Prigionieri di una crisi imposta (parte prima)


Come liberarci dalla profonda crisi economica ripartendo dai fondamentali teorici del più grande economista del XX secolo: John Maynard Keynes
Prigionieri di una crisi imposta (parte prima)
Premessa: pare ormai evidente a chiunque voglia guardare in faccia la realtà che la dottrina neoliberista, per come oggi si manifesta dopo oltre trent’anni dalla sua imposizione, ha portato intere nazioni sull’orlo del tracollo economico con aree di povertà sempre più estese e senza speranza, con l’elevato rischio, prima o poi, di rivolte sociali non più democraticamente contenibili. Fantasiose ricette economiche come la "austerità espansiva" hanno finito col rendere plausibile l’inimmaginabile.

Vediamo ora di scorrere, seppure in estrema sintesi, alcuni tra i più importanti capisaldi della teoria economica keynesiana.

- Lo Stato non come semplice spettatore, ma pronto ad intervenire in particolare nelle fasi negative dei cicli economici con adeguati investimenti pubblici per garantire la più ampia protezione sociale. E’ ciò che si rese necessario negli Stati Uniti col "new deal" per uscire dalla terribile crisi iniziata nel 1929 con il crollo di Wall Street. L’economia potette risollevarsi soltanto grazie a un imponente e lungimirante piano di spesa a deficit positivo promosso dall’allora presidente Franklin Delano Roosevelt. Quel nuovo corso, dopo la fine della seconda guerra mondiale, influenzò l’intera economia occidentale (in Europa col piano Marshall) garantendo il maggiore sviluppo economico mai conosciuto nella storia e che si protrasse fino al termine degli anni 70. L’abbandono di quel modello di sviluppo con la dottrina neoliberista che impose il dogma del "libero mercato" come soluzione meccanicistica per la gestione dell’economia, priva di opportuni contrappesi di protezione sociale, ha iniziato a produrre disuguaglianze sempre più gravi sfociando inevitabilmente nella recessione-depressione senza via d’uscita degli anni che stiamo vivendo.

- Contrariamente alla teoria neoclassica del tempo in base alla quale la domanda sarebbe creata dall’offerta, secondo Keynes, invece, è la domanda a creare l’offerta, determinando il livello di produzione di uno Stato, ovvero il suo PIL, e di conseguenza il livello d’occupazione.
Il grande economista coniò così il "principio della domanda effettiva" intendo con essa che sono i consumatori (persone fisiche e/o aziende), acquistando beni o servizi, a indurre le imprese a produrre maggiormente costruendo più impianti produttivi e assumendo maggiore mano d’opera.

- Keynes comprese, altresì, l’importate fenomeno dell’utilizzo della moneta come "riserva di valore" Il denaro ricavato dalla vendita di prodotti, o dall’introito di salari e stipendi, non necessariamente viene totalmente speso, ma accumulato come risparmio in previsione d’impegni ed esigenze future. Così facendo, però, si può determinare un eccesso di risparmio che non speso porta, a cascata, alla diminuzione della domanda, quindi della produzione e, infine, dell’occupazione.

- Il grande economista rifiutava l’idea di considerare il sistema economico capitalistico come una scienza esatta dove ogni suo meccanismo funziona in modo razionale ed alla perfezione. L’economia, invece, è spesso dominata dagli istinti dei suoi attori che egli definiva come "spiriti animali". I produttori, a livello di sistema e per la natura stessa del mercato, non sono in grado di prevedere sempre le conseguenze delle loro azioni, finendo così col prendere spesso iniziative incongrue o fuorvianti. Il capitalismo così concepito, se lasciato a se stesso, finisce col generare profondi e gravi squilibri nella società con esiti drammatici difficilmente auto-riformabili.

- Nel suo memorabile trattato sulla "Teoria generale dell’occupazione", Keynes sosteneva che spetta allo Stato produrre ciò che l’economia privata non è in grado di fare o che non ha convenienza a fare. Proprio in presenza di crisi profonde ed estese (come quella che stiamo vivendo) proponeva come antidoto e volano per una effettiva e duratura ripresa dell’economia, il finanziamento pubblico di grandi opere a beneficio della collettività. Esattamente l’opposto di quanto si sta facendo da alcuni anni con queste suicide politiche di rigore e di demenziali "austerità espansive". (segue)

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di Nivel Egidio Ruini

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