Pensione di reversibilità al coniuge divorziato
La pensione di reversibilità può essere definita come un trattamento previdenziale in favore dei superstiti dell’assicurato o del pensionato deceduto, con lo scopo di contrastare situazioni di disagio economico conseguenti al venire meno del reddito o di una fonte di sostentamento del nucleo familiare.
I soggetti beneficiari sono coloro che vivevano a carico del lavoratore ed acquistano il diritto alla pensione iure proprio, a seguito della morte del titolare della pensione.
Tra tali soggetti, il primo a goderne è sicuramente il coniuge, sposato o separato, ed in alcuni casi divorziato.
A tale ultimo proposito, l’art. 9 della legge n. 898 del 1970, come modificato dalle leggi n. 436/1978 e n. 74/1987, prevede che “in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non è passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.
Il primo presupposto, dunque, perché l’ex coniuge divorziato possa ricevere la pensione di reversibilità è che non sia passato a nuove nozze; il secondo presupposto è che percepisca l’assegno di mantenimento.
Quest’ultimo punto è stato chiarito di recente dalla Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 25053/2017, nella quale è stato affermato che “non può essere attribuita una quota della pensione di reversibilità dell’ex coniuge a chi non sia titolare di assegno divorzile all'esito di determinazione giudiziale”.
Allo stesso modo si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con Sentenza n. 22434/2018: “Non spetta la pensione di reversibilità al coniuge divorziato qualora l’ex coniuge ha accettato, in sede di divorzio, di ricevere l’assegno divorzile in unica soluzione. Infatti, la titolarità dell’assegno deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge; e non come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione”.
Questo il pensiero della Corte di Cassazione contenuto anche nella Sentenza n. 11129/2019 con cui si è pronunciata sul ricorso avanzato contro l’ENPAM (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Medici) da una vedova che si era vista negare nei precedenti gradi di giudizio la pensione di reversibilità, sul presupposto che alla data del decesso del marito questa non percepiva alcun contributo economico.
Al coniuge (nonché a coloro che sono uniti civilmente) la pensione spetta in automatico senza che sia richiesta alcuna condizione, come invece avviene per gli altri familiari.
La pensione è riconosciuta anche ai coniugi separati. Sul punto si segnalano due diversi orientamenti della Cassazione:
• prima tesi: il diritto spetta a patto che il superstite riceva l’assegno di mantenimento o l’assegno alimentare;
• seconda tesi (sul cui filone si inserisce anche la recente sentenza della Cassazione n. 7464 del 15 marzo 2019): la pensione spetta a prescindere da qualsiasi assegno.
Agli ex coniugi divorziati, invece, la pensione è riconosciuta alle seguenti condizioni:
• presenza dei requisiti assicurativi e contributivi in capo al coniuge deceduto;
• decorrenza del rapporto assicurativo del coniuge deceduto prima della sentenza di pronuncia dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio;
• diritto all’assegno divorzile;
• assenza di successive nozze o convivenze da parte del coniuge superstite;
• diritto di abitazione nella casa appartenente all’ex coniuge in luogo dell’assegno divorzile.
Se vi sono le giuste condizioni, anche il coniuge divorziato ha diritto alla pensione di reversibilità, anche se il coniuge deceduto si è risposato.
La suddivisione della pensione di reversibilità viene decisa dal Tribunale in relazione a due fattori:
• la durata dei due matrimoni;
• la situazione economica dell'ex coniuge divorziato e del coniuge superstite.
Contestualmente al coniuge (superstite e/o divorziato) la pensione spetta anche ai figli (compresi quelli adottivi e i minori affidati) in possesso di uno dei seguenti requisiti:
• minorenni;
• studenti, fino a 21 anni se frequentanti scuole medie inferiori e superiori ovvero di età non superiore ai 26 anni se universitari (la pensione spetta se il decesso è avvenuto durante il percorso scolastico);
• figlio inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso (per inabilità si intende l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere un’attività lavorativa a causa di infermità o difetto fisico o mentale).
Il diritto dei genitori alla pensione spetta solo se mancano il coniuge o i figli ovvero se questi non ne hanno diritto, purché:
• abbiano almeno 65 anni di età;
• non siano titolari di pensione diretta o ai superstiti;
• siano a carico del deceduto.
Infine, se mancano anche i genitori o questi non hanno diritto alla pensione, la prestazione spetta ai fratelli celibi e alle sorelle nubili del deceduto, purché siano (alla data del decesso) inabili al lavoro e a carico del deceduto.
L’importo della pensione di reversibilità è una percentuale di quella riconosciuta al deceduto, variabile in base al superstite:
• 60% per il coniuge;
• 20% per ciascun figlio se la prestazione spetta anche al coniuge;
• 40% per ciascun figlio se il coniuge non riceve la pensione;
• 15% per ciascun genitore, fratello o sorella.
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