Polizze "vita" nel mirino del fisco
Il contratto assicurativo più amato dagli italiani, la polizza "vita" è un dato di capacità reddituale
Nel panorama del mondo assicurativo delle polizze vita a contenuto finanziario, strumento particolarmente amato dal risparmiatore italiano in quanto storicamente aveva rendimenti minimi garantiti, capitale garantito, tutela giuridica di impignorabilità e insequestrabilità, oggi oltre al venir meno delle garanzie finanziarie, ossia non c'è più certezza di rendimenti e capitale dovuti al contesto economico dei tassi negativi e le tutele ex codice civile che si sono assottigliate, questo strumento rientra nel faro di indagine dell'Agenzia delle Entrate per la determinazione della capacità reddiutale.
Con la sentenza della Cassazione n.17793 del 19 luglio u.s. la Suprema Corte ha determinato la legittimità dell'azione dell'Agenzia delle Entrate verso l'accertamento della capacità reddituale di un soggetto che negli anni ha versato premi in un contratto assicurativo "vita" a prevalente contenuto finanziario contestando al contribuente l'incapacità di sostenere quei versamenti rispetto al reddito dichiarato per cui implicitamente la differenza è da attribuire ad un maggior reddito non dichiarato.
Nei due gradi di giudizio precedenti era stato affermatato che per le polizze "vita" a contenuto finanziario trova applicazione il cosiddetto redditometro e trattandosi di versamenti annuali per ottenere un capitale futuro, la capacità contributiva va distribuita nel tempo, imputando i singoli premi versati alle rispettive annualità fiscali.
La Cassazione ha confermato questa linea legittimando l'operato dell'Agenzia delle Entrate che contestando l'insostenibilità reddituale lascia al contribuente l'onere della prova contraria.
Va precisato che il caso giurisprudenziale è riferito ad una polizza a premi ricorrenti, ma è evidente che la natura del contratto assicurativo rientra nella sfera d'indagine dell'Agenzia delle Entrate.
Con la sentenza della Cassazione n.17793 del 19 luglio u.s. la Suprema Corte ha determinato la legittimità dell'azione dell'Agenzia delle Entrate verso l'accertamento della capacità reddituale di un soggetto che negli anni ha versato premi in un contratto assicurativo "vita" a prevalente contenuto finanziario contestando al contribuente l'incapacità di sostenere quei versamenti rispetto al reddito dichiarato per cui implicitamente la differenza è da attribuire ad un maggior reddito non dichiarato.
Nei due gradi di giudizio precedenti era stato affermatato che per le polizze "vita" a contenuto finanziario trova applicazione il cosiddetto redditometro e trattandosi di versamenti annuali per ottenere un capitale futuro, la capacità contributiva va distribuita nel tempo, imputando i singoli premi versati alle rispettive annualità fiscali.
La Cassazione ha confermato questa linea legittimando l'operato dell'Agenzia delle Entrate che contestando l'insostenibilità reddituale lascia al contribuente l'onere della prova contraria.
Va precisato che il caso giurisprudenziale è riferito ad una polizza a premi ricorrenti, ma è evidente che la natura del contratto assicurativo rientra nella sfera d'indagine dell'Agenzia delle Entrate.
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