Paura di vivere e paura di morire: due facce della stessa medaglia
La paura di vivere e la paura di morire sono le due facce della stessa medaglia e identificano le nevrosi dell’uomo moderno.
La cultura occidentale, influenzando i gruppi sociali e le famiglie, si riverbera sull’educazione dei figli che, a loro volta, acquisiscono inconsapevolmente dei modelli di vita odierni trasmettendoli alle generazioni future.
La nostra cultura è sempre più basata sul pensiero e sul successo: l’uomo moderno deve essere razionale, sempre pronto ad accettare nuove sfide per diventare leader nella vita privata e nel lavoro, deve inseguire gli impegni e le responsabilità, deve essere alla ricerca di avventure che scatenino adrenalina…insomma, deve essere impegnato a vivere con la mente, ma non con il corpo.
L’uomo moderno non vuole, o più precisamente, ha paura di fermarsi e restare solo con se stesso, con il suo cuore e con le sue emozioni.
La vita frenetica diventa causa e giustificazione allo stesso tempo di una mancata consapevolezza del proprio essere individuale e nel mondo. Vi è poco tempo per stare a contatto con il proprio “Io interiore” sede della propria intimità, dei bisogni e desideri più profondi.
Non è un caso, infatti, che durante i diversi lockdown che si sono susseguiti da marzo ad oggi, che hanno comportato isolamenti e restrizioni, molte persone si siano sentite spaventate, insicure e in crisi di identità. L’aumento delle vendite di psicofarmaci ne sono una conferma.
Ed è proprio, quando occorre dover stare con se stessi che cresce il disagio interiore, la paura di vivere o, viceversa, la paura di morire.
La paura di vivere
La paura di vivere è la paura di essere, di esistere, di amare, di provare emozioni, paura di avere un pensiero autonomo, di stare da soli con se stessi e con gli altri, paura di non essere solo esseri razionali e pensanti, ma anche corpi che hanno un cuore che batte, che respirano e che sentono dolore, gioia, rabbia e passione.
La paura così concepita è stata teorizzata da Alexander Lowen, psicoterapeuta e psicologo statunitense.
Nel suo celebre libro “Fear of Life” (tradotto “Paura di vivere”), Lowen afferma come ogni nostro problema sia legato al corpo e che alla base di tutti i problemi vi è la paura di sentirsi vivi, di provare emozioni.
Questo blocco emotivo origina dall’infanzia e dall’educazione ricevuta.
Sin dai primi mesi di vita, il bambino è inquadrato in un insieme di regole educative certamente utili se lasciano spazio alla libertà di strutturare la propria identità. Se, però, le regole inibiscono la crescita interiore del bambino, tali regole vengono percepite e assorbite come un limite alle proprie emozioni.
“Non ti devi ribellare, non devi ridere così forte, non devi frignare, non devi…, non devi…, non devi…”.
Tutte negazioni che instillano nel minore, e poi nell’adolescente, il modello in cui la mente ha il sopravvento sulle sensazioni, sulle emozioni e sugli istinti.
Contemporaneamente si evolve l’adulto razionale che segue gli schemi di comportamento e di status symbol. Il risultato, riprendendo l’insegnamento di Lowen, è che l’uomo impara a reprimere le emozioni togliendo vitalità al corpo. “Un corpo senza vita non sente”.
Chi ha paura di vivere ha rinunciato, più o meno consapevolmente, alle emozioni in ogni ambito della vita.
In quello sentimentale, potrebbe cercare flirt passeggeri senza mai impegnarsi davvero oppure avere una relazione amorosa superficiale. O ancora non voler affatto mettersi in discussione in una relazione di coppia.
In ambito amicale, potrebbe limitare il numero e le uscite con gli amici, ricercare una vita solitaria, intrattenere rapporti superficiali…
In ambito lavorativo, potrebbe essere il capo di un’impresa, ma senza essere davvero un leader empatico, o viceversa, potrebbe svolgere una mansione che non abbia troppe responsabilità in modo da non doversi mettere in gioco.
Ad ogni modo e in qualunque ambito, chi ha paura di vivere non mostrerà mai davvero agli altri chi è in realtà, quali sono i suoi sentimenti, le sue debolezze o le sue opinioni. I giudizi degli altri sono temuti e, quindi, preferisce risultare “invisibile” piuttosto che dover difendere la propria personalità.
La paura di morire
La paura di morire è, come detto, l’altra faccia della stessa medaglia.
