Patteggiamento penale e giudizio civile
Quali conseguenze civili ha una sentenza di condanna patteggiata?
La sentenza di patteggiamento ex art 444 c.p.p. , è un accordo tra il P.M. e l’imputato con il quale si chiede al Giudice penale di applicare una pena (sostitutiva o pena pecuniaria o detentiva) con lo "sconto" della diminuzione fino ad un terzo.
Anche se non è paragonabile ad una sentenza penale di condanna ex art. 651 c.p.p. (in considerazione del "profilo negoziale che la caratterizza poiché non fondata sull’accertamento pieno della responsabilità dell’imputato" sent. Corte Cost. 11 dicembre 1995, n.499), può costituire, tuttavia, un elemento di prova di responsabilità nella ricostruzione dei fatti in un giudizio civile.
Pertanto, la sentenza di patteggiamento non è vincolante per il giudice civile ma può essere da quest’ultimo liberamente valutata in un quadro di prove più generale, associandosi o meno ad essa a seconda del proprio personale orientamento, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.
Quindi la sola sentenza di patteggiamento potrebbe non bastare per convincere il giudice ad una condanna in sede civile (si cfr. Cass. sent. n. 19871/13).
Ciò vuol dire che è sempre meglio produrre in giudizio ulteriori elementi di prova (testimonianze, documenti, perizie, etc.) per far giungere ad un pieno convincimento del giudice alla condanna dell’imputato in sede civile.
In ogni caso, il giudice di merito, qualora dovesse disconoscere la responsabilità dell’imputato in sede civile, ha l’obbligo di spiegarne le motivazioni perché, ricordiamo, la sentenza di patteggiamento pur non configurandosi come sentenza di condanna presuppone una ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova (si cfr. Sent. Cass. S.U. 17289/2006, Cass. 5 maggio 2005, n. 9358).
Ma perché una condanna di patteggiamento non equivale automaticamente ad una condanna in sede civile?
Essa è da ricercare in una sorta di premio per la scelta del rito alternativo in sede penale (ricordiamo che con tale rito l’ imputato rinuncia a difendersi, ed accetta una condanna definitiva), in ottica di diminuzione del carico giudiziario, vista con particolare favore da parte del legislatore.
Precisiamo che l’opzione del patteggiamento rappresenta un diritto per l’imputato (se è d’accordo anche il P.M.) ed espressivo del più generale diritto di difesa.
Andando a ricercare ulteriori motivazioni della parziale inefficacia si deve considerare anche il principio di separazione del giudicato penale da quello civile, principio confermato dall’art 295 c.p.c. in tema di sospensione del giudizio civile in attesa della sentenza di un processo penale vertente sugli stessi fatti.
Inoltre, la non estensione automatica degli effetti extrapenali della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili e amministrativi di danno, ha come obiettivo quello di tutelare processualmente la stessa parte danneggiata, la quale non ha potuto svolgere le proprie difese (non aprendosi il processo ) costituendosi parte civile in sede penale per contestarne le risultanze in sede risarcitoria (si cfr. sent. 62/2014 Corte dei Conti Abruzzo).
Infatti, la parte civile è il soggetto maggiormente sacrificato dalla condanna patteggiata perché quest’ultima non comporta pronuncia sulla domanda di risarcimento.
Come ulteriori effetti del superiore principio, non può trascurarsi che, nel nostro sistema giudiziario, non sono previsti meccanismi automatici di espulsione dei dipendenti dalla Pubblica Amministrazione per effetto di condanne penali: sarà, pertanto, necessario da parte del datore di lavoro instaurare un apposito giudizio civile che decida sull’eventuale licenziamento.
Anche se non è paragonabile ad una sentenza penale di condanna ex art. 651 c.p.p. (in considerazione del "profilo negoziale che la caratterizza poiché non fondata sull’accertamento pieno della responsabilità dell’imputato" sent. Corte Cost. 11 dicembre 1995, n.499), può costituire, tuttavia, un elemento di prova di responsabilità nella ricostruzione dei fatti in un giudizio civile.
Pertanto, la sentenza di patteggiamento non è vincolante per il giudice civile ma può essere da quest’ultimo liberamente valutata in un quadro di prove più generale, associandosi o meno ad essa a seconda del proprio personale orientamento, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.
Quindi la sola sentenza di patteggiamento potrebbe non bastare per convincere il giudice ad una condanna in sede civile (si cfr. Cass. sent. n. 19871/13).
Ciò vuol dire che è sempre meglio produrre in giudizio ulteriori elementi di prova (testimonianze, documenti, perizie, etc.) per far giungere ad un pieno convincimento del giudice alla condanna dell’imputato in sede civile.
In ogni caso, il giudice di merito, qualora dovesse disconoscere la responsabilità dell’imputato in sede civile, ha l’obbligo di spiegarne le motivazioni perché, ricordiamo, la sentenza di patteggiamento pur non configurandosi come sentenza di condanna presuppone una ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova (si cfr. Sent. Cass. S.U. 17289/2006, Cass. 5 maggio 2005, n. 9358).
Ma perché una condanna di patteggiamento non equivale automaticamente ad una condanna in sede civile?
Essa è da ricercare in una sorta di premio per la scelta del rito alternativo in sede penale (ricordiamo che con tale rito l’ imputato rinuncia a difendersi, ed accetta una condanna definitiva), in ottica di diminuzione del carico giudiziario, vista con particolare favore da parte del legislatore.
Precisiamo che l’opzione del patteggiamento rappresenta un diritto per l’imputato (se è d’accordo anche il P.M.) ed espressivo del più generale diritto di difesa.
Andando a ricercare ulteriori motivazioni della parziale inefficacia si deve considerare anche il principio di separazione del giudicato penale da quello civile, principio confermato dall’art 295 c.p.c. in tema di sospensione del giudizio civile in attesa della sentenza di un processo penale vertente sugli stessi fatti.
Inoltre, la non estensione automatica degli effetti extrapenali della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili e amministrativi di danno, ha come obiettivo quello di tutelare processualmente la stessa parte danneggiata, la quale non ha potuto svolgere le proprie difese (non aprendosi il processo ) costituendosi parte civile in sede penale per contestarne le risultanze in sede risarcitoria (si cfr. sent. 62/2014 Corte dei Conti Abruzzo).
Infatti, la parte civile è il soggetto maggiormente sacrificato dalla condanna patteggiata perché quest’ultima non comporta pronuncia sulla domanda di risarcimento.
Come ulteriori effetti del superiore principio, non può trascurarsi che, nel nostro sistema giudiziario, non sono previsti meccanismi automatici di espulsione dei dipendenti dalla Pubblica Amministrazione per effetto di condanne penali: sarà, pertanto, necessario da parte del datore di lavoro instaurare un apposito giudizio civile che decida sull’eventuale licenziamento.
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