Passione e sofferenza, due facce dello stesso obiettivo: capire chi siamo
Passione
Passione e sofferenza. Direi!
Ho sempre pensato che nella vita ci volesse passione per qualcosa, nel fare qualcosa, altrimenti la vita non valeva la pena di essere vissuta.
Si sarebbe limitata alla sola routine quotidiana, diversa a seconda della fascia d’età che si attraversa: i giochi, i compiti da piccoli, il pagare le bollette, le faccende di casa, curare la famiglia da grandi.
Ho sempre pensato che ci dovesse essere di più e ho avuto ragione.
Tuttora quando mi ritrovo, oramai adulta, ad essere invischiata nel ménage quotidiano di lavoro, studio, faccende domestiche e, quando la pressione della routine diventa pesante, mi fermo e mi dico che la vita non può essere solo tutta lì!
Ci deve essere un significato più profondo.
La risposta che mi sono data è: quanto cuore metto nel fare ciò che mi piace, che valore ha ciò che faccio? Tanto valore, se non ci fosse, tutto sarebbe piatto, come la Terra dei terrapiattisti!
Sono nata con l’amore per i cavalli; nel mio sangue, oltre ai globuli rossi, bianchi e piastrine ci sono anche gli animali in genere, i cavalli nello specifico.
O li ami e provi quel profondo desidero di toccarli, di annusarli, di sentire il respiro uscire dalle loro froge, indipendentemente dalla loro altezza, o altrimenti non ce l’hai. I più li temono perché li vedono enormi, altri non li guardano da lontano perché hanno un odore cattivo…
A cinque anni sognavo cavalli, volevo andare a cavallo, avevo anche in mente quale specialità: monta inglese, salto ostacoli.
I miei non volevano e adducevano le scuse più banali: sono pericolosi, costa troppo, ti vengono le gambe storte…
Così quando giocavo sognavo di galoppare libera, oppure saltavo in groppa alla nonna, incitandola con lo schiocco di lingua, come di solito si fa; mi emozionavo quando in televisione trasmettevano alcuni film sui cavalli, i miei preferiti erano “International Velvet”, interpretato da una giovane Tatum O’Neil e da Anthony Hopkins, e “C’era una volta...” con Omar Sharif e Sofia Loren! Avevo i brividi quando li guardavo: sognavo di galoppare libera nei prati proprio come loro! Stupendo!
Da adolescente tediavo mia madre affinché mi portasse a lezione nel maneggio vicino a casa, ma…niente da fare; così iniziai a risparmiare le vecchie 500 lire nel mio maialino, con la determinazione che ci sarei riuscita da sola un giorno.
Questo accadde molti anni dopo, all’età di 23 anni, quando durante un giro in bicicletta, passai davanti a un centro e vidi degli ostacoli fuori. Non ci credevo, avevo i brividi, nonostante fosse il 15 luglio 1997 e ci fosse un gran caldo.
Parlai con il gestore della scuderia, gli dissi che non avevo soldi, non lavoravo ancora in modo così stabile da potermi permette delle lezioni; all’epoca frequentavo l’università, ma ero disposta a fare dei lavori, pur di poter iniziare a montare.
Ci accordammo: io avrei preparato i cavalli per i clienti, avrei aiutato l’operaio nel sistemare i box dei cavalli, nel dar loro da mangiare…, in cambio mi si dava lezione.
La mia giornata era: la mattina studiavo, dal pomeriggio fino alla sera alle 22 ero in scuderia, sia il sabato, la domenica, le ferie d’estate, Natale, Pasqua.
Ero felice, non mi interessava se pioveva, o se c’era caldo quando andavo a ritirare i cavalli messi in paddock la mattina. Tante volte sono tornata a casa inzuppata d’acqua o veramente sporca, ma pazienza!
Mia madre non era molto d’accordo e, se poteva, mi ostacolava in vari modi; io, però, ero più determinata e se anche non avevo la macchina, mi recavo in scuderia in bici.
