Precari della scuola
Scatti di anzianità per i docenti precari – ius receptum
Sono innumerevoli oramai le sentenze pronunciate dai Tribunali nazionali che riconoscono il sacrosanto diritto al riconoscimento dell’anzianità retributiva del personale non di ruolo della scuola pubblica.
A scrivere una pagina fondamentale della giurisprudenza nazionale per il riconoscimento di tale diritto sono stati gli Avvocati Walter Miceli e Fabio Ganci (legali ANIEF), che da diversi anni hanno intrapreso con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca una vera battaglia su ogni fronte.
A loro il merito, con i ricorsi depositati nel 2011, di aver provato l’effettiva vacanza e disponibilità dei posti assegnati dal Miur con reiterati contratti a tempo determinato e che ha portato alla storica sentenza Mascolo della Corte di Giustizia Europea del 26 novembre 2014 La discriminazione rispetto ai colleghi di ruolo si pone in insanabile contrasto con i principi comunitari in materia di lavoro a tempo determinato e appare palese come la negazione di tal diritto manifesti una discutibile regìa ministeriale finalizzata all’ovvio risparmio in grave spregio dei diritti dei lavoratori delle scuole pubbliche.
È oramai pacifico che la tutela antidiscriminatoria (clausola 4 dell’accordo quadro) ha infatti un’efficacia diretta orizzontale ed estende ai lavoratori a tempo determinato la stessa disciplina economica, normativa (anzianità di servizio e conseguenti scatti) e previdenziale dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili.
La clausola 4 ("Principio di non discriminazione") dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18/3/99, allegato alla Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 28 giugno 1999/70/CEE, in particolare, dopo aver puntualizzato, al comma 1, che "Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive", al comma 4, ha, altresì, specificamente disposto che: "I criteri per periodi di anzianità relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi per le lavoratrici ed i lavoratori a tempo determinato e per quelli e tempo indeterminato, salvo laddove motivi obiettivi giustifichino la differenza di durata dei periodi stessi".
Il divieto di discriminazione, nell’interpretazione consolidata del Giudice comunitario, dunque, è un principio di diretta applicazione negli ordinamenti nazionali, non necessitando dell’emanazione di alcun atto delle istituzioni comunitarie, né potendo essere in qualche modo condizionato o ristretto nella sua portata da parte degli Stati membri.
Tra le varie pronunzie della Corte di Giustizia dell’Unione Europea intervenute per imporre agli Stati membri di applicare le suddette norme comunitarie ricordiamo la sentenza del 13/9/07 resa nella causa C-307/05 (Del Cerro Alonso), la sentenza del 22/12/2010 resa nelle cause riunite C-444/09 e C-456(09 (Gavieiro e Torres c/ Conselleria de Educaciòn e Ordenaciòn Universitaria de la Xunta de Galicia) nonché l’importante SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA (SESTA SEZIONE) DEL 18 OTTOBRE 2012 nei procedimenti Rosanna Valenza (C-302/11 e C-304/11), Maria Laura Altavista (C-303/11), Laura Marsella, Simonetta Schettini, Sabrina Tomassini (C-305/11) contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Tali conclusioni sono state condivise dall’unanime giurisprudenza e, in particolare, dalla Corte di Cassazione che, con sentenza 262/2015, ha chiarito quanto segue: [...] per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro in caso di sequenza di contratti) il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità.
Questa interpretazione (...) è coerente (...) con i principi costituzionali e del diritto dell’Unione Europea: in particolare con il principio di non discriminazione tra i lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato, anche e specificamente in ordine all’anzianità di servizio, affermato con la Direttiva 1999/70/CE [...]
Ad analoghe conclusioni, sono pervenute le diverse sezioni di appello:
- Corte d’Appello di Ancona, sentenza n. 274/2014;
- Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 05.06.2014;
- Corte d’Appello di Genova, sentenza del 30.10.2013;
- Corte d’Appello di L’Aquila, sentenza n. 303 del 2012;
- Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 576/2012;
- Corte d’Appello di Napoli, sentenza n. 6232/2014;
- Corte d’Appello di Roma, sentenza n. 2488/2015 e 1398/2013;
- Corte d’Appello di Trieste, sentenza n. 374/2014;
- Corte d’Appello di Torino, sentenza n. 205/2013.
Il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione (previsti dalla direttiva 1999/70 e dall’allegato accordo quadro) impongono quindi agli Stati membri di garantire che i lavoratori a tempo determinato possano beneficiare degli stessi vantaggi riservati ai lavoratori a tempo indeterminato e che il loro lavoro non sia discriminato per il solo motivo di essere stato prestato a tempo determinato.
L’unica eccezione ammessa, perché possa essere previsto un trattamento differenziato, è la presenza di "ragioni oggettive" cioè quelle circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e che possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro.
Con particolare riguardo al sistema di calcolo dell'anzianità di servizio maturata dai dipendenti statali durante il loro lavoro a tempo determinato, avendo loro prestato l'identico lavoro di un dipendente a tempo indeterminato e ricoperto le stesse mansioni, con le medesime funzioni e responsabilità, non esiste alcuna ragione oggettiva che porti a valutare tale servizio in maniera ridotta (e riduttiva) rispetto ad un lavoratore a tempo indeterminato.
Le ragioni suddette giustificano e legittimano la via percorsa da numerosi docenti precari che, nell’impossibilità di veder riconosciuto il loro diritto, si rivolgono ai Tribunali del Lavoro per ottenere in tempi brevi gli scatti pregressi.
La massima incongruenza del sistema Italia è dimostrata dallo stesso comma 131 dell’ultimo maxiemendamento della Buona Scuola approvato con Fiducia in Senato il 25 giugno u.s., che espressamente prevede nello stato di previsione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, l’istituzione di un fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento del danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine e quantificati in 10 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016.
