Operazioni soggettivamente inesistenti
Corte di Giustizia dell'Unione europea: la buona fede del destinaratio salva la detrazione
Secondo la Corte di Giustizia dell'Unione europea in caso di fatture soggettivamente inesistenti, per negare la detrazione iva inerente alle prestazioni di servizi realmente ricevute, l'Amministrazione Finanziaria deve provare la natura fraudolenta delle operazioni e che il destinatario ne era consapevole.
A parere della CGUE relativa al sistema comune IVA, dev'essere interpretata nel senso che essa osta a che un soggetto passivo effettui la detrazione dell'imposta riportata nelle fatture emesse da un prestatore di servizi qualora risulti che il servizio e' stato si fornito, ma non da tale prestatore o dal suo subappaltatore perche' costoro non disponevano del personale, delle risorse materiali e degli atti necessari, le spese della prestazione non sono state contabilizzate eni loro registri e l'identita' dei firmatari di taluni documenti a titolo di prestatori del servizio si e' rivelata inesatta.
Cio' alla doppia condizione:
- che tali fatti integrino un comportamento fraudolento
- che sia stabilito, alla luce di elementi oggettivi forniti dalle autorita' tributarie che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s'iscriveva in un'evasione circostanza che spetta giudicare al giudice nazionale.
In relazione alla giurisprudenza comunitaria i giudici in materia di fatture per operazioni inesistenti, ritengono illegittimo l'avviso in rettifica ai fini IVA laddove il cessionario riesca a provare la propria buona fede attraverso una serie di elementi che consentono al giudice di poter escludere non solo la conoscenza ma anche la conoscibilita' della frode.
L'onere probatorio sorge in capo al contribuente solo dopo che l'Amministrazione Finanziaria ha fornito validi elementi a supporto della propria tesi, in quanto deve addurre elementi presuntivi obiettivi, da cui sia possibile infeire che le operazioni oggetto dei documenti contabili in realta' non sono mai state poste in essere e che il cessionario lo sapeva o avrebbe dovuto saperlo.
A parere della CGUE relativa al sistema comune IVA, dev'essere interpretata nel senso che essa osta a che un soggetto passivo effettui la detrazione dell'imposta riportata nelle fatture emesse da un prestatore di servizi qualora risulti che il servizio e' stato si fornito, ma non da tale prestatore o dal suo subappaltatore perche' costoro non disponevano del personale, delle risorse materiali e degli atti necessari, le spese della prestazione non sono state contabilizzate eni loro registri e l'identita' dei firmatari di taluni documenti a titolo di prestatori del servizio si e' rivelata inesatta.
Cio' alla doppia condizione:
- che tali fatti integrino un comportamento fraudolento
- che sia stabilito, alla luce di elementi oggettivi forniti dalle autorita' tributarie che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s'iscriveva in un'evasione circostanza che spetta giudicare al giudice nazionale.
In relazione alla giurisprudenza comunitaria i giudici in materia di fatture per operazioni inesistenti, ritengono illegittimo l'avviso in rettifica ai fini IVA laddove il cessionario riesca a provare la propria buona fede attraverso una serie di elementi che consentono al giudice di poter escludere non solo la conoscenza ma anche la conoscibilita' della frode.
L'onere probatorio sorge in capo al contribuente solo dopo che l'Amministrazione Finanziaria ha fornito validi elementi a supporto della propria tesi, in quanto deve addurre elementi presuntivi obiettivi, da cui sia possibile infeire che le operazioni oggetto dei documenti contabili in realta' non sono mai state poste in essere e che il cessionario lo sapeva o avrebbe dovuto saperlo.
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