Precariato del pubblico impiego. Nuove aspettative
Il rinnovo illimitato di contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato
La sentenza oggi in commento, Sentenza nelle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13, C-418/13, Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 26 novembre 2014, costituisce un importante arresto in riferimento alle aspettative del precariato italiano.
La vicenda nasce in riferimento al precariato scolastico. In particolare le signore Mascolo e Napolitano adivano i Tribunali nazionali sostenendo l’illegittimità dei contratti a tempo determinato reiteratamente stipulati con l’amministrazione scolastica. Chiedevano pertanto, giudizialmente, la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e pertanto la loro immissione in ruolo, il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti, nonché il risarcimento del danno subito.
La vicenda giungeva alfine in Corte di Giustizia a seguito di Ordinanza di rimessione del Tribunale di Napoli e della Corte Costituzionale, dopo le reiterate resistenze della Corte di Cassazione italiana.
La pronuncia non costituisce un arresto definitivo, ma dà nuova linfa alle legittime rivendicazioni del precariato italiano.
In primo luogo la pronuncia ha ribadito che l’Accordo quadro del 18 marzo 1999 che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, si applica a tutti i lavoratori, senza che si debba distinguere in base alla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro nonché al settore di attività interessato.
La Corte Europea ha inoltre affermato che l’accordo quadro impone agli Stati membri di prevedere, in primo luogo, almeno una delle seguenti misure: l’indicazione delle ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti ovvero la determinazione della durata massima totale dei contratti o del numero dei loro rinnovi.
Per garantire la piena efficacia dell’accordo quadro la normativa interna deve contemplare altresì una misura sanzionatoria in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato. E tale misura deve essere inoltre proporzionata, effettiva e dissuasiva.
Nel caso di specie, in riferimento al precariato scolastico, la Corte Europea ha certificato che la normativa italiana - in quanto non prevede alcuna misura che limiti la durata massima totale dei contratti o il numero dei loro rinnovi effettuati al fine di coprire la vacanze nell’organico, ovvero alcuna misura volta a reprimere il ricorso abusivo a contratti a termine successivi - osta con i principi dell’Unione.
Pertanto la Corte non offre, ne potrebbe, alcuna soluzione definitiva, rimettendo al diritto interno ogni soluzione.
In riferimento agli scenari futuri, pertanto, auspicabilmente, dovrà essere il Legislatore interno a farsi carico di provvedere all’adeguamento del diritto interno in conformità ai principi comunitari.
Non è infatti opportuno che perduri la condizione di supplenza a vantaggio degli organismi giurisdizionali interni e comunitari.
In caso di soluzione giudiziaria, infatti, secondo talune quantificazioni, ammonterebbe a 6 miliardi di euro il risarcimento che lo Stato dovrebbe corrispondere per le mancate assunzioni. La quantificazione è stata fatta in base alle canoniche 15 mensilità di indennizzo, cui si aggiunge il 2,5 per cento previsto dal "collegato al lavoro", per un importo di € 24 mila circa per ciascun a precario.
Tale importo dovrebbe essere altresì moltiplicato per almeno 250 mila precari coinvolti, come indicato dalla Ragioneria Generale dello Stato e dalla Corte di Conti.
Si precisa infatti che i principi enunciati dalla pronuncia in commento non limitano i loro effetti al precariato scolastico, ma li estendono a tutto il precariato del settore pubblico italiano.
La vicenda nasce in riferimento al precariato scolastico. In particolare le signore Mascolo e Napolitano adivano i Tribunali nazionali sostenendo l’illegittimità dei contratti a tempo determinato reiteratamente stipulati con l’amministrazione scolastica. Chiedevano pertanto, giudizialmente, la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e pertanto la loro immissione in ruolo, il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti, nonché il risarcimento del danno subito.
La vicenda giungeva alfine in Corte di Giustizia a seguito di Ordinanza di rimessione del Tribunale di Napoli e della Corte Costituzionale, dopo le reiterate resistenze della Corte di Cassazione italiana.
La pronuncia non costituisce un arresto definitivo, ma dà nuova linfa alle legittime rivendicazioni del precariato italiano.
In primo luogo la pronuncia ha ribadito che l’Accordo quadro del 18 marzo 1999 che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, si applica a tutti i lavoratori, senza che si debba distinguere in base alla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro nonché al settore di attività interessato.
La Corte Europea ha inoltre affermato che l’accordo quadro impone agli Stati membri di prevedere, in primo luogo, almeno una delle seguenti misure: l’indicazione delle ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti ovvero la determinazione della durata massima totale dei contratti o del numero dei loro rinnovi.
Per garantire la piena efficacia dell’accordo quadro la normativa interna deve contemplare altresì una misura sanzionatoria in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato. E tale misura deve essere inoltre proporzionata, effettiva e dissuasiva.
Nel caso di specie, in riferimento al precariato scolastico, la Corte Europea ha certificato che la normativa italiana - in quanto non prevede alcuna misura che limiti la durata massima totale dei contratti o il numero dei loro rinnovi effettuati al fine di coprire la vacanze nell’organico, ovvero alcuna misura volta a reprimere il ricorso abusivo a contratti a termine successivi - osta con i principi dell’Unione.
Pertanto la Corte non offre, ne potrebbe, alcuna soluzione definitiva, rimettendo al diritto interno ogni soluzione.
In riferimento agli scenari futuri, pertanto, auspicabilmente, dovrà essere il Legislatore interno a farsi carico di provvedere all’adeguamento del diritto interno in conformità ai principi comunitari.
Non è infatti opportuno che perduri la condizione di supplenza a vantaggio degli organismi giurisdizionali interni e comunitari.
In caso di soluzione giudiziaria, infatti, secondo talune quantificazioni, ammonterebbe a 6 miliardi di euro il risarcimento che lo Stato dovrebbe corrispondere per le mancate assunzioni. La quantificazione è stata fatta in base alle canoniche 15 mensilità di indennizzo, cui si aggiunge il 2,5 per cento previsto dal "collegato al lavoro", per un importo di € 24 mila circa per ciascun a precario.
Tale importo dovrebbe essere altresì moltiplicato per almeno 250 mila precari coinvolti, come indicato dalla Ragioneria Generale dello Stato e dalla Corte di Conti.
Si precisa infatti che i principi enunciati dalla pronuncia in commento non limitano i loro effetti al precariato scolastico, ma li estendono a tutto il precariato del settore pubblico italiano.
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