Pensioni con la Legge di Bilancio 2020, cosa cambia


Ecco quali sono le poche novità rispetto al 2019 e un quadro riassuntivo sulle vie d'uscita
Pensioni con la Legge di Bilancio 2020, cosa cambia

 

Il 2020 dal punto di vista pensionistico si apre con pochissime novità previdenziali: la Legge di Bilancio, infatti, porta soltanto con sé due proroghe (Ape sociale e Opzione donna) e un ritocco quasi impercettibile alla rivalutazione degli assegni in pagamento, neanche notato peraltro dai pensionati, da rendere poco interessanti i contenuti delle novità.

Ne deriva in buona sostanza un quadro complessivo sostanzialmente immutato rispetto all'anno scorso, che ripropone con quota 100 il congelamento del quadro definito dalla riforma pensionistica di fine 2011 del sistema previdenziale e gli “scivoli” introdotti in tempi recenti, per compensare alcune rigidità della riforma Fornero.

Ma andiamo per ordine e rivediamo le principali vie di uscita al pensionamento.

 

Pensione di vecchiaia: Fino al 31/12/2022 sono necessari 67 anni di età e 20 anni di contribuzione accreditata o versata a qualsiasi titolo per accedere alla pensione: vale a dire che al computo dell'anzianità di iscrizione alla forma di previdenza obbligatoria, concorrono sia i periodi coperti da contribuzione derivante da attività lavorativa, periodi accreditati figurativamente, volontariamente, nonché quelli ricongiunti e riscattati a titolo oneroso. Per gli effetti della riforma Amato (1992) il requisito può fermarsi a quindici anni, se tale anzianità risulta accreditata entro il 31/12/1992, mentre rimangono confermati i 66 anni e 7 mesi e 30 anni di contributi per i lavori gravosi e usuranti.

Nulla cambia al testo che individua i requisiti minimi nel 2020, né rispetto al settore di appartenenza (pubblico o privato) e dal genere (uomo o donna), né al sistema di calcolo che rimane misto ossia retributivo fino al 31 dicembre 1995 e poi contributivo per chi, al 31 dicembre 1995, lavorava ma non aveva maturato 18 anni di contributi e per tutti gli altri successivamente assunti.

 

Pensione anticipata: Il requisito per accedere nel 2020 è rimasto invariato rispetto al 2019 e cioè 42 anni e 10 mesi di contribuzione per gli uomini e un anno in meno per le donne, a prescindere dal requisito anagrafico; in tutti i casi, almeno 35 anni devono essere stati accreditati per contribuzione effettiva. Invariata anche la finestra di differimento e cioè tre mesi tra la maturazione e la decorrenza della pensione, periodo in cui si può scegliere di continuare a lavorare oppure rimanere senza reddito e attendere il trascorrere dei 90 giorni.

Per chi ha iniziato a versare i contributi a partire dal 1996, c'è la possibilità di raggiungere la pensione anticipata con soli 20 anni di contributi e uno sconto di tre anni rispetto all'età di vecchiaia e cioè 64 anni, a patto che la pensione maturata sia almeno 2,8 volte l'importo dell'assegno sociale.

 

Quota 100: fino al 2020 è stata confermata la nuova finestra che dà la possibilità di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi, con differimento di tre mesi dalla maturazione del requisito per i lavoratori del settore privato e sei mesi di differimento per i dipendenti pubblici.

Non è inopportuno ricordare che la formula quota 100 non è cumulabile con i redditi di lavoro dipendente e d'impresa per qualsiasi importo, autonomo, redditi da partecipazioni agli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione in cui l'apporto è dato dall'opera, nonché redditi di natura occasionale se superiori a cinquemila euro, percepiti successivamente al conseguimento del trattamento pensionistico e fino alla maturazione dei requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia. La strada attuativa di quota 100 comunque dovrebbe concludersi a fine 2021 visto i costi elevati che ne deriverebbero, ma nel 2022 si correrebbe il rischio di passare con l'abolizione in toto da un anno all'altro e senza modifiche sostitutive, dal pensionamento da 62 anni e 38 contributivi a 67 anni, con uno scalino incolmabile di 5 anni che nemmeno la riforma “Fornero” aveva prodotto.


