Ordinarietà dell'affidamento in-house: limiti e condizioni


Una modalità ordinaria di affidamento, con vincoli e condizioni soggetti a sindacato debole del G.A.
Ordinarietà dell'affidamento in-house: limiti e condizioni

Esistono tre forme per l’affidamento dei servizi pubblici locali: l’in-house providing, la società mista pubblico-privata (cd. gara a doppio oggetto) e la concessione a terzi.

Per una lunga stagione, considerazioni diverse hanno spinto per l’apertura al capitale privato, nel convincimento di poter così attrarre competenze tecnologiche e risorse finanziarie e di poter trarre benefici dalla concorrenza. Dal 2014, almeno, il fenomeno dell’in-house providing ha ripreso un certo piede sul mercato.

Il Legislatore eurounitario si è preoccupato di riaffermare la “libertà degli Stati membri e delle autorità pubbliche di eseguire lavori o fornire servizi direttamente al pubblico o di esternalizzare tale fornitura delegandola a terzi. Lo strumento dell’autoproduzione, insomma, recuperava lo status di forma ordinaria di affidamento.

Nessun obbligo per gli Stati membri di ricorrere al mercato, almeno nella misura in cui siano rispettate determinate condizioni, significa porre un limite allo sviluppo competitivo di un settore.

A bilanciare questo orientamento residuano le regole di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza. Se di affidamento in-house si tratta, non deve esserci, per l’affidatario, alcun interesse di mercato, sotto il profilo proprietario o commerciale.

Questo modello è confermato dal Codice dei Contratti Pubblici. Sul rispetto di questi presupposti vigilano di concerto l’ANAC e l’AGCM. La scelta di provvedere direttamente all’erogazione di determinati servizi non è, dunque, libera, discrezionale ed insindacabile. Essa deve essere motivata in una relazione redatta dall’Amministrazione, comprensiva di un PEF asseverato.

Secondo il Consiglio di Stato, la necessità di motivare l’affidamento in-house dovrebbe dimostrare “non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l’autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all’affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l’operato della P.A.”. La scelta dell’affidamento in-house, pertanto, deve essere supportata da una precisa valutazione di convenienza rispetto agli esiti di una procedura di gara. Tale interpretazione è stata recentemente confermata dai giudici amministrativi, secondo i quali il dettagliato obbligo di motivazione è volto a rendere trasparenti e conoscibili non solo le caratteristiche che fanno dell’affidataria una società in-house, ma anche il processo di “individuazione del modello più efficiente ed economico alla luce di una valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti”.

Del resto, anche l’art. 16 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, che richiama gli artt. 5 e 192 del codice dei contratti pubblici, prevede un corredo motivazionale rafforzato, richiedendo che le Amministrazioni effettuino “preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house”.

Ad ulteriore conferma dell’attualità delle tutele della concorrenza nel rispetto del principio di ordinarietà del ricorso all’autoproduzione, giunge ora una pronuncia del TAR Lombardia, sezione di Brescia, in certo modo interpretativa del regime indicato.

Secondo i Giudici Amministrativi, l’affidamento in-house costituisce uno strumento ordinario ma alternativo all’affidamento mediante selezione pubblica. Ne segue che la natura ordinaria e non eccezionale di tale strumento limita il sindacato giurisdizionale alla sola “ipotesi di macroscopico travisamento dei fatti o di illogicità manifesta”.

In questo senso, dunque, la relazione motivazionale di supporto alla scelta dell’Amministrazione può essere considerata esaustiva qualora dimostri l’efficienza e la convenienza economica dell’affidamento, ancorché sulla base di una scelta di indirizzo politico, purché non abnorme o macroscopicamente illogica, mitigando così il rigore sancito dal Legislatore nazionale e dalle Autorità. Infatti, ritiene il Giudice che sia possibile esercitare un sindacato di legittimità solo in due casi: il difetto dei requisiti formali della scelta operata (insussistenza dei requisiti di diritto, cioè controllo analogo ed esclusività dell’attività; mancata motivazione della scelta) o la manifesta, ed anzi macroscopica illogicità della motivazione a sostegno della scelta stessa.

In ogni caso, da un lato vengono confermati oneri e vincoli che restringono la possibilità delle Amministrazioni di ricorrere all’autoproduzione; dall’altro lato, che tali oneri e vincoli possono intendersi soddisfatti anche da meri atti di indirizzo politico, purché non manifestamente abnormi.

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di renato conti

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