte dell’Agenzia delle Entrate. 

Verifica che, tuttavia, non è mai stata effettuata, avendo l’Ufficio elevato l’atto impositivo sulla base delle sole valutazioni di cui sopra, senza effettuare nessun’altro riscontro istruttorio.

L’Amministrazione Finanziaria si difende in giudizio assumendo che, in tema di esenzione dall’imposta sul valore aggiunto, l’onere della prova gravasse sul contribuente ed avesse ad oggetto i fatti storici idonei a provare la legittimità dell’accesso al regime di esenzione.

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado assume che, ai sensi dell’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. 546/1992, l’onere della prova, in materia di esenzioni dall’imposta sul valore aggiunto, grava sull’Amministrazione Finanziaria e che tale onere non è stato ottemperato non avendo valore di prova i verbali di accesso resi dai Carabinieri, con finalità amministrative, in un periodo d’imposta differente da quello oggetto di rettifica.

LE SOLUZIONI GIURIDICHE 

Com’è noto, l’art. 6 della L. 31 agosto 2022, n. 130, recante disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario, pubblicata nella Gazz. Uff. 1° settembre 2022, n. 204 ha introdotto il comma 5-bis all’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, recante Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, pubblicato nella Gazz. Uff. 13 gennaio 1993, n. 9, S.O. che statuisce: “5-bis. L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

In generale, sono state date della disposizione, nel suo complesso, diverse letture, che possono ricondursi a due filoni. Secondo un’interpretazione “ricognitiva” (per alcuni aspetti “riduttiva”), nelle liti di impugnazione ed in quelle di rimborso, la norma conferma che si distribuisce l’onere della prova secondo i criteri di cui all’art. 2697 c.c., ritenuto, tuttora, applicabile al processo tributario. Tale orientamento – cui vengono ricondotte anche quelle prime pronunce di legittimità che, con un obiter dictum, si sono pronunciate sulla questione – non condurrebbe necessariamente ad un’interpretazione abrogatrice della novella, che avrebbe comunque la funzione sistematica di esplicitare e riaffermare, collocandoli all’interno della disciplina specifica del giudizio tributario, principi di diritto, di matrice civilistica, ad esso ritenuti comunque comunemente applicabili.

Invece, secondo una diversa (e prevalente in dottrina, sia pur con conclusioni non del tutto uniformi) interpretazione, la novella con lo scopo innovativo di introdurre, nel giudizio tributario, i principi di effettività della tutela del contribuente e del giusto processo (se non addirittura con funzione di “monito” nei confronti della giurisprudenza) – avrebbe sostituito pressoché integralmente la regola di cui all’art. 2697 c.c. con quella introdotta dallo stesso comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, con l’effetto sostanziale di rendere irrilevante la scomposizione della fattispecie da giudicare in fatti costitutivi, estintivi e modificativi, e comunque (a parte le liti di rimborso) con lo spostamento sull’Amministrazione, creditrice sostanziale, benché formalmente convenuta in giudizio dal contribuente, dell’onere di provare ogni elemento della fattispecie.

Prendendo le mosse da un’interpretazione sistematico-ordinamentale è possibile rilevare come la novella abbia introdotto, all’interno delle regole che disciplinano il processo tributario, una peculiare regola di giudizio fondata sul riparto dell’onere della prova, connotata dal carattere della specialità per la materia. Difatti, è possibile ritrarre la specialità della menzionata disciplina in considerazione del locus materiae, in quanto è espressamente enunciata nel contesto delle regole che disciplinano il processo tributario.

Proseguendo l’analisi in forza dei canoni dell’interpretazione testuale trova conferma la ricognizione dell’affermata specialità per la materia in considerazione dell’intervenuta predeterminazione formale dei fatti costitutivi. Difatti, la norma in esame, pur riaffermando il principio per cui i fatti costitutivi debbano essere provati dall’attore in senso sostanziale, ha inteso predeterminare, in maniera rigida, l’individuazione dei fatti costitutivi, enunciando un criterio per cui gli stessi sono (tutti) quelli posti alla base della pretesa fiscale.

