Perché rileva la valutazione d'idoneità del MOG?
Individuare nella sostenibilità economica della compliance un limite allo sforzo per l’idoneità dei modelli di organizzazione e gestione?
RESPONSABILITA' DEGLI ENTI E SOSTENIBILITA' DELLA COMPLIANCE (1)
(Terzo di una serie di articoli)
La cd. "colpa dell'organizzazione" risulta provata in caso di assenza di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quelli accertati a carico dell'amministratore, adeguatamente monitorati da un Organismo di Vigilanza. La colpa da organizzazione si integra, sul piano soggettivo nella mancanza di due elementi, entrambi necessari: l’adozione di un idoneo Modello e la vigilanza sull’attuazione dello stesso.
Per mettersi dunque al sicuro da tale responsabilità, l’ente è tenuto ad una serie di scelte, aventi carattere sia di organizzazione (l’adozione del MOG) che di merito (l’idoneità del Modello, l’assoggettamento della vigilanza sullo stesso ad un apposito Organismo di Vigilanza).
La disciplina dettata dal D. Lgs. 231/01, pur fissando i presupposti ed i limiti della responsabilità stessa, non fornisce una definizione delle misure da adottare per conseguire il beneficio della esenzione. Né gli interventi giurisprudenziali fin qui succedutisi hanno contribuito a colmare, se non in senso negativo, tale mancanza.
Il Tribunale di Roma indica nella mancanza di specifica attenzione dedicata dal Modello alle peculiari aree di operatività dell’ente, nelle non effettive autonomia ed indipendenza dell’Organismo di Vigilanza e nella non previsione di una maggioranza qualificata per la modifica del MOG i fondamenti su cui basare il giudizio di non idoneità. Ma lo stesso Ufficio ritiene ammissibile il ricorso ad un perito per la valutazione dell’idoneità stessa.
Ora, se il giudizio di idoneità fosse riferito all’adozione, da parte dell’ente, della soluzione più complessa/costosa per prevenire la commissione dei reati, nessuna azienda passerebbe il vaglio del giudizio di idoneità. Se il MOG normalmente consiste nella mappatura delle attività a rischio, nell’adozione di una serie di norme interne e procedure, a cominciare dalla cd. "segregazione funzionale" e nell’istituzione di un organismo che vigili costantemente sull’attuazione del Modello, se questi sono gli elementi minimi, ed ormai invalsi nella prassi a caratteristici della struttura di un MOG, nulla vieta che un ente possa scegliere diversamente: paradossalmente, sino a prevedere la duplicazione di tutti i ruoli aziendali, affiancando ad ogni operatore un controllore, che debba avallare le scelte del primo. E perché non due controllori, o tre ...
Non va dimenticato, infatti, che è implicito nel concetto di impresa quello di «rischio». Ora, se non è accettabile (legalmente e socialmente) che un’impresa speculi sull’arbitraggio dei rischi, neppure si può immaginare che essa dedichi quantitativi illimitati di risorse alla prevenzione dei rischi.
L’evoluzione della coscienza sociale, e del benessere, hanno fatto sì che oggi all’apprezzamento del ruolo produttivo dell’impresa si affianchi con sempre maggior vigore quello della sua utilità sociale, in una declinazione moderna, e forse neppure prevista dai Padri Costituenti, dell’art. 41 della Carta Fondamentale.
Il punto consiste, allora, nella individuazione del giusto equilibrio tra il diritto alla libertà di iniziativa economica (che significa anche libertà di organizzazione) e dovere di contribuire all’utilità sociale.
Si tratta dunque di individuare i requisiti dell’idoneità richiesta dalla legge. La considerazione specifica per gli ambiti di attività dell’ente, cui si è fatto cenno in precedenza, trova riscontro obiettivo nel compimento di una mappatura delle aree a rischio; e, certamente, nella fissazione dei comportamenti attesi, e ritenuti accettabili, rispetto all’individuazione di quelli vietati, delle cautele necessarie per contrastarli, delle sanzioni che corrispondano alle violazioni; il tutto cristallizzato in documenti ufficiali dell’ente, redatti per iscritto, formalmente adottati e portati a conoscenza degli addetti, cui potrà essere opportuno rivolgere specifica attività di formazione.
Ma questo basterà? A fronte del costo sostenuto per mappare i rischi, redigere il Modello e adottarlo, costituire e mantenere l’OdV, provvedere alla costante "manutenzione" del Modello stesso, si sarà almeno conseguito il beneficio previsto dell’esenzione da responsabilità dell’ente? Si può verificarlo ex ante? Diversamente, si potrebbe essere indotti a valutare l’adozione del Modello solo ex post facto, per ottenere una attenuazione delle sanzioni - costo certo per beneficio certo - ex art. 12, co. 2, lett. (b) del Codice.
