Problemi applicativi della Legge Balduzzi


La pronuncia della Cassazione, grado della colpa e linee guida nella valutazione della colpa medica
Problemi applicativi della Legge Balduzzi
Con la sentenza n.16237/13, la IV Sezione Penale della Suprema Corte, si è pronunciata in merito alla interpretazione dell’art. 3 della "Legge Balduzzi", nota per aver introdotto la limitazione della responsabilità del medico in presenza di una condotta sorretta da colpa lieve.

Nel caso di specie, la Cassazione ha annullato la condanna di un chirurgo che, in una clinica privata e, nel corso di un intervento per ernia discale recidivante, aveva leso la vena e l’arteria iliaca della paziente cagionandone il decesso.
In particolare, al medico era stata contestata la violazione della regola precauzionale, secondo cui non è possibile agire raggiungendo una profondità superiore a tre centimetri. L’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione invocando da un lato, l’assenza della violazione di una linea guida e dall’altro l’applicazione dell’art. 3.
Difatti, lo stesso, prevedendo che "l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve", ha comportato la parziale abrogazione delle fattispecie colpose commesse dagli esercenti le professioni sanitarie ed, in particolare, delle ipotesi rientranti nell'art. 589 c.p.

Si è giunti, quindi, alla esclusione della rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve, collocate all'interno dell'area segnata da linee-guida o da virtuose pratiche mediche, accreditate dalla comunità scientifica. La pronuncia in esame ha fatto chiarezza sui problemi applicativi sorti con l’introduzione della nuova disciplina.
Difatti, relativamente al medico che nonostante il rispetto delle linee guida sia ugualmente ritenuto in colpa, è stato evidenziato che "le linee guida non indicano una analitica, automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti. Esse, dunque, vanno applicate in concreto senza automatismi, ma rapportandole alla specificità di ciascun caso clinico. Potrà ben accadere, dunque, che il professionista debba modellare le direttive adattandole alle contingenze che momento per momento gli si prospettano nel corso dello sviluppo della patologia e che, in alcuni casi, si trovi addirittura a dovervi derogare radicalmente".

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di Studio Legale Avv. Olindo P. PREZIOSI

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