Per paura di morire, in questa riflessione, non si intende la paura della fine “fisica” del corpo, quanto quella “psicologica” dell’anima. Se esiste un legame tra le due accezioni di paura, è che la fobia della fine “fisica” è conseguenza di quella “interiore”. Per chiarire meglio il concetto: si è ipocondriaci o si ha paura del momento del trapasso perché la nostra anima vuole comunicare il disagio psicologico sottostante, ovvero la paura di non-essere.
In tal senso, se la paura di vivere è la paura di “essere visibili”, la paura di morire è la paura di non esistere, di “essere invisibili”.
Il desiderio di chi si sente invisibile è quello di “essere riconosciuti”, di essere considerati e di essere apprezzati, accettando anche il fatto di non piacere a qualcuno (è impossibile, se ci si pone agli altri con trasparenza, risultare simpatici a tutti!).
Anche il disagio dell’invisibilità ha le sue radici negli schemi mentali costruiti durante l’infanzia e nell’adolescenza. Così, ad esempio, il fanciullo che deve sempre comportarsi come “un bravo bambino”, magari diventerà uno “studente modello”, ma seduto al banco nell’angolo dell’ultima fila e timido, e impacciato con gli amici.
Questo perché gli è stato imposto, magari anche involontariamente, di mostrare non se stesso nella sua totalità, ma solo la parte migliore. Questo atteggiamento è tipico di chi, da adulto, sviluppa una personalità narcisista, cresciuto dovendo piacere alla propria madre.
Crescendo con delle maschere, inconsapevolmente creano dei rapporti con gli altri che risultano sempre in qualche modo falsati. Essi sono privi di coraggio nel mostrare ogni parte di sé, ma soltanto ciò che può essere accettato.
Chi ha paura di morire, o meglio, di essere già morto, seppur con un cuore che batte, può essere un bravissimo amico e confidente, un partner affettuoso e premuroso, ma non potrà essere il compagno di scuola divertente, al centro della scena o il compagno brillante o un leader empatico.
Sentirsi invisibili significa non sentirsi cercati, non sentirsi importanti per nessuno, non sentirsi apprezzati, ma soprattutto non sentirsi conosciuti…
Esiste uno scollamento tra la propria immagine, di ciò che si è e di come si è percepiti dagli altri. E' l’incapacità di mostrarsi al mondo per quello che si ha da offrire, che fa sentire stupidi e falliti.
Entro le quattro mura della propria camera si ci potrebbe immaginare come il protagonista di un film, ma varcata la porta di casa non si riuscirebbe ad essere null’altro che una comparsa qualunque.
Come ritrovare se stessi
In entrambi i disagi gli elementi comuni da cui partire sono:
• Il giudizio degli altri;
• Le emozioni.
Il giudizio degli altri – Chi ha paura di vivere, teme il giudizio degli altri ed attua comportamenti conformisti; invece chi ha paura di morire osserva gli altri, si sente frustrato per una valutazione di sé non completa, ovvero non si sente capito fino in fondo dagli altri.
Le emozioni – Chi ha paura di vivere ha un atteggiamento epicureo, quasi di insensibilità alle emozioni per paura di provare dolore e sofferenza; chi ha paura di morire teme di non sentire emozioni e di non provare quelle desiderate.
Superare tali blocchi emotivi significa “guardarsi allo specchio”, immobili, ad osservare se stessi nel “qui et ora”. Osservare il proprio volto, le espressioni, gli occhi… e l’anima che si cela dietro.
Non è semplice. Si dovrebbe trovare il coraggio di fermarsi a riflettere, a osservarsi, a non sentirsi in colpa per quello che si pensa o che si desidera.
Scardinare gli schemi mentali che si sono calcificati nel tempo è un lavoro complesso e difficile, ma non impossibile. Un percorso di psicoterapia sarà utile per trovare la consapevolezza di sé attraverso la scoperta di emozioni, pulsioni di vita e di morte (Freud).
Far emergere il vero “Io”, consente di raggiungere il benessere psicologico ed una nuova forza vitale derivante dalla consapevolezza della propria identità.
Soltanto attraverso un lavoro interiore sarà possibile riportare al livello fisiologico l’influenza che il giudizio degli altri genera sul proprio essere e di porre in primo piano il giudizio che si ha di se stessi.
Ugualmente, vivere le emozioni e cominciare ad emozionarsi come si desidera ci renderà liberi di essere se stessi e di rispettare la propria identità.
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