Precetto: mancato avviso di composizione crisi
Precetto valido: commento a Tribunale di Milano, n. 4347/2016
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 4347/2016, affronta e risolve un’interessante questione riguardante le conseguenze derivanti dall’omesso inserimento nell’atto di precetto dell’avvertimento di cui all’art. 480, 2 comma ultima parte c.p.c., in cui si informa il debitore che "può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovra indebitamento, concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore".
Com’è noto, l’art. 13 comma 1 lett a), del D.L. 83/2015, ha novellato l’art. 480 c.p.c., introducendo l’avvertimento al debitore di potere concludere con il creditore un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, intesa quale situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente.
Tuttavia, il legislatore, nell’introdurre avvertimento de quo, ha omesso di indicare le conseguenze del mancato inserimento, lasciando l’arduo compito di risoluzione della questione all’interpretazione giudiziale.
Gli "avvertimenti" previsti dalle norme processuali svolgono una c.d. funzione di garanzia poiché rappresentano al destinatario dell’atto l’esistenza di situazioni giuridiche che lo stesso potrebbe ignorare, essendo, normalmente, sfornito di conoscenze tecniche.
Pertanto, l’intenzione del legislatore è quella, per l’appunto, di informare il debitore dell’esistenza di una procedura destinata a perseguire obiettivi particolarmente importanti, quali "evitare inutili collassi economici con la frequente impossibilità di soddisfacimento dei creditori, ma soprattutto, con il ricorso al mercato dell’usura e, quindi, al crimine organizzato". Tuttavia, sino a oggi, l’istituto ha avuto applicazioni limitatissime proprio per la scarsa informazione dei debitori.
Nella sentenza in esame il Tribunale meneghino ribadisce quanto già affermato nell’ordinanza del 18.02.2016, qualificando tale mancanza alla stregua dell’irregolarità, superando così la precedente ordinanza del 23 dicembre 2015 che sanzionava con la nullità il mancato inserimento dell’avvertimento.
In particolare, si evidenzia come l’accesso alle procedure di sovraindebitamento della crisi non sia caratterizzato da forme particolari né soggiaccia a determinati termini e, conseguentemente sia da considerare quale mera informativa per il debitore che, se lo riterrà opportuno, ha la facoltà di depositare un ricorso per la composizione della crisi. Non solo. Il Tribunale prosegue con l’analisi dei seguenti aspetti a sostegno della tesi dell’irregolarità:
- l’art 156, comma 1 c.p.c. esclude che si possa dichiarare la nullità degli atti processuali qualora ciò non sia espressamente prevista dalla legge;
- la nullità di un atto processuale non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato a norma dell’art. 156, comma 3, c.p.c. Il precetto ha tradizionalmente lo scopo di invitare il debitore all’adempimento spontaneo e non si vede come l’omesso avvertimento circa la facoltà di cui alla l. 3/2012 possa pregiudicare il raggiungimento di tale scopo;
- la giurisprudenza è unanime nel ritenere che, in sede esecutiva, il debitore non vanta alcun interesse alla mera regolarità formale del processo esecutivo, ma , allorquando denunci un vizio debba allegare il concreto pregiudizio subito.
A tale conclusione non può che giungersi anche da un’analisi del dato letterale della norma, ove emerge che il legislatore qualora abbia voluto sanzionare con la nullità la mancanza di alcuni dati all’interno del precetto l’abbia esplicitamente indicato (es. mancata indicazione delle parti ovvero omessa indicazione della data di notifica del titolo esecutivo) e ciò non può dirsi per la mancanza dell’avvertimento in esame. Pertanto, si può concludere che pur in mancanza del predetto avviso, l’atto sia comunque idoneo a raggiungere lo scopo processuale per il quale è ordinato e che si identifica con l’intimazione rivolta al debitore della necessità di adempiere entro il termine di 10 giorni.
Com’è noto, l’art. 13 comma 1 lett a), del D.L. 83/2015, ha novellato l’art. 480 c.p.c., introducendo l’avvertimento al debitore di potere concludere con il creditore un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, intesa quale situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente.
Tuttavia, il legislatore, nell’introdurre avvertimento de quo, ha omesso di indicare le conseguenze del mancato inserimento, lasciando l’arduo compito di risoluzione della questione all’interpretazione giudiziale.
Gli "avvertimenti" previsti dalle norme processuali svolgono una c.d. funzione di garanzia poiché rappresentano al destinatario dell’atto l’esistenza di situazioni giuridiche che lo stesso potrebbe ignorare, essendo, normalmente, sfornito di conoscenze tecniche.
Pertanto, l’intenzione del legislatore è quella, per l’appunto, di informare il debitore dell’esistenza di una procedura destinata a perseguire obiettivi particolarmente importanti, quali "evitare inutili collassi economici con la frequente impossibilità di soddisfacimento dei creditori, ma soprattutto, con il ricorso al mercato dell’usura e, quindi, al crimine organizzato". Tuttavia, sino a oggi, l’istituto ha avuto applicazioni limitatissime proprio per la scarsa informazione dei debitori.
Nella sentenza in esame il Tribunale meneghino ribadisce quanto già affermato nell’ordinanza del 18.02.2016, qualificando tale mancanza alla stregua dell’irregolarità, superando così la precedente ordinanza del 23 dicembre 2015 che sanzionava con la nullità il mancato inserimento dell’avvertimento.
In particolare, si evidenzia come l’accesso alle procedure di sovraindebitamento della crisi non sia caratterizzato da forme particolari né soggiaccia a determinati termini e, conseguentemente sia da considerare quale mera informativa per il debitore che, se lo riterrà opportuno, ha la facoltà di depositare un ricorso per la composizione della crisi. Non solo. Il Tribunale prosegue con l’analisi dei seguenti aspetti a sostegno della tesi dell’irregolarità:
- l’art 156, comma 1 c.p.c. esclude che si possa dichiarare la nullità degli atti processuali qualora ciò non sia espressamente prevista dalla legge;
- la nullità di un atto processuale non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato a norma dell’art. 156, comma 3, c.p.c. Il precetto ha tradizionalmente lo scopo di invitare il debitore all’adempimento spontaneo e non si vede come l’omesso avvertimento circa la facoltà di cui alla l. 3/2012 possa pregiudicare il raggiungimento di tale scopo;
- la giurisprudenza è unanime nel ritenere che, in sede esecutiva, il debitore non vanta alcun interesse alla mera regolarità formale del processo esecutivo, ma , allorquando denunci un vizio debba allegare il concreto pregiudizio subito.
A tale conclusione non può che giungersi anche da un’analisi del dato letterale della norma, ove emerge che il legislatore qualora abbia voluto sanzionare con la nullità la mancanza di alcuni dati all’interno del precetto l’abbia esplicitamente indicato (es. mancata indicazione delle parti ovvero omessa indicazione della data di notifica del titolo esecutivo) e ciò non può dirsi per la mancanza dell’avvertimento in esame. Pertanto, si può concludere che pur in mancanza del predetto avviso, l’atto sia comunque idoneo a raggiungere lo scopo processuale per il quale è ordinato e che si identifica con l’intimazione rivolta al debitore della necessità di adempiere entro il termine di 10 giorni.
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