Ad oggi sono accadute tante cose: la prima laurea, il lavoro, tre cavalli, un compagno, tanti centri cambiati, concorsi fatti, cadute da cavallo, veterinari e varie persone conosciute, modi diversi di vivere, esperienze fatte, competenze acquisite…
Ricordo che per un periodo, per tre volte alla settimana, dopo il lavoro, viaggiavo fino a Forlì, dove avevo il cavallo, perché all’epoca ero passata dal salto ostacoli al dressage.
Tante soddisfazioni, ma anche tanta sofferenza dietro un seppur piccolo risultato, perché i cavalli sono lo specchio di chi li monta, richiedono rispetto, comunicazione corretta ed efficace, leadership, fiducia in se stessi, determinazione, caparbietà.
Per me non sono stati solo un valore aggiunto, ma mi hanno permesso di capire tante cose su di me, di fare i conti con le mie paure, fragilità ed attacchi di panico.
Quindi, alla luce di tutto questo sono stata costretta a fare scelte: andare da uno psicologo per capire come mai avessi certe manifestazioni, a cambiare disciplina, ad interessarmi a certi argomenti, quali: capire cos’è effettivamente e scientificamente la motivazione, a prendere varie qualificazioni nel mental coaching, la mindfulness, la respirazione, la psicologia, che a breve sarà la mia seconda laurea.
Mi emoziono sempre nel vedere persone che sono animate dal sacro fuoco della passione e, ad oggi, personalmente sono affascinata non tanto dalla perfomance in generale, ma dalla preparazione che ci sta dietro, dalla dedizione, dalla volontà di rialzarsi tutte le volte che si cade, anche quando sono cadute di un certo tipo.
La sconfitta è sempre scottante, lascia un certo amaro in bocca, veramente sgradevole; in quei momenti si è di fronte ad una serie di strade: o si rimane fermi o si continua a fare le cose sempre nel solito modo, perché si è sempre fatto così, oppure possiamo far fruttare quella cocente sconfitta e vedere cosa ci sta dicendo, cosa possiamo trarre di positivo, quale insegnamento nuovo nasconde.
Personalmente ricordo molto bene quanto accadeva dentro di me quando ero in preda ad un attacco di panico: la rabbia, la frustrazione, l’incomprensione di chi mi circondava, che non capiva cosa stesse accadendomi, alcuni pensavano che volessi prendere in giro… Ricordo anche molto bene quando tornavo a casa e dal dolore non riuscivo a piangere e sfogarmi, perché li avessi solo quando andavo a montare, in concomitanza con dei concorsi… Ricordo anche molto bene il sapore che aveva il prendere il mio cavallo, prepararlo, vestirlo, portarlo in campo e infilare il piede sinistro nella staffa, quando il giorno prima ero dovuta scendere perché pensavo di morire e non respiravo più. Quel risalire in sella era un non voler darla vinta ad una parte di me che ogni tanto faceva capolino, che non mi ha tuttora abbandonato, ma se le avessi dato retta già da diverso tempo avrei appeso la staffa al chiodo e oggi non ci sarebbe un altro cavallo nella mia vita.
Ho semplicemente cambiato mindset, ho dovuto farlo e ne sono ben contenta.
Mi sono presa in toto le mie responsabilità, ho fatto i conti con le mie tante fragilità, i miei bisogni, mi sono chiesta cosa volessi fare, ho ricordato quella bellissima sensazione del piede sinistro nella staffa, la spinta che mi sono data e la bellezza di risedermi in sella dopo l’ennesimo attacco. Mi è sembrato di rinascere, mi si è allargato il cuore e ho capito.
Un tempo volevo fare concorsi, oggi sono interessata ad altro: al benessere del cavallo, a capire cosa scatta nella testa delle persone, come aiutarle a superare certi momenti di stop, traendone il meglio.
Il nostro primo obiettivo, a mio avviso, è di imparare a trasformare una sconfitta cocente in sconfitta vincente, solo così possiamo davvero capire chi siamo, cosa vogliamo, dove siamo ora e dove vogliamo andare.
Le cadute, più o meno metaforiche, ci saranno sempre e nessuno può evitarle, anche se ci si mettesse sotto una campana di vetro, perché la stessa potrebbe rompersi improvvisamente. Quindi cosa vogliamo fare?
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