(segue)
(Terzo di una serie di articoli)
La cd. "colpa dell'organizzazione" risulta provata in caso di assenza di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quelli accertati a carico dell'amministratore, adeguatamente monitorati da un Organismo di Vigilanza. La colpa da organizzazione si integra, sul piano soggettivo nella mancanza di due elementi, entrambi necessari: l’adozione di un idoneo Modello e la vigilanza sull’attuazione dello stesso.
Per mettersi dunque al sicuro da tale responsabilità, l’ente è tenuto ad una serie di scelte, aventi carattere sia di organizzazione (l’adozione del MOG) che di merito (l’idoneità del Modello, l’assoggettamento della vigilanza sullo stesso ad un apposito Organismo di Vigilanza).
La disciplina dettata dal D. Lgs. 231/01, pur fissando i presupposti ed i limiti della responsabilità stessa, non fornisce una definizione delle misure da adottare per conseguire il beneficio della esenzione. Né gli interventi giurisprudenziali fin qui succedutisi hanno contribuito a colmare, se non in senso negativo, tale mancanza.
Il Tribunale di Roma indica nella mancanza di specifica attenzione dedicata dal Modello alle peculiari aree di operatività dell’ente, nelle non effettive autonomia ed indipendenza dell’Organismo di Vigilanza e nella non previsione di una maggioranza qualificata per la modifica del MOG i fondamenti su cui basare il giudizio di non idoneità. Ma lo stesso Ufficio ritiene ammissibile il ricorso ad un perito per la valutazione dell’idoneità stessa.
Ora, se il giudizio di idoneità fosse riferito all’adozione, da parte dell’ente, della soluzione più complessa/costosa per prevenire la commissione dei reati, nessuna azienda passerebbe il vaglio del giudizio di idoneità. Se il MOG normalmente consiste nella mappatura delle attività a rischio, nell’adozione di una serie di norme interne e procedure, a cominciare dalla cd. "segregazione funzionale" e nell’istituzione di un organismo che vigili costantemente sull’attuazione del Modello, se questi sono gli elementi minimi, ed ormai invalsi nella prassi a caratteristici della struttura di un MOG, nulla vieta che un ente possa scegliere diversamente: paradossalmente, sino a prevedere la duplicazione di tutti i ruoli aziendali, affiancando ad ogni operatore un controllore, che debba avallare le scelte del primo. E perché non due controllori, o tre ...
Non va dimenticato, infatti, che è implicito nel concetto di impresa quello di «rischio». Ora, se non è accettabile (legalmente e socialmente) che un’impresa speculi sull’arbitraggio dei rischi, neppure si può immaginare che essa dedichi quantitativi illimitati di risorse alla prevenzione dei rischi.
L’evoluzione della coscienza sociale, e del benessere, hanno fatto sì che oggi all’apprezzamento del ruolo produttivo dell’impresa si affianchi con sempre maggior vigore quello della sua utilità sociale, in una declinazione moderna, e forse neppure prevista dai Padri Costituenti, dell’art. 41 della Carta Fondamentale.
Il punto consiste, allora, nella individuazione del giusto equilibrio tra il diritto alla libertà di iniziativa economica (che significa anche libertà di organizzazione) e dovere di contribuire all’utilità sociale.
Si tratta dunque di individuare i requisiti dell’idoneità richiesta dalla legge. La considerazione specifica per gli ambiti di attività dell’ente, cui si è fatto cenno in precedenza, trova riscontro obiettivo nel compimento di una mappatura delle aree a rischio; e, certamente, nella fissazione dei comportamenti attesi, e ritenuti accettabili, rispetto all’individuazione di quelli vietati, delle cautele necessarie per contrastarli, delle sanzioni che corrispondano alle violazioni; il tutto cristallizzato in documenti ufficiali dell’ente, redatti per iscritto, formalmente adottati e portati a conoscenza degli addetti, cui potrà essere opportuno rivolgere specifica attività di formazione.
Ma questo basterà? A fronte del costo sostenuto per mappare i rischi, redigere il Modello e adottarlo, costituire e mantenere l’OdV, provvedere alla costante "manutenzione" del Modello stesso, si sarà almeno conseguito il beneficio previsto dell’esenzione da responsabilità dell’ente? Si può verificarlo ex ante? Diversamente, si potrebbe essere indotti a valutare l’adozione del Modello solo ex post facto, per ottenere una attenuazione delle sanzioni - costo certo per beneficio certo - ex art. 12, co. 2, lett. (b) del Codice.
(segue)
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