Perdita della vita, quando il danno è risarcibile?


Le Sezioni Unite riconoscono il danno catastrofale, sofferto da chi rimane lucido prima di morire
Perdita della vita, quando il danno è risarcibile?

La perdita di una persona cara, come un familiare o un convivente, è certamente risarcibile nella misura in cui, venendo a mancare quella persona, contemporaneamente manca una fonte di reddito per chi le sta vicino. Questa voce di danno è di natura strettamente economica e rientra nella categoria del danno patrimoniale. Ma sono risarcibili anche voci di danno non patrimoniale, cioè non legate alla tutela di un interesse economico?

Le vite delle persone che piangono il defunto sono stravolte e la dimensione affettiva non può essere ignorata quale interesse autonomo ad agire per il risarcimento del danno. Tuttavia, la Cassazione è sempre stata attenta ad evitare una ingiustificata locupletazione del danneggiato, ossia un arricchimento dovuto all’eccessivo moltiplicarsi delle voci di danno risarcibile.

La questione più controversa è quella del c.d. danno tanatologico. Si può definire come il danno sofferto per una lesione a cui segue la morte della persona immediatamente o entro brevissimo tempo (ci si immagini, per esempio, che Tizio provochi un’incidente che coinvolge Caio, il quale riporta ferite gravissime e non muore sul colpo, ma durante il trasporto in ospedale).

Sulla riconoscibilità del danno tanatologico e sulla sua trasmissibilità agli eredi si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. S.U. 22 luglio 2015, n. 15350). Prima di descrivere la soluzione a cui sono pervenute le Sezioni Unite, è opportuno ripercorrere gli orientamenti precedenti.

Una risalente pronuncia della Corte costituzionale (sen. 372/1994) rifiutò di riconoscere un fondamento costituzionale a questa fonte di danno. La questione della sua ammissibilità nel diritto civile, pertanto, venne lasciato al prudente apprezzamento del legislatore e della giurisprudenza. Il legislatore, tuttavia, non ha mai regolato il danno tanatologico.

Dal canto suo, la Cassazione si è sempre orientata a sfavore del risarcimento per perdita immediata della vita, almeno fino ad una breve parentesi del 2014 (sentenza n. 1361). Fino a quel momento, si erano stratificate nel tempo diverse denominazioni relative a quanto patito durante il tempo che separa la lesione dalla morte ("danno morale terminale", "danno catastrofale", "danno da lucida agonia", ecc.) e non risultava sempre chiaro se tali denominazioni distinguessero diverse voci di danno oppure se costituissero semplici sinonimi. A questo quadro incerto, la sentenza del 2014 riconobbe una controversa voce di danno, il danno tanatologico appunto, sulla base di uno presunto e non meglio precisato rispetto per la "coscienza sociale".

Alle Sezioni Unite del 2015, tuttavia, l’appello alla coscienza sociale appare retorico ed arbitrario, e finisce per rendere del tutto vana la distinzione tra i beni giuridici della vita e della salute. Il ragionamento che esclude il danno da perdita della vita è il seguente. Se è vero che il danno consiste nella lesione di una situazione giuridica soggettiva, è necessario che ne esista un titolare legittimo. In caso di morte come conseguenza di una lesione, il soggetto legittimato a far valere il credito risarcitorio semplicemente non esiste: il diritto nasce e muore nello stesso momento, perché esso "non ha il tempo" di entrare nel patrimonio giuridico del soggetto che decede, e pertanto non è trasmissibile per diritto di successione.

Le Sezioni Unite, in conclusione, recuperando i principi consolidati prima della sentenza del 2014, ammettono la validità di quella voce di danno, variamente denominata, che corrisponde alla sofferenza morale caratteristica del "danno catastrofale", che affligge il bene salute e non il bene vita. Il risarcimento è ammissibile solo se, nel lasso di tempo tra la lesione e la morte, la vittima sia rimasta lucida e cosciente, tanto da soffrire in termini morali per una dipartita che percepisce come prossima e ineluttabile.

Come si vede, il danno tanatologico non ha cittadinanza nel nostro ordinamento, almeno alla luce dell'attuale orientamento giurisprudenza. Rimane ferma, ovviamente, la tutela del bene vita che consiste nella sanzionabilità penale dell’omicidio (preterintenzionale, colposo o come conseguenza di un delitto doloso, a seconda dei casi), purché ne ricorrano i presupposti di natura penale.

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di Dr. Andrea Bottiglieri

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