Prescrizione del reato: istituto sostanziale o processuale?
Piuttosto dibattuto e attuale è il tema relativo alla riforma della prescrizione, causa di estinzione del reato regolamentata nella parte generale del nostro codice penale.
Si tratta di un istituto giuridico che ha subito negli anni diversi interventi modificativi, tutti o, comunque, la maggior parte finalizzati a contemperare i principi costituzionali della ragionevole durata del processo e del diritto di difesa dell’imputato.
E, infatti, lo scopo principale della prescrizione non è certamente quello di assicurare l’impunità al colpevole di un reato (conseguenza, semmai, di ben altre disfunzioni del sistema giustizia,) bensì quella di evitare che un soggetto rimanga sotto la scure del processo penale per un periodo di tempo indefinito.
La finalità non è solamente perseguire e salvaguardare un’importante conquista di civiltà giuridica, ma è anche quella di assicurare la realizzazione di un interesse superiore dello Stato e stimolarlo a perseguire i reati commessi nel più breve tempo possibile, a tutela dei soggetti coinvolti a vario titolo.
Superato l’eccessivo rigore della Legge Cirielli del 2005, la prescrizione è arrivata piuttosto indenne fino alla modifica apportata dalla riforma Orlando con L. 103/2017, la quale ha voluto introdurre una nuova ipotesi di sospensione della prescrizione, che decorre dalla scadenza del termine previsto per il deposito della motivazione della sentenza di condanna primo grado e si mantiene fino alla pronuncia del dispositivo del grado di giudizio successivo, per un periodo massimo di 1 anno e 6 mesi.
La citata riforma ha previsto, tuttavia, che qualora l’imputato, condannato in primo grado, venga prosciolto in appello, ai fini del calcolo della prescrizione debba tenersi conto anche del trascorso periodo di sospensione.
Tale meccanismo, quindi, seppur discutibile dal punto di vista delle esigenze difensive, ha previsto un prolungamento del termine necessario al maturare della prescrizione solo per le ipotesi di condanna e non già per i proscioglimenti.
L’impianto normativo appena descritto ha avuto limitata applicazione, essendo destinato ad essere soppiantato dalla successiva riforma apportata dalla L. 3/2019, entrata definitivamente in vigore il 1° gennaio 2020.
Tale ultimo intervento normativo solo in apparenza intende proseguire sul solco già tracciato dalla riforma Orlando, intervenendo espressamente sulle ipotesi di sospensione della prescrizione, benché, nei fatti, non abbia riguardato tecnicamente né la sospensione né l’interruzione, ma abbia comportato una sostanziale abrogazione della prescrizione quale causa estintiva del reato.
Con buona pace dei superiori principi di ragionevole durata del processo (per cui l’Italia verosimilmente verrà chiamata a rispondere anche di fronte agli organi sovranazionali) e dei diritti di difesa dell’imputato, innocente o colpevole che sia.
E in effetti, abbandonata la differenziazione tra sentenze di condanna e di proscioglimento delineata dalla riforma Orlando e sopra accennata, la attuale normativa prevede la sospensione del termine di prescrizione dalla pronunzia della sentenza di primo grado o dal decreto di condanna (e non più dalla scadenza del termine previsto per il deposito della motivazione) fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio, o dall’irrevocabilità del decreto di condanna (non impugnato).
Ulteriore inversione di rotta rispetto al passato è la reintroduzione, all’interno dell’art. 158 c.p., del termine di prescrizione del reato continuato, che decorre dal giorno in cui è cessata la continuazione e non già, come in precedenza, dalla consumazione di ciascuno dei reati avvinti nel vincolo della continuazione.
La riforma voluta dalla L. 3/2019 (che di riforma ha ben poco!!!) mina le fondamenta di un sistema di civiltà giuridica, faticosamente conquistato, nel vano tentativo di porre rimedio a distorsioni patologiche del sistema giustizia, non certamente causate dall’esistenza dell’istituto giuridico della prescrizione, ma da ben altri fattori, che richiederebbero una più compiuta e complessa riorganizzazione della macchina amministrativa.
Il problema più rilevante oggi è capire come ci si debba comportare per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore dell’ultima riforma che, pregiudicando la posizione degli imputati, interviene a modificare le regole della prescrizione, resa più gravosa rispetto ai sistemi previgenti.
E, infatti, mancano disposizioni transitorie, per cui chi scrive ritiene auspicabile che si faccia applicazione delle disposizioni contenute all’art. 2 c.p. in tema di successioni delle leggi nel tempo, ovvero applicando la normativa più favorevole al reo, come la Legge Cirielli ebbe modo di precisare alla data della sua entrata in vigore nel dicembre del 2005.
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