Opzione donna: Introdotta dall'art. 1 comma 9 della legge 243/2004, opzione donna ha raggiunto i sedici anni di vita e, come accennato all'inizio del nostro articolo a questa ulteriore proroga, per gli effetti della legge di bilancio 2020, possono infatti accedervi le lavoratrici che entro il 31/12 passato abbiano maturato 35 anni di contributi e 58 anni di età se dipendenti e 59 se autonome.

L'opzione donna consente quindi, da un lato, di anticipare considerevolmente l'età anagrafica rispetto alla pensione di vecchiaia, ma di converso, è penalizzante sia dal punto di vista delle finestre di accesso che prevedono 12 mesi di “attesa” per le lavoratrici dipendenti e ben 18 per le autonome, sia dal punto di vista del rendimento della pensione stessa, poiché l'assegno viene determinato applicando all'intera vita contributiva della lavoratrice, il metodo del calcolo contributivo invece di quello misto per le pensioni di vecchiaia di cui già accennato.


Ape sociale: Accanto alle pensioni vere e proprie, nel panorama previdenziale vi sono anche delle scorciatoie detti “scivoli”, che consentono di smettere di lavorare e percepire un reddito di sostegno fino alla maturazione dei requisiti di accesso alla pensione per coloro, con età anagrafica non inferiore a 63 anni, che si trovano in uno stato di disoccupazione a seguito di licenziamento anche collettivo, dimissioni o risoluzione consensuale, per scadenza di contratto a condizione che nei 36 mesi precedenti la cessazione, abbiano svolto periodi di lavoro per almeno 18 mesi e abbiano concluso la disoccupazione da almeno 3 mesi e siano in possesso di un'anzianità contributiva complessiva di almeno 30 anni elevata a 36 per chi ha svolto lavori gravosi, ridotta di dodici mesi per le lavoratrici madri, per ciascun figlio, entro un limite massimo di 24 mesi.

L'attività lavorativa che sia essa dipendente, autonoma o parasubordinata dovrà essere necessariamente cessata e l'importo dell'ape sociale la cui durata coprirà i mesi fino a quando il percettore raggiungerà l'età prevista per il conseguimento della pensione di vecchiaia o anticipata, sarà pari all'importo mensile della pensione di vecchiaia calcolata al momento della domanda e, in tutti i casi, l'importo lordo mensile non potrà superare € 1.500,00, Durante la percezione non si potrà beneficiare, inoltre, degli assegni familiari.


Ri.Ta: Non è inopportuno, infine, fare accenno all'anticipo pensionistico attraverso i fondi pensione previsto dalla legge di bilancio 2018 e cioè la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, che consente al lavoratore dal momento dell’accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia nel sistema pensionistico obbligatorio di appartenenza, di percepire attraverso un'erogazione frazionata di tutto o parte, del montante accumulato al fondo pensionistico, erogato a cadenza trimestrale. I requisiti per accedervi riguardano gli anni di anzianità maturati nel fondo pensione (almeno cinque) e la cessazione del rapporto di lavoro. L'anticipo può coprire fino a cinque anni il raggiungimento dei 67 con almeno anzianità ventennale di contribuzione maturata nel proprio regime obbligatorio di appartenenza, oppure fino a dieci anni di anticipo massimo, per coloro che in più, arrivano da due anni di inoccupazione, trascorso il loro periodo di mobilità.

Il vantaggio fiscale per coloro che, avendone i requisiti, accedono alla Rita è rappresentata da una tassazione sull'intero capitale erogato in forma di rendita pari al 15% con ulteriori deduzioni a seconda l'età di appartenenza al fondo e, in più, il vantaggio di poter conferire ad esso la parte di Tfr pregresso cioè maturato prima dell'iscrizione al fondo pensione, poiché al momento dell'erogazione verrebbe tassato dal proprio datore di lavoro ad una percentuale molto più alta, ancorché a regime separato, rispetto al 15% appena accennato.

In conclusione, un quadro generale molto statico, al quale se aggiungiamo il congelamento fino al 2026 dell'adeguamento dei requisiti per quasi tutte le tipologie di pensionamento, pare proprio che il sistema previdenziale definito dalla riforma del 2011, ne rimanga ancora una volta pienamente ingabbiato.

 

Articolo del:


di Rag. Giuseppe Vaccaro

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