Permesso di soggiorno per motivi familiari
Il Consiglio di Stato chiarisce che il permesso di soggiorno per motivi familiari deve essere rilasciato anche in caso di semplice convivenza
Con una recente e innovativa sentenza, il Consiglio di Stato ha fissato il rilevante principio di diritto secondo cui il permesso di soggiorno per motivi familiari (di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 286/1998) può applicarsi anche al partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale.
Secondo il Supremo Consesso tale lettura è giustificata da concorrenti ragioni.
In primo luogo, viene in rilievo il fondamentale principio di eguaglianza sostanziale, ormai consacrato, a livello di legislazione interna, anche dall’art. 1, comma 36, della l. n. 76 del 2016, per quanto qui rileva, sulle convivenze di fatto tra «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».
In secondo luogo, assumono consistente rilievo le indicazioni fornite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che è giunta a ritenere come la nozione di «vita privata e familiare», di cui all’art. 8, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo debba riferita non solo alle relazioni consacrate dal matrimonio, ma anche alle unioni di fatto nonché, in generale, a tutti i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale (Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 febbraio 2016, ric. n. 6845/13, Pajic c. Croazia).
In sostanza, il Giudice amministrativo, condividendo le coordinate applicative della Corte di Strasburgo, è giunto a ritenere applicabile, anche nel nostro ordinamento, il principio, secondo cui, a fronte di rapporti affettivi (di natura eterosessuale od omosessuale), l’eventuale applicazione di una misura di allontanamento o di diniego di un permesso di soggiorno provoca un sacrificio sproporzionato del diritto alla vita privata e familiare per il soggetto portatore dell’interesse.
In conclusione, è stato ritenuto che "la circostanza che l’attuale legislazione in materia di permessi di soggiorno non sia stata ancora adeguata o comunque ben coordinata, sul punto, alle riforme introdotte dalla l. n. 76 del 2016 sulle unioni civili e di fatto, consentendo il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 286 del 1998, anche al convivente straniero di cittadino italiano, purché ne ricorrano le condizioni, formali e sostanziali, ora previste dalla stessa l. n. 76 del 2016 (e, in particolare, dall’art. 1, commi 36 e 37), non osta all’applicazione mediata, anche in via analogica, degli istituti previsti dalla legislazione in materia di immigrazione per le unioni matrimoniali e, quindi, dello stesso art. 30, e ciò per la forza, essa immediata, di principî costituzionali ed europei, la cui cogenza prescinde dalla normativa sopravvenuta della medesima l. n. 76 del 2016 e dalle conseguenti disposizioni di attuazione e/o coordinamento".
Secondo il Supremo Consesso tale lettura è giustificata da concorrenti ragioni.
In primo luogo, viene in rilievo il fondamentale principio di eguaglianza sostanziale, ormai consacrato, a livello di legislazione interna, anche dall’art. 1, comma 36, della l. n. 76 del 2016, per quanto qui rileva, sulle convivenze di fatto tra «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».
In secondo luogo, assumono consistente rilievo le indicazioni fornite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che è giunta a ritenere come la nozione di «vita privata e familiare», di cui all’art. 8, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo debba riferita non solo alle relazioni consacrate dal matrimonio, ma anche alle unioni di fatto nonché, in generale, a tutti i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale (Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 febbraio 2016, ric. n. 6845/13, Pajic c. Croazia).
In sostanza, il Giudice amministrativo, condividendo le coordinate applicative della Corte di Strasburgo, è giunto a ritenere applicabile, anche nel nostro ordinamento, il principio, secondo cui, a fronte di rapporti affettivi (di natura eterosessuale od omosessuale), l’eventuale applicazione di una misura di allontanamento o di diniego di un permesso di soggiorno provoca un sacrificio sproporzionato del diritto alla vita privata e familiare per il soggetto portatore dell’interesse.
In conclusione, è stato ritenuto che "la circostanza che l’attuale legislazione in materia di permessi di soggiorno non sia stata ancora adeguata o comunque ben coordinata, sul punto, alle riforme introdotte dalla l. n. 76 del 2016 sulle unioni civili e di fatto, consentendo il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 286 del 1998, anche al convivente straniero di cittadino italiano, purché ne ricorrano le condizioni, formali e sostanziali, ora previste dalla stessa l. n. 76 del 2016 (e, in particolare, dall’art. 1, commi 36 e 37), non osta all’applicazione mediata, anche in via analogica, degli istituti previsti dalla legislazione in materia di immigrazione per le unioni matrimoniali e, quindi, dello stesso art. 30, e ciò per la forza, essa immediata, di principî costituzionali ed europei, la cui cogenza prescinde dalla normativa sopravvenuta della medesima l. n. 76 del 2016 e dalle conseguenti disposizioni di attuazione e/o coordinamento".
Articolo del: