Perchè rivolgersi allo psicologo
Le difficoltà emotive vissute dall’adulto hanno le loro radici nell’imprinting iniziale che lo psicologo riesce a individuare
Fra tutte le categorie professionali, quella dello psicologo è indubbiamente la più contestata. Se nessuno dubita di dover ricorrere al medico, all’avvocato o al commercialista, la protesta contro un contatto con uno psicologo è, se non quasi unanime come un tempo, ancora molto diffusa. Si sollevano critiche vivissime per la spesa, se ne contesta la necessità, si sostiene che il dispendio non avrà nessun riscontro positivo. Si dà per scontato che ci si debba rivolgere a un commercialista per risolvere i problemi fiscali, ma non si dice nulla sul diritto di sottoporsi a ripetute visite mediche per salvaguardare la propria salute fisica.
E la tutela per la salute psichica? La risposta è drastica: quella psichica non deve costituire un problema. Le affermazioni più ricorrenti sostengono in linea di massima che i segnali sospetti non significano nulla, che il familiare sta bene e che quel comportamento un po’ particolare rientra nella norma. Tale valutazione è autoreferenziale e rassicura il soggetto sul suo stato di salute. A questo punto si aggiunge un’osservazione apparentemente irrefutabile: ognuno è nato con un determinato carattere ed è impossibile qualsiasi cambiamento. Se non c’è rimedio, è meglio rassegnarsi, invece di cercare aiuti inefficaci. L’idea fissa che il carattere sia indelebilmente iscritto in ognuno di noi ha una lunga tradizione. Basti pensare ai "tipi" di tante commedie celebri, che mettono in scena l’avaro, il prodigo, il violento, il burbero ecc. Tutti questi personaggi mantengono il loro folle comportamento in qualsiasi situazione, fino a diventare vittime dei mutamenti della sorte. Questo luogo comune si appoggia attualmente alla divulgazione strumentale delle teorie genetiche. Il DNA, miseramente privato del suo contesto scientifico, fa da tuttologo.
Se poi in famiglia qualcuno è chiaramente in crisi, allora si ricorre al medico; questi rinvia il paziente allo psichiatra, che somministra il farmaco ad hoc. La causa prima che spinge a cercare una valutazione medica è attualmente la cosiddetta depressione, sintomatologia sulla quale tutti credono di sapere tutto, mentre regna una confusione inestricabile, dalla quale non è immune nemmeno la classe medica. Il male sembra irrimediabile a meno che il soggetto non si sottoponga a lunghissime, spesso croniche terapie antidepressive. Si cerca di alleggerire la responsabilità del familiare "malato" accusando il mondo esterno, apportatore di frustrazioni; si colpevolizza lo stress lavorativo, l’incertezza sociale, qualche fallimento affettivo o finanziario, come se una difficoltà esterna fosse l’unica responsabile del danno. Prima di quei tristi eventi il soggetto veniva definito come perfettamente sano.
L’esito di queste affermazioni non fa altro che confermare l’irrimediabilità del disturbo e l’impossibilità di operare cambiamenti.
In realtà, per quanto non si possa negare una disposizione genetica (termine quanto mai vago e impreciso), non si dimentichi che nella scala zoologica più aumenta il livello evolutivo delle varie gerarchie animali, più le capacità neurologiche risultano flessibili e soggette a cambiamenti. In una mosca l’apprendimento fornito dallo "stimolo-risposta" è nullo; l’insetto scacciato con la mano ritorna infinite volte nello stesso punto da cui era stato allontanato, perché il suo sistema nervoso non gli consente di agire più intelligentemente. Un ratto non reagisce così. Messo nella medesima situazione, ossia scacciato da un luogo, cambia direzione, deviando dalla meta proibita, perché comprende di non dover ritornare sugli stessi passi, pena un tragico esito. Questo è solo un piccolo esempio su cui riflettere. La psicologia comportamentista ha incrinato la convinzione dell’immodificabilità del carattere. Per effetto di stimolazioni e di tecniche speciali, si sviluppa un comportamento mutato di segno rispetto all’origine. Quanto più la scala evolutiva sale, tanto più il sistema nervoso è sensibile all’apprendimento e al cambiamento. Il cervello più si perfeziona, più diventa flessibile e meno legato all’invarianza dei comportamenti "specie-specifici".
Per tale motivo l’ambiente — intendendo con questo termine l’atmosfera concreta e psicologica che regna nella casa d’origine del soggetto — fornisce un imprinting risolutivo alle strutture neurologiche geneticamente impresse. L’infante è una creta modellata dal fuori o, più modernamente, un hardware di base riempito da un software. A partire dalla nascita immette nella sua mente in formazione innumerevoli dati, elaborandoli in modo strutturante e personale. Il lavorio mentale del piccolissimo non lo vediamo o non lo notiamo; il lattante però, quasi a nostra insaputa, incomincia a farsi un quadro della realtà, deducendolo dalle emozioni e dalle informazioni che riceve dal clima relazionale che lo attornia. Il suo sistema nervoso interiorizza gli stimoli che lo circondano e si mette al lavoro con gli elementi che ha a disposizione. Dall’elaborazione di questo quadro mentale nasce il profilo della sua personalità. La componente cosiddetta genetica si mescola con l’esperienza.