Difatti, come già rilevato, il criterio generale enunciato dall'art. 2697 c.c. ha il vantaggio di essere semplice e generalissimo, ma ha l'inconveniente di essere meramente formale, tanto da essere qualificato come “norma in bianco”.

Da tanto consegue un’esplicita finalità di semplificazione da parte della novella, escludendosi il richiamo alle norme sostanziali per l’individuazione dei fatti costitutivi.

Conseguentemente, si può attribuire alla norma in esame il pregio di una qualificazione giuridica dei fatti di carattere “formale” ovvero l’attribuzione del carattere costitutivo a qualsiasi fatto posto a fondamento dell’atto impositivo, pur sempre nella distinzione tra fatti primari e fatti secondari: il richiamo alla norma sostanziale è funzionale unicamente all’individuazione del fatto principale e non già per l’attribuzione ad esso del carattere di fatto costitutivo.

Da tanto consegue una specificazione dell’onere della prova in senso “soggettivo”, determinandosi come parte avvinta dall’onere in senso soggettivo sempre l’Ente impositore: l’opera di predeterminazione effettuata dal Legislatore non incide, chiaramente, sulla distinzione tra fatti costitutivi ed impeditivi e sul riparto in relazione agli stessi ma, reagendo ad un atteggiamento lasco di determinazione dei fatti alla base della regola di giudizio, incide sulla costruzione di un’inferenza soggettiva (non mai derogabile) per cui tutti i fatti posti a fondamento della rettifica dell’Ente impositore sono, naturaliter, fatti costitutivi. La ratio, come già rilevato, è quella di escludere indebite inversioni dell’onere della prova. Difatti, conseguentemente all’applicazione della detta inferenza soggettiva, sottesa alla novella, non sussiste più alcun margine di “manipolazione” dell’onere della prova in forza del richiamo alle norme sostanziali ove la predeterminazione “formale” del carattere costitutivo di qualsiasi fatto posto a fondamento dell’atto impositivo comporta un’inderogabile cristallizzazione dell’onere della prova nella sua declinazione “soggettiva”, per cui la prova dei fatti posti a fondamento della rettifica (per tale qualificazione formale già individuati come fatti costitutivi, indipendentemente dalla norma sostanziale invocata) deve essere sostenuta (sempre) dall’Amministrazione Finanziaria. Da tanto consegue, quale caratterizzazione peculiare della novella, un approccio “soggettivamente” orientato dell’onere della prova che esclude, nell’affermazione della regola per cui l’onere della prova grava sulla parte pubblica, la sussistenza di deroghe in relazione all’oggetto della rettifica nonché esclude la rilevanza della natura dei fatti allegati dalla parte pubblica (e già oggetto della motivazione) in forza della predeterminazione normativa di tali fatti quali fatti “costitutivi”.

In forza di tali premesse, si può ritrarre che il Legislatore ha inteso enunciare una regola di giudizio fondata sul riparto dell’onere della prova, per il processo tributario, caratterizzata dal criterio della specialità ed intesa a fornire una semplificazione, rispetto al funzionamento della regola enunciata dall’art. 2697 c.c., mediante una predeterminazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria che comporta una cristallizzazione soggettiva dell’onere della prova, non suscettibile di deroghe.

