Pir si, Pir no...
Vantaggi e svantaggi di uno strumento di successo e della sua eventuale presenza in portafoglio
Dalla loro introduzione con la legge di stabilità 2017, sui PIR (Piani Individuali di Risparmio) sono stati versati fiumi di inchiostro (e di soldi) ... di fatto un successo.
Non poteva essere diversamente, non fosse altro per le motivazioni social-patriottiche di base e gli innegabili appeal fiscali e successori.
E come per tutte le vicende dell’umano vivere anche sui PIR la stampa di cui sopra si è divisa tra estimatori e detrattori (con qualche scettico/disincantato che non manca mai).
C’è chi lo definisce un "quantitative easing" sul mercato azionario italiano in quanto garantirà nei prossimi anni un flusso quasi costante di denaro sui titoli a medio-piccola capitalizzazione quotati a Piazza Affari, con un inevitabile effetto benefico sull’andamento degli indici.
C’è chi denuncia il generarsi di una montagna di carta; titoli sottili quotati anche su mercati non regolamentati scambiati con frequenza a valori mai visti (questi ultimi cresciuti in un anno nell’ordine dell’ "X"mila per cento).
Qualcuno correttamente ne ricorda la valenza in termini di sostegno alle piccole-medie imprese.
Qualcun altro evidenzia che le elevate valutazioni raggiunte renderebbero difficile per le aziende implementare un eventuale aumento di capitale finalizzato all’espansione.
Sempre a questo proposito c’è chi vede una maturazione da parte dell’investitore italiano finalmente attento alle opportunità offerte dal mercato azionario e contemporaneamente sostenitore dell’economia reale del paese.
C’è chi, per contro, considera i sottoscrittori di PIR dei "turisti del rischio" spostatisi sui listini azionari spinti da fattori straordinari come i tassi di interesse a zero e quindi predisposti a fuggire di fronte ad un cambio di umore del mercato.
Alcuni rimarcano l’importanza del beneficio fiscale legato alla mancata tassazione (quello successorio lo si può ottenere con altri strumenti anche più efficaci... penso alle polizze vita).
Altri ricordano che non vi è certezza alcuna che al quinto anno il PIR abbia guadagnato, ... anzi.
Si potrebbe alimentare il gioco dei pro e dei contro con molte altre argomentazioni, ma l’obiettivo di questo mio articolo è un altro.
Quelle di cui sopra sono tutte considerazioni oggettive e di fatto condivisibili, a seconda dello spirito col quale si vuole approcciare l’argomento.
I PIR sono strumenti finanziari e, come tutti gli strumenti finanziari, hanno delle caratteristiche che a loro volta servono a soddisfare delle esigenze e/o a risolvere dei problemi.
Gli strumenti finanziari non sono né belli né brutti, né buoni né cattivi.
E’ l’uso che se ne fa a determinarne l’effetto sul portafoglio prodotti.
L’allocazione del patrimonio mobiliare, immobiliare e in opere d’arte non è un esercizio di preveggenza con tanto di sfera di cristallo o lettura dei tarocchi.
Gestire il patrimonio passa dalla costruzione di una squadra di prodotti efficiente che lavori in sincrono per il raggiungimento di un obiettivo (specifico e diverso per ogni investitore) con una attenta gestione della componente rischio.
Va fatto in stretta collaborazione con il proprio consulente finanziario di fiducia.
Con lui vanno condivisi obiettivi di breve, medio e lungo periodo; aspettative finanziarie, previdenziali e successorie.
Lui deve lavorare per una banca solida ed operare in un contesto libero il più possibile da conflitti di interesse.
In questa ottica così articolata, quando costruisco i portafogli della mia clientela, i PIR non sono altro che uno strumento in più a mia disposizione.
La loro presenza o meno nella squadra sarà legata alla mia valutazione su quanto le specifiche caratteristiche del prodotto siano idonee a soddisfare le esigenze e gli obiettivi concordati con il mio o la mia cliente.
Grazie per l’attenzione e buoni mercati a tutti.
Non poteva essere diversamente, non fosse altro per le motivazioni social-patriottiche di base e gli innegabili appeal fiscali e successori.
E come per tutte le vicende dell’umano vivere anche sui PIR la stampa di cui sopra si è divisa tra estimatori e detrattori (con qualche scettico/disincantato che non manca mai).
C’è chi lo definisce un "quantitative easing" sul mercato azionario italiano in quanto garantirà nei prossimi anni un flusso quasi costante di denaro sui titoli a medio-piccola capitalizzazione quotati a Piazza Affari, con un inevitabile effetto benefico sull’andamento degli indici.
C’è chi denuncia il generarsi di una montagna di carta; titoli sottili quotati anche su mercati non regolamentati scambiati con frequenza a valori mai visti (questi ultimi cresciuti in un anno nell’ordine dell’ "X"mila per cento).
Qualcuno correttamente ne ricorda la valenza in termini di sostegno alle piccole-medie imprese.
Qualcun altro evidenzia che le elevate valutazioni raggiunte renderebbero difficile per le aziende implementare un eventuale aumento di capitale finalizzato all’espansione.
Sempre a questo proposito c’è chi vede una maturazione da parte dell’investitore italiano finalmente attento alle opportunità offerte dal mercato azionario e contemporaneamente sostenitore dell’economia reale del paese.
C’è chi, per contro, considera i sottoscrittori di PIR dei "turisti del rischio" spostatisi sui listini azionari spinti da fattori straordinari come i tassi di interesse a zero e quindi predisposti a fuggire di fronte ad un cambio di umore del mercato.
Alcuni rimarcano l’importanza del beneficio fiscale legato alla mancata tassazione (quello successorio lo si può ottenere con altri strumenti anche più efficaci... penso alle polizze vita).
Altri ricordano che non vi è certezza alcuna che al quinto anno il PIR abbia guadagnato, ... anzi.
Si potrebbe alimentare il gioco dei pro e dei contro con molte altre argomentazioni, ma l’obiettivo di questo mio articolo è un altro.
Quelle di cui sopra sono tutte considerazioni oggettive e di fatto condivisibili, a seconda dello spirito col quale si vuole approcciare l’argomento.
I PIR sono strumenti finanziari e, come tutti gli strumenti finanziari, hanno delle caratteristiche che a loro volta servono a soddisfare delle esigenze e/o a risolvere dei problemi.
Gli strumenti finanziari non sono né belli né brutti, né buoni né cattivi.
E’ l’uso che se ne fa a determinarne l’effetto sul portafoglio prodotti.
L’allocazione del patrimonio mobiliare, immobiliare e in opere d’arte non è un esercizio di preveggenza con tanto di sfera di cristallo o lettura dei tarocchi.
Gestire il patrimonio passa dalla costruzione di una squadra di prodotti efficiente che lavori in sincrono per il raggiungimento di un obiettivo (specifico e diverso per ogni investitore) con una attenta gestione della componente rischio.
Va fatto in stretta collaborazione con il proprio consulente finanziario di fiducia.
Con lui vanno condivisi obiettivi di breve, medio e lungo periodo; aspettative finanziarie, previdenziali e successorie.
Lui deve lavorare per una banca solida ed operare in un contesto libero il più possibile da conflitti di interesse.
In questa ottica così articolata, quando costruisco i portafogli della mia clientela, i PIR non sono altro che uno strumento in più a mia disposizione.
La loro presenza o meno nella squadra sarà legata alla mia valutazione su quanto le specifiche caratteristiche del prodotto siano idonee a soddisfare le esigenze e gli obiettivi concordati con il mio o la mia cliente.
Grazie per l’attenzione e buoni mercati a tutti.
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