A scrivere una pagina fondamentale della giurisprudenza nazionale per il riconoscimento di tale diritto sono stati gli Avvocati Walter Miceli e Fabio Ganci (legali ANIEF), che da diversi anni hanno intrapreso con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca una vera battaglia su ogni fronte.
A loro il merito, con i ricorsi depositati nel 2011, di aver provato l’effettiva vacanza e disponibilità dei posti assegnati dal Miur con reiterati contratti a tempo determinato e che ha portato alla storica sentenza Mascolo della Corte di Giustizia Europea del 26 novembre 2014 La discriminazione rispetto ai colleghi di ruolo si pone in insanabile contrasto con i principi comunitari in materia di lavoro a tempo determinato e appare palese come la negazione di tal diritto manifesti una discutibile regìa ministeriale finalizzata all’ovvio risparmio in grave spregio dei diritti dei lavoratori delle scuole pubbliche.
È oramai pacifico che la tutela antidiscriminatoria (clausola 4 dell’accordo quadro) ha infatti un’efficacia diretta orizzontale ed estende ai lavoratori a tempo determinato la stessa disciplina economica, normativa (anzianità di servizio e conseguenti scatti) e previdenziale dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili.
La clausola 4 ("Principio di non discriminazione") dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18/3/99, allegato alla Direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 28 giugno 1999/70/CEE, in particolare, dopo aver puntualizzato, al comma 1, che "Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive", al comma 4, ha, altresì, specificamente disposto che: "I criteri per periodi di anzianità relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi per le lavoratrici ed i lavoratori a tempo determinato e per quelli e tempo indeterminato, salvo laddove motivi obiettivi giustifichino la differenza di durata dei periodi stessi".
Il divieto di discriminazione, nell’interpretazione consolidata del Giudice comunitario, dunque, è un principio di diretta applicazione negli ordinamenti nazionali, non necessitando dell’emanazione di alcun atto delle istituzioni comunitarie, né potendo essere in qualche modo condizionato o ristretto nella sua portata da parte degli Stati membri.
Tra le varie pronunzie della Corte di Giustizia dell’Unione Europea intervenute per imporre agli Stati membri di applicare le suddette norme comunitarie ricordiamo la sentenza del 13/9/07 resa nella causa C-307/05 (Del Cerro Alonso), la sentenza del 22/12/2010 resa nelle cause riunite C-444/09 e C-456(09 (Gavieiro e Torres c/ Conselleria de Educaciòn e Ordenaciòn Universitaria de la Xunta de Galicia) nonché l’importante SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA (SESTA SEZIONE) DEL 18 OTTOBRE 2012 nei procedimenti Rosanna Valenza (C-302/11 e C-304/11), Maria Laura Altavista (C-303/11), Laura Marsella, Simonetta Schettini, Sabrina Tomassini (C-305/11) contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Tali conclusioni sono state condivise dall’unanime giurisprudenza e, in particolare, dalla Corte di Cassazione che, con sentenza 262/2015, ha chiarito quanto segue: [...] per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro in caso di sequenza di contratti) il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità.
Questa interpretazione (...) è coerente (...) con i principi costituzionali e del diritto dell’Unione Europea: in particolare con il principio di non discriminazione tra i lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato, anche e specificamente in ordine all’anzianità di servizio, affermato con la Direttiva 1999/70/CE [...]
Ad analoghe conclusioni, sono pervenute le diverse sezioni di appello:
- Corte d’Appello di Ancona, sentenza n. 274/2014;
- Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 05.06.2014;
- Corte d’Appello di Genova, sentenza del 30.10.2013;
- Corte d’Appello di L’Aquila, sentenza n. 303 del 2012;
- Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 576/2012;
- Corte d’Appello di Napoli, sentenza n. 6232/2014;
- Corte d’Appello di Roma, sentenza n. 2488/2015 e 1398/2013;
- Corte d’Appello di Trieste, sentenza n. 374/2014;
- Corte d’Appello di Torino, sentenza n. 205/2013.
Il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione (previsti dalla direttiva 1999/70 e dall’allegato accordo quadro) impongono quindi agli Stati membri di garantire che i lavoratori a tempo determinato possano beneficiare degli stessi vantaggi riservati ai lavoratori a tempo indeterminato e che il loro lavoro non sia discriminato per il solo motivo di essere stato prestato a tempo determinato.
L’unica eccezione ammessa, perché possa essere previsto un trattamento differenziato, è la presenza di "ragioni oggettive" cioè quelle circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e che possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro.
Con particolare riguardo al sistema di calcolo dell'anzianità di servizio maturata dai dipendenti statali durante il loro lavoro a tempo determinato, avendo loro prestato l'identico lavoro di un dipendente a tempo indeterminato e ricoperto le stesse mansioni, con le medesime funzioni e responsabilità, non esiste alcuna ragione oggettiva che porti a valutare tale servizio in maniera ridotta (e riduttiva) rispetto ad un lavoratore a tempo indeterminato.
Le ragioni suddette giustificano e legittimano la via percorsa da numerosi docenti precari che, nell’impossibilità di veder riconosciuto il loro diritto, si rivolgono ai Tribunali del Lavoro per ottenere in tempi brevi gli scatti pregressi.
La massima incongruenza del sistema Italia è dimostrata dallo stesso comma 131 dell’ultimo maxiemendamento della Buona Scuola approvato con Fiducia in Senato il 25 giugno u.s., che espressamente prevede nello stato di previsione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, l’istituzione di un fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento del danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine e quantificati in 10 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016.
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