Da tanto consegue che il carattere della specialità della novella comporta l’attuale inapplicabilità, dalla data di entrata in vigore della norma, dell’art. 2697 c.c. al processo tributario: tanto perché, ricondotto il rapporto tra le due norme al criterio della specialità – ove, pur entrambe dirette ad enunciare la regola di giudizio fondata sul riparto dell’onere della prova, l’art. 2697 c.c. è rivolto, in ambito generale, a qualsiasi fattispecie soggetta alla giurisdizione civile, mentre l’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. 546/1992, è rivolto, in ambito più particolare, alle fattispecie afferenti le azioni attribuite alla giurisdizione del giudice tributario – trova applicazione esclusiva la norma speciale, con piena esclusione della disciplina caratterizzata da elementi di generalità: tanto, evidentemente, non vuol dire che, nel processo tributario, sia venuta meno la dicotomia tra “fatti costitutivi” e “fatti estintivi, impeditivi, modificativi” ma, in forza della novella, è sicuramente venuta meno la natura “in bianco” della regola di giudizio sui medesimi fatti, predeterminandosi, in forma soggettiva, i fatti costitutivi nei fatti posti a fondamento della pretesa dell’Ente impositore; conseguentemente, i fatti estintivi-impeditivi, nel processo tributario, sono tutti quelli che, geneticamente e temporalmente, si pongono in posizione distinta rispetto ai fatti posti a fondamento della rettifica. La regola per cui i fatti estintivi-impeditivi debbano essere provati dal contribuente, quale regola generale, si ritrae implicitamente dalla novella, senza necessità di ricorrere ad interpretazioni di supplenza dell’art. 2697 c.c..

OSSERVAZIONI

Tale lettura della norma in esame, quale predeterminazione soggettiva dell’onere in relazione ai fatti costitutivi (assunti come tali tutti i fatti posti a fondamento della rettifica), determina l’obbligatorio ripensamento dell’orientamento giurisprudenziale inteso a qualificare come fatti impeditivi le questioni afferenti la deducibilità di costi, la detraibilità di crediti ovvero, in maniera più generale, tutte le questioni che comportino una riduzione della materia imponibile a vantaggio del contribuente. In tal senso, non appare più sostenibile una differente qualificazione, in relazione alla regola di giudizio fondata sul riparto dell’onere della prova, delle componenti (positive o negative) di reddito, confluendo le stesse, in forza della predeterminazione soggettiva commentata sopra, nei fatti costitutivi della pretesa e, in conseguenza della predeterminazione soggettiva pur enunciata dalla novella, gravanti, come onere soggettivo, sull’Ente impositore.

 

In evidenza:

Con riferimento espressamente alle esenzioni si pronunciava Cass. civ. Sez. V, (ud. 17/05/2007) 20-07-2007, n. 16115“Innanzitutto non può condividersi la visione del processo tributario come giudizio sul rapporto in senso proprio, nel quale l'amministrazione finanziaria assume il ruolo di attore in senso sostanziale. Il Collegio rinvia, in proposito, alle sentenze di questa Sezione n. 20398 e 22392 del 2005. Comunque, anche ammettendo l'esattezza di tale costruzione, le ordinarie regole sull'onere della prova, dettate dall’art. 2697 c.c., e il principio di inesistenza di una presunzione di legittimità degli atti amministrativi, operante anche nel campo dell'imposizione tributaria, comportano che sia posto a carico dell'amministrazione finanziaria soltanto l'onere di provare l'esistenza dei fatti costitutivi della pretesa tributaria: nel caso dei tributi diretti, l'esistenza di un reddito imponibile e la qualità di debitore, laddove la prova di situazioni di esenzione in senso stretto e di componenti negativi del reddito deve essere data dal contribuente, sul quale incombe, altresì, quello dell'affermazione dei relativi presupposti (fra le ultime, sentenze n. 4218, 20521, 24075 e 27619 del 2006). Nella specie si trattava d'interessi passivi, la cui incontestabile natura di componente negativo comportava l'onere dell'affermazione e della prova dei relativi presupposti a carico del contribuente che li aveva esposti in bilancio e in dichiarazione”.

Per l’effetto, la giurisprudenza di merito in commento ha abbandonato, consapevolmente, il precedente orientamento che faceva gravare la prova, in tema di esenzioni, sul contribuente, affermando la differente regola per cui, nella vigenza dell’art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. 546/1992, l’onere della prova, nelle azioni di annullamento, grava sempre sull’Amministrazione Finanziaria.

 

 

 

 

 

[1] In senso assolutamente conforme Cass. Ord. n.9982/2020 e Cass. Sent. n.15702/2014.

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