Perché la sospensione della prescrizione danneggia tutti
Negli ultimi mesi, stiamo assistendo al dibattito che si è sviluppato in sede politica, estendendosi poi in altre sedi – alcune proprie, come i tribunali, le accademie, le redazioni dei giornali, altre francamente improvvisate come i talk show generalisti, bar e sale gioco, come se il tema fosse equiparabile all'analisi di un goal o un nuovo flirt estivo di qualche velina – intorno alla sospensione della prescrizione nel corso del giudizio di appello.
La sensazione, indipendentemente da valutazioni politiche che si ha, è che chi l’ha proposta, lo abbia fatto più per motivi propagandistici che in base di una attenta analisi del tema e delle possibili soluzioni alternative.
La questione tecnica è ormai nota ai più e la affrontiamo rapidamente.
Salvo per i reati c.d. imprescrittibili (es. omicidio volontario aggravato, strage ecc.) in ambito penale esiste l’istituto della prescrizione che fa sì che, a seconda del tipo di reati e degli eventuali precedenti dell’imputato, dopo un certo periodo di tempo lo stato perda “interesse” all’accertamento delle responsabilità e, quindi, il reato si estingua per intervenuta prescrizione, che comunque è sempre rinunciabile da parte dell'imputato, rinuncia, per chi ha dimestichezza con i tribunali, assai rara.
Come dicevamo, il tema che viene in questi mesi affrontato è quello relativo alla sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (che sia di condanna o di assoluzione, poco importa).
Ovviamente, chi si oppone strenuamente alla sospensione della prescrizione, lo fa invocando, più che correttamente e condivisibilmente, il sacrosanto diritto dell'imputato a non rimanere sotto processo a vita, in attesa dei tempi biblici dei magistrati i quali, in assenza dell'incombente prescrizione, se la prenderebbero ancor più comoda di quanto già facciano nel gestire i processi (a mo’ di esempio, ricordiamo che il codice di procedura penale imponga di depositare la sentenza entro 90 giorni dalla lettura del dispositivo. Per i magistrati questo termine è solo ordinatorio, quindi, la sua violazione non comporta alcuna responsabilità per il magistrato, neppure di natura disciplinare).
Di contro, la motivazione per la quale sospendere la prescrizione dopo il giudizio di primo grado, invocata dai Cinque Stelle, risiede nel fatto che “i delinquenti, spesso, la fanno franca grazie alla prescrizione” e che “non si pensa mai alle vittime”.
Cerchiamo di dare una risposta il più possibile sintetica alle due suggestioni testé invocate.
I “delinquenti, spesso, la fanno franca grazie alla prescrizione”
I più ignorano che nel nostro ordinamento, codice di procedura alla mano, le indagini dovrebbero durare al massimo sei mesi, prorogabili sino un anno e in alcuni casi di particolare complessità, fino a due.
Nella stragrande maggioranza dei casi durano anni ed anni.
Un giudizio di primo grado medio (non certamente quelli per reati più importanti e complessi, che tuttavia hanno una prescrizione più lunga – si pensi ai reati di associazione mafiosa, reati sessuali, droga ecc.) dura 5 o 6 udienze.
Se queste venissero fissate ad una settimana l’una dall’altra, un processo durerebbe un mese e mezzo.
Se venissero fissate ad un mese l’una dall’altra, il processo durerebbe sei mesi.
Nella prassi dei tribunali, molto spesso le udienze vengono fissate a sei mesi di distanza l’una dall’altra, e il processo di primo grado dura 3 anni.
A quel punto inizia l’appello, che spesso viene fissato ad anni di distanza, nonostante nella stragrande maggioranza dei casi duri una sola udienza e così per il giudizio di cassazione.
Se si sommano le durate di cui si è dato conto, emerge chiaramente che un giudizio che dovrebbe durare al massimo 2 anni tra indagini, primo grado, appello e cassazione, in pratica dura mediamente dai 7 ai 10 anni.
Pertanto, con buona pace dei fautori della sospensione, se il processo avesse la durata che dovrebbe avere, nessuno potrebbe mai usufruire, se non in casi eccezionali, della prescrizione e farla franca.
Per rispondere alla seconda motivazione apparentemente definitiva (“non si pensa mai alle vittime”) ricordiamo in primo luogo che in base al principio della c.d. presunzione di non colpevolezza dettato dall'art. 27 della Costituzione, nel nostro ordinamento, non si può essere considerati colpevoli fini a che la sentenza non passi in giudicato (nella prassi, fino al terzo grado di giudizio).
Questo sta a significare che, da un lato, la parte offesa, spesso costituitasi parte civile per ottenere il risarcimento dei danni, dovrà attendere tre gradi di giudizio per avere una certezza processuale (che non corrisponde spesso alla verità sostanziale) della responsabilità dell'imputato.
Chiunque abbia avuto a che fare con un Tribunale – fosse anche per una multa – sa quanto sia penosa l'attesa della decisione, soprattutto se si pensa di essere dalla parte della ragione.
Immaginiamo quanto snervante possa essere per una parte lesa l'attesa di un verdetto – o la sua conferma.
Cosa fare nell'attesa? E se il giudice di primo grado avesse sbagliato? E se in appello il verdetto venisse capovolto (ipotesi non infrequente)?
E poi, ancora, nel caso in cui il giudice di primo grado avesse imposto un risarcimento del danno all'imputato condannato, ma da ritenersi ancora "presunto" colpevole – fino alla sentenza di terzo grado –, che fare? Mettere la sentenza in esecuzione? Attendere? E se il grado successivo riformasse la sentenza? Bisognerebbe restituire tutto quanto ottenuto con interessi e spese legali? La risposa è SI, vi evito di rifletterci su.
Questi ed altri dubbi, legittimi, albergano nella testa delle parti lese. La sospensione della prescrizione – e, quindi, un processo di secondo grado che potrà indubitabilmente durare molto di più – non faranno che acuire queste domande permeate di ansia e frustrazione.
A queste riflessioni si aggiungano due ultime suggestioni un po' provocatorie.
La prima.
Siamo così convinti che gli imputati, soprattutto quelli che sanno di essere colpevoli, siano così dispiaciuti di avere un processo che duri a lungo e che non abbia una fine rapida? Siamo così certi che un politico corrotto non preferisca restare sotto processo a vita – magari lamentandosi pubblicamente dei tempi della giustizia e continuando privatamente a fare quel che faceva prima – piuttosto che vedere una fine rapida (e una sentenza definitiva di condanna con interdizione perpetua dai pubblici uffici)? Io no!
La seconda.
Se il presunto colpevole individuato dai magistrati nel corso delle indagini non fosse quello vero e solo dopo molti anni e un processo durato tre gradi (con relativa sospensione della prescrizione e costi per la collettività), emergesse che il colpevole è un altro? Per questi varrebbe la sospensione della prescrizione maturata a favore del primo imputato? La risposta, ovviamente, è negativa e con molta probabilità il vero responsabile usufruirebbe di una prescrizione per lui maturata nelle more del giudizio. Il tutto con buona pace della vittima.
Pertanto meditate se questa misura tuteli veramente le parti offese o forse abbia qualche altra finalità. Meditate.
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