Nella prossima puntata vedremo come.
E la tutela per la salute psichica? La risposta è drastica: quella psichica non deve costituire un problema. Le affermazioni più ricorrenti sostengono in linea di massima che i segnali sospetti non significano nulla, che il familiare sta bene e che quel comportamento un po’ particolare rientra nella norma. Tale valutazione è autoreferenziale e rassicura il soggetto sul suo stato di salute. A questo punto si aggiunge un’osservazione apparentemente irrefutabile: ognuno è nato con un determinato carattere ed è impossibile qualsiasi cambiamento. Se non c’è rimedio, è meglio rassegnarsi, invece di cercare aiuti inefficaci. L’idea fissa che il carattere sia indelebilmente iscritto in ognuno di noi ha una lunga tradizione. Basti pensare ai "tipi" di tante commedie celebri, che mettono in scena l’avaro, il prodigo, il violento, il burbero ecc. Tutti questi personaggi mantengono il loro folle comportamento in qualsiasi situazione, fino a diventare vittime dei mutamenti della sorte. Questo luogo comune si appoggia attualmente alla divulgazione strumentale delle teorie genetiche. Il DNA, miseramente privato del suo contesto scientifico, fa da tuttologo.
Se poi in famiglia qualcuno è chiaramente in crisi, allora si ricorre al medico; questi rinvia il paziente allo psichiatra, che somministra il farmaco ad hoc. La causa prima che spinge a cercare una valutazione medica è attualmente la cosiddetta depressione, sintomatologia sulla quale tutti credono di sapere tutto, mentre regna una confusione inestricabile, dalla quale non è immune nemmeno la classe medica. Il male sembra irrimediabile a meno che il soggetto non si sottoponga a lunghissime, spesso croniche terapie antidepressive. Si cerca di alleggerire la responsabilità del familiare "malato" accusando il mondo esterno, apportatore di frustrazioni; si colpevolizza lo stress lavorativo, l’incertezza sociale, qualche fallimento affettivo o finanziario, come se una difficoltà esterna fosse l’unica responsabile del danno. Prima di quei tristi eventi il soggetto veniva definito come perfettamente sano.
L’esito di queste affermazioni non fa altro che confermare l’irrimediabilità del disturbo e l’impossibilità di operare cambiamenti.
In realtà, per quanto non si possa negare una disposizione genetica (termine quanto mai vago e impreciso), non si dimentichi che nella scala zoologica più aumenta il livello evolutivo delle varie gerarchie animali, più le capacità neurologiche risultano flessibili e soggette a cambiamenti. In una mosca l’apprendimento fornito dallo "stimolo-risposta" è nullo; l’insetto scacciato con la mano ritorna infinite volte nello stesso punto da cui era stato allontanato, perché il suo sistema nervoso non gli consente di agire più intelligentemente. Un ratto non reagisce così. Messo nella medesima situazione, ossia scacciato da un luogo, cambia direzione, deviando dalla meta proibita, perché comprende di non dover ritornare sugli stessi passi, pena un tragico esito. Questo è solo un piccolo esempio su cui riflettere. La psicologia comportamentista ha incrinato la convinzione dell’immodificabilità del carattere. Per effetto di stimolazioni e di tecniche speciali, si sviluppa un comportamento mutato di segno rispetto all’origine. Quanto più la scala evolutiva sale, tanto più il sistema nervoso è sensibile all’apprendimento e al cambiamento. Il cervello più si perfeziona, più diventa flessibile e meno legato all’invarianza dei comportamenti "specie-specifici".
Per tale motivo l’ambiente — intendendo con questo termine l’atmosfera concreta e psicologica che regna nella casa d’origine del soggetto — fornisce un imprinting risolutivo alle strutture neurologiche geneticamente impresse. L’infante è una creta modellata dal fuori o, più modernamente, un hardware di base riempito da un software. A partire dalla nascita immette nella sua mente in formazione innumerevoli dati, elaborandoli in modo strutturante e personale. Il lavorio mentale del piccolissimo non lo vediamo o non lo notiamo; il lattante però, quasi a nostra insaputa, incomincia a farsi un quadro della realtà, deducendolo dalle emozioni e dalle informazioni che riceve dal clima relazionale che lo attornia. Il suo sistema nervoso interiorizza gli stimoli che lo circondano e si mette al lavoro con gli elementi che ha a disposizione. Dall’elaborazione di questo quadro mentale nasce il profilo della sua personalità. La componente cosiddetta genetica si mescola con l’esperienza.
Nella prossima puntata vedremo come.
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