Principio di affidamento e responsabilità medica
L'endoscopista che omette il drenaggio a seguito dell’intervento su un paziente ricoverato in altro reparto risponde della morte di questo
Il sanitario (nella specie medico endoscopista) che omette il drenaggio a seguito dell’intervento endoscopico effettuato sotto la sua responsabilità, in consulenza, su un paziente ricoverato in un diverso reparto, è responsabile penalmente, per condotta imprudente, qualora quest’ultimo muoia per shock settico.
Il Tribunale di Roma, in una recentissima pronuncia inedita (sez. IX, n. 563/2018), ritiene che l’imprudenza del medico consiste nella condotta di chi omette il drenaggio essendo "[...]estraneo alle dinamiche, anche organizzative, del reparto di chirurgia che avrebbe dovuto disporre, su sua indicazione, un urgente intervento chirurgico non altrimenti programmato, nonché all’oscuro delle future determinazioni della paziente medesima. Quanto precede imponeva, secondo un elementare principio di prudenza che poteva essere agevolmente valorizzato in un giudizio ex ante, di posizionare il drenaggio all’esito della consulenza e rinviare il paziente al reparto ove i sanitari, che l’avevano in cura, avrebbero predisposto, valutandone l’urgenza, anche e soprattutto sulla base delle preziose indicazioni dell’endoscopista nonché dei dati clinici, l’opportuno intervento chirurgico per il quale l’interessato avrebbe comunque dovuto prestare il suo consenso".
L’intervento non è stato eseguito nell’immediatezza pertanto l’omissione del drenaggio, indicato come indispensabile per prevenire infezioni mortali (nel caso di specie colangite) dalle linee guida mediche, ha determinato l’insorgere di un’infezione acuta che, nel giro di pochissimi giorni, ha determinato la morte del paziente, innescando una concatenazione causale all’interno della quale si sono inserite le condotte colpose degli altri sanitari. Considerato anche il concorso di ulteriori omissioni successive all’intervento endoscopico, tuttavia non è dubitabile per il giudice romano che l’omissione del drenaggio rappresenta la causa "naturalistica" di una colangite acuta foriera in poche ore di un severo stato settico che determinava il decesso del paziente.
L’errore nella tempistica del secondo intervento, finalizzato alla risoluzione della patologia riscontrata all’ingresso del pronto soccorso, non avrebbe, infatti, rilevato ai fini dell’aggravamento dello stato settico se il medico endoscopista avesse applicato, "così come le linee guida e prudenza imponevano, quel presidio terapeutico che non aveva altro scopo che quello di scongiurare l’insorgenza della colangite".
Secondo il giudicante si versa in un’ipotesi di "concatenazione causale di condotte colpose" in tema di responsabilità medica ai sensi dell’articolo 41 del codice penale, per essere il paziente soggetto al controllo e intervento di più medici ospedalieri, che però, in questo frangente, esclude l’applicazione del cosiddetto "principio dell’affidamento".
Il Tribunale di Roma, nella fattispecie concreta, ha aderito all’indirizzo pressoché univoco della Corte di Cassazione secondo cui "In tema di causalità, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella sua stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla sua omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento" (Cass. Pen., sez. IV, sentenza 14 novembre 2013, n. 692).
Il Tribunale di Roma, in una recentissima pronuncia inedita (sez. IX, n. 563/2018), ritiene che l’imprudenza del medico consiste nella condotta di chi omette il drenaggio essendo "[...]estraneo alle dinamiche, anche organizzative, del reparto di chirurgia che avrebbe dovuto disporre, su sua indicazione, un urgente intervento chirurgico non altrimenti programmato, nonché all’oscuro delle future determinazioni della paziente medesima. Quanto precede imponeva, secondo un elementare principio di prudenza che poteva essere agevolmente valorizzato in un giudizio ex ante, di posizionare il drenaggio all’esito della consulenza e rinviare il paziente al reparto ove i sanitari, che l’avevano in cura, avrebbero predisposto, valutandone l’urgenza, anche e soprattutto sulla base delle preziose indicazioni dell’endoscopista nonché dei dati clinici, l’opportuno intervento chirurgico per il quale l’interessato avrebbe comunque dovuto prestare il suo consenso".
L’intervento non è stato eseguito nell’immediatezza pertanto l’omissione del drenaggio, indicato come indispensabile per prevenire infezioni mortali (nel caso di specie colangite) dalle linee guida mediche, ha determinato l’insorgere di un’infezione acuta che, nel giro di pochissimi giorni, ha determinato la morte del paziente, innescando una concatenazione causale all’interno della quale si sono inserite le condotte colpose degli altri sanitari. Considerato anche il concorso di ulteriori omissioni successive all’intervento endoscopico, tuttavia non è dubitabile per il giudice romano che l’omissione del drenaggio rappresenta la causa "naturalistica" di una colangite acuta foriera in poche ore di un severo stato settico che determinava il decesso del paziente.
L’errore nella tempistica del secondo intervento, finalizzato alla risoluzione della patologia riscontrata all’ingresso del pronto soccorso, non avrebbe, infatti, rilevato ai fini dell’aggravamento dello stato settico se il medico endoscopista avesse applicato, "così come le linee guida e prudenza imponevano, quel presidio terapeutico che non aveva altro scopo che quello di scongiurare l’insorgenza della colangite".
Secondo il giudicante si versa in un’ipotesi di "concatenazione causale di condotte colpose" in tema di responsabilità medica ai sensi dell’articolo 41 del codice penale, per essere il paziente soggetto al controllo e intervento di più medici ospedalieri, che però, in questo frangente, esclude l’applicazione del cosiddetto "principio dell’affidamento".
Il Tribunale di Roma, nella fattispecie concreta, ha aderito all’indirizzo pressoché univoco della Corte di Cassazione secondo cui "In tema di causalità, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella sua stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla sua omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento" (Cass. Pen., sez. IV, sentenza 14 novembre 2013, n. 692).
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