Pandemia e guerra: depressione e paure. Nuove politiche HR nelle PMI
Pandemia e guerra: depressione, ansia, paura. Come cambiano le persone e quali approcci per le politiche del personale in azienda
Uno studio danese su 2458 persone ha valutato il benessere complessivo a inizio aprile 2020 in confronto ai risultati di analoga survey condotta nel 2016.
In generale, il livello di benessere percepito era maggiore nel 2016. Inoltre la percentuale di pazienti con un punteggio <50, suggestivo per la presenza di disturbi depressivi, è significativamente maggiore al momento attuale (Sonderskov e altri, OCM Formazione2020).
Una survey condotta in Italia, su 2.766 partecipanti, ha messo in evidenza come il 32% dei soggetti avesse elevati sintomi depressivi e il 19% elevati sintomi ansiosi (OCM Formazione, 2020). Tali numeri sono molto più elevati rispetto al 6% di soggetti italiani indagati nel triennio 2015-2018 che ha riferito sintomi depressivi.
La depressione è oggi più che mai un’emergenza sanitaria e sociale: l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva previsto che nel 2030 l’impatto delle malattie mentali nel mondo avrebbe superato quello delle patologie cardiovascolari, ma oggi la depressione è già la prima causa di disabilità (Friedrich, 2017) e secondo molte stime la pandemia di COVID-19, unitamente alle immagini della guerra, ne sta ulteriormente incrementando l’incidenza (The Lancet infectious disease, 2020).
Inoltre, la sua distribuzione per età mostra un netto incremento negli ultimi 2009-2017 anni nella popolazione adolescenziale e giovanile.
Anche secondo il Consiglio Nazionale Psicologia (presidente Lazzari 2021) “Le evidenze di efficacia nelle cure psicologiche dimostrano che gli effetti dell’impatto del COVID-19 – come ansia, depressione e stress – sono stati devastanti per la popolazione, soprattutto nei giovani under 18 e in alcune categorie professionali come il personale sanitario. I disturbi psicologici comuni impattano per il 33% dei costi della disabilità legata alla salute, ma gli stanziamenti per i servizi per la salute mentale in Italia sono soltanto 3,1 miliardi complessivi, una cifra esigua rispetto all’intera spesa sanitaria nazionale”.
Per Horton (Lancet 2020) si dovrebbe parlare di sindemia, intesa come insieme di patologie pandemiche non solo sanitarie, ma anche sociali, economiche, psicologiche, dei modelli di vita, di lavoro, di fruizione della cultura e delle relazioni umane.
I dati dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane hanno inoltre sottolineato che la depressione colpisce le persone più vulnerabili sul fronte socio-economico. Tra i soggetti adulti appartenenti ai due quinti di reddito più bassi si evidenziano, infatti, prevalenze di disturbi depressivi quasi doppie rispetto ai coetanei appartenenti ai due quinti più alti.
Secondo un monitoraggio recente sui social media dei sentimenti degli italiani (prima della invasione russa) della società Sociometrica gli Italiani sono investiti da una vera e propria tempesta emotiva: l’esito mette in rilievo che le emozioni negative nel loro complesso rappresentano il 54,9 % delle emozioni espresse e quelle positive il 13,5 % e al primo posto c’è la paura che da sola rappresenta il 10,4 di tutto l’insieme dei sentimenti, seguita dalla sofferenza per gli altri e dalla tristezza.
Nuovi approcci aziendali verso le politiche del personale
In questo contesto di profondo cambiamento e di emergenza di disagi sociali è importante aprire una riflessione su come si riverbera questa fenomenologia sulle organizzazioni aziendali e sui gruppi al lavoro (in parte anche in home working). In prospettiva credo si debba, coerentemente, ricollocare l’approccio alle politiche del personale confermando il repertorio dei metodi e degli strumenti conosciuti (anche se non sempre praticati) come il recruitment, la valutazione della prestazione, la formazione, il welfare.
Alcuni aspetti da considerare delle politiche del personale in questo diverso approccio al cambiamento in atto:
A. “ascoltare” i collaboratori di più e meglio rispetto ad oggi. Come? Sollecitare la creatività dei collaboratori per ottenere contributi alla innovazione e al cambiamento organizzativo attraverso script individuali e lavoro di gruppo, facilitare momenti di socializzazione e di condivisione anche di frazioni di tempo libero e naturalmente optare per gli ambiti del welfare più coerenti con i bisogni espressi dai dipendenti
B. impostare politiche di valutazione basate su criteri tendenzialmente “oggettivi” e con un metodo e un lessico condiviso tra valutati e valutatori. La valutazione impostata e socializzata facilita la creazione di un clima di equità e di correttezza rinforzando il clima interno e mettendo in crisi la “valutazione di corridoio” e pregiudizi e preconcetti largamente presenti nelle relazioni umane
C. creare una cultura delle competenze sul lavoro. Come? Attraverso la condivisione dei contenuti del ruolo (implementando la scheda di descrizione) per stabilire la relazione tra attività di lavoro da fare e competenze necessarie. Il gap tra competenze possedute e necessarie costituisce il contenuto della formazione individuale e, per sommatoria, il piano di formazione aziendale
Vale la pena di sottolineare come i tre ambiti citati in precedenza possono rappresentare il percorso per consolidare il senso di appartenenza e il riconoscimento della identità aziendale quali fattori fondamentali per riattivare la motivazione al lavoro dei dipendenti. E’ noto che la motivazione influenza, oltrechè la efficienza e la efficacia, anche l’assunzione di comportamenti che riguardano e ne sono il risultato, delle competenze soft o trasversali o key competence europee. Quanto siano diventate importanti queste ultime lo si deduce dalla quantità di proposte formative attualmente presenti sul mercato della formazione: dalla comunicazione al lavoro in team, dal problem solving all’autocontrollo dello stress, dalla capacità di autonomia al lavoro per obiettivi.
Si può affermare che il nuovo orizzonte aperto dai nuovi scenari della crisi pandemica e dalla guerra, per le imprese, sta nella ricerca di una relazione nuova tra l'ottimizzazione del ROI-ROE da un lato, e la costruzione di un microsistema sociale caratterizzato dalla creazione di un piccolo, ma significativo paracadute per i dipendenti e dall’affermazione di armonia interna del gruppo. Sono in particolare le PMI ad essere maggiormente esposte in quanto non sempre vi è all’interno una funzione di staff a tempo pieno sulle politiche del personale.
Il ricorso all’esperto e al consulente facilita l’accesso alla revisione di quanto fatto fino ad ora dall’azienda e alla reimpostazione di metodo e strumenti laddove si ritiene necessario in relazione al superamento della crisi. Il compito del consulente esperto è quello di impostare un piano di lavoro sull’empowerment dopo avere contribuito alla rilevazione della situazione esistente. E’ quindi un manager esterno a tempo valutabile sul raggiungimento degli obiettivi dichiarati e condivisi da proprietà e management al momento dell’assunzione dell